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  • Domenica 27 agosto 2017

L’immigrazione dai paesi ex comunisti verso il resto d’Europa sta finendo

Lo scrive l'Economist, spiegando perché il timore del cosiddetto "idraulico polacco" usato molto dalle destre non sta più in piedi

Un manifesto del 2005 realizzato dall'ufficio del turismo polacco per prendere in giro il timore degli "idraulici polacchi" diffuso nell'opinione pubblica francese
Un manifesto del 2005 realizzato dall'ufficio del turismo polacco per prendere in giro il timore degli "idraulici polacchi" diffuso nell'opinione pubblica francese

Nel 2004, quando otto paesi dell’Europa orientale furono ammessi nell’Unione Europea, in Francia e Regno Unito si diffuse il timore del cosiddetto “idraulico polacco”, una figura simbolica, utilizzata spesso dalle destre europee per simboleggiare un grande fenomeno sociale: l’arrivo nell’Europa occidentale di milioni di immigrati provenienti dai paesi ex comunisti in cerca di lavoro. Nell’immaginario comune, questa ondata di persone era formata da lavoratori con competenze nei settori artigianali, disposti ad accettare pagamenti inferiori ai loro colleghi europei e quindi destinati a provocare una generale riduzione dei salari, in particolare quelli della classe medio-bassa.

Secondo l’ONU tra 1992 e 2015 il flusso migratorio è stato così grande che se tutti gli emigrati fossero rimasti, la popolazione dell’Europa orientale sarebbe del 6 per cento più alta. Molti analisti sostengono fra le altre cose che il timore dell’afflusso di questo tipo di lavoratori-concorrenti sia stato uno dei fattori più importanti che spiegano la vittoria dei Leave al referendum su Brexit, nel Regno Unito, e il successo del partito di estrema destra francese Front National, guidato da Marine Le Pen.

Pochi giorni fa l’Economist si è occupato del fenomeno del cosiddetto “idraulico polacco”. Ha scritto che l’afflusso di lavoratori provenienti dall’Europa orientale si sta esaurendo. È difficile trovare numeri che dimostrino questa tendenza in maniera definitiva. Non ci sono frontiere tra i paesi membri dell’Unione Europea e tenere traccia degli spostamenti di popolazioni è molto complesso. Qualche numero però c’è (qui ad esempio ci sono alcune statistiche sul Regno Unito). Secondo i dati raccolti in 9 degli 11 paesi dell’Europa orientale, l’emigrazione netta è diminuita rispetto al 2010. Considerato che la maggior parte degli abitanti di quei paesi quando emigra lo fa per andare in altri paesi europei, si può dedurre che i flussi verso la parte occidentale del continente si siano ridotti.

Visti i pochi dati ufficiali reperibili, l’Economist utilizza anche un rapporto pubblicato lo scorso luglio da Colliers, un’importante società immobiliare, in cui vengono citate diverse analisi che mostrano come i lavoratori professionisti dell’Europa orientale stiano sempre più spesso decidendo di ritornare nei loro paesi d’origine. Questo è l’altro aspetto del fenomeno: non si parla solo di una riduzione degli arrivi, ma anche di un aumento delle ripartenze dei migranti arrivati in Europa occidentale nell’ultimo decennio.

Secondo l’Economist, la spiegazione di questo fenomeno è molto semplice: la qualità della vita nei paesi dell’Europa orientale è migliorata molto negli ultimi anni, al punto da diventare competitiva con quella del resto del continente. Nei paesi ex-comunisti, ad esempio, è piuttosto facile trovare lavoro: la disoccupazione nell’Europa orientale oscilla tra il 5,3 per cento della Romania (pari a quello della Germania) fino all’incredibile 2,9 per cento della Repubblica Ceca. Il 73 per cento delle aziende manifatturiere ungheresi dice di non riuscire a soddisfare la propria domanda di lavoratori. I salari, inoltre, sono in continuo aumento: in un anno sono cresciuti del 5 per cento in Repubblica Ceca e del 15 per cento in Ungheria, soprattutto grazie a una legge che ha aumentato il salario minimo. Le tasse sono poi più basse che in tutto il resto del continente: i più ricchi tra i ricchi pagano appena il 25 per cento di imposta sul reddito in Slovacchia e il 10 per cento in Bulgaria.

Un altro vantaggio dell’Europa orientale è il basso costo delle case. Secondo le stime di Colliers, un appartamento a Praga costa la metà di uno a Dublino e un settimo di uno a Londra. Nell’Europa orientale si spende così poco per l’alloggio che secondo alcune ricerche i lavoratori di Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia sono tra coloro che, dopo le spese, si trovano con più soldi in tasca (solo Svizzera e Malta fanno meglio).

Ma c’è anche dell’altro, scrive l’Economist, qualcosa che non si può misurare con i numeri e che contribuisce ad alimentare questo flusso di ritorno e, in qualche misura, a limitare quello in partenza. L’Economist lo definisce un sentimento di “patriottico ottimismo”. I paesi dell’Europa orientale sono giovani, dinamici e in crescita economica: non sono pochi coloro che desiderano contribuire a questo sviluppo con le loro capacità. L’Economist ha parlato con Tomas Melisko, un avvocato slovacco da poco tornato a Bratislava, in Slovacchia, per lavorare come consulente in una società immobiliare. Melisko ha spiegato in maniera molto efficace questo fenomeno: «Tornando nel mio paese porto con me le capacità che ho accumulato e le restituisco alla società».