Lo sgombero dei rifugiati a Roma si poteva evitare?

Come siamo arrivati agli scontri di ieri, fra le soluzioni alternative proposte dal Comune e la decisione di usare gli idranti da parte della polizia

(ANSA/ANGELO CARCONI)
(ANSA/ANGELO CARCONI)

In molti, leggendo le notizie e osservando le immagini dello sgombero forzato dei rifugiati e richiedenti asilo da Piazza Indipendenza a Roma, si sono chiesti come fosse stato possibile arrivare a quel punto. L’intervento della polizia, e in particolare l’utilizzo di idranti e manganelli, poteva essere evitato? Comune e Regione avevano offerto un’alternativa alle persone sgomberate?

Nell’immediato
Il caso di questi giorni era iniziato con lo sgombero di un palazzo in via Curtatone, nei pressi della stazione Termini di Roma. Il palazzo era occupato dalla fine del 2013, e ci vivevano fra gli 800 e i 1.000 migranti, soprattutto rifugiati e richiedenti asilo provenienti da Eritrea ed Etiopia. Lo sgombero si era reso necessario, secondo il prefetto di Roma Paola Basilone «perché c’era una denuncia dei proprietari e perché c’erano stati diversi provvedimenti di sequestro mai ottemperati», ha detto al Corriere della Sera.

L’idrante
Nella stessa intervista al Corriere della Sera, il prefetto Basilone ha commentato la decisione di sgomberare Piazza Indipendenza con la forza, soffermandosi sull’uso dell’idrante contro le persone. Basilone dice che «quel mezzo è stato usato dalla Questura per evitare che le bombole di butano lanciate dal decimo piano dagli occupanti si incendiassero e scoppiassero», ma diverse cose non tornano. La polizia ha utilizzato l’idrante all’inizio dell’operazione, verso l’alba, quando alcuni rifugiati stavano ancora dormendo. Anche la questione delle “bombole lanciate dal decimo piano” non è chiarissima: dai video che mostrano le varie fasi dello sgombero si vede un’unica bombola di gas che viene lanciata a un certo punto da un balcone del primo piano su un tratto di piazza vuoto, e poi ripresa in mano da un altro rifugiato durante gli scontri con la polizia. In un altro video si vedono 3 bombole allineate sullo stesso balcone, e non si sa quante di quelle siano state effettivamente lanciate.

La soluzione alternativa
Non si è capito se prima dello sgombero del palazzo il Comune o la Regione avessero offerto una soluzione realistica alternativa agli occupanti. Né la sindaca Virginia Raggi né il presidente della Regione Nicola Zingaretti hanno commentato ufficialmente la vicenda, e l’assessore di Roma competente alle politiche sociali, Laura Baldassarre, si è limitata a dire su Facebook che «i diversi tentativi di accoglienza» offerti agli occupanti «sono stati rifiutati».

Sappiamo però che mercoledì 23 agosto era stata offerta un’alternativa alle 100-150 persone che si erano accampate in Piazza Indipendenza dopo lo sgombero di via Curtatone. Non ne conosciamo ufficialmente i dettagli perché né il Comune né la Regione li hanno resi pubblici, ma ieri il portavoce di UNICEF Italia Andrea Iacovini ne ha parlato a Redattore Sociale. Il Comune, dice, aveva offerto a 80 delle persone accampate posti in due strutture SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) della città, mentre i proprietari del palazzo di via Curtatone avevano offerto posti a una quarantina di famiglie in alcuni villini che gestiscono a Rieti, circa 80 chilometri a nord di Roma.

Sembra che queste proposte alternative siano state rifiutate. Secondo Basilone la colpa è stata della «infiltrazione dai Movimenti di Lotta per la Casa», cioè di membri della sinistra radicale e dei centri sociali, che hanno «indotto gli occupanti accampatisi in piazza Indipendenza a rifiutare sistemazioni alloggiative alternative». Altri hanno citato limiti di natura pratica: le strutture SPRAR, ad esempio, sono destinate a persone che stanno aspettando una risposta alla propria richiesta di asilo, o a quelle che l’hanno appena ricevuta, e non a chi è in Italia da anni e magari è già bene integrato nel territorio. Trasferire intere famiglie di rifugiati a 80 chilometri di distanza dal posto dove hanno abitato complicherebbe il delicato processo di integrazione che stanno compiendo: i genitori sarebbero costretti a cercare un nuovo lavoro, i figli andrebbero iscritti a scuole diverse, e così via.

Allargando lo sguardo
In un’intervista data a Carlo Bonini di Repubblica, il capo della polizia Franco Gabrielli ha fatto capire che le responsabilità della situazione che si è creata non è solo della polizia, ma anche delle istituzioni, «di chi ha consentito a un’umanità varia di vivere in condizioni sub-umane nel centro della capitale». Alcuni hanno letto in queste parole una critica all’amministrazione comunale di Virginia Raggi. Poco più avanti nell’intervista, Gabrielli stesso sembra confermare questa ipotesi:

«Due anni fa, da prefetto di Roma, insieme all’allora commissario straordinario Tronca, avevamo stabilito una road map per trovare soluzioni alle occupazioni abusive. E questo perché il tema delle occupazioni non si risolve con gli sgomberi ma trovando soluzioni alternative».

Quindi?
«Quindi è accaduto che non ho più avuto contezza di cosa sia accaduto di quel lavoro fatto insieme a Tronca. Era previsto da un delibera un impegno di spesa di oltre 130 milioni per implementare quelle soluzioni alle occupazioni abusive. Qualcuno sa dirmi che fine ha fatto quel lavoro, e se e come sono stati impegnati quei fondi?».

Non è la prima volta che uno sgombero di un palazzo occupato abusivamente da migranti e rifugiati crea disagi all’ordine pubblico e non è accompagnato da soluzioni alternative offerte ai residenti. A giugno, circa 500 persone rimasero senza assistenza dopo lo sfratto di un palazzo occupato in via Vannina, vicino a Rebibbia. Alcuni giornalisti ed esperti di immigrazione, come Annalisa Camilli di Internazionale, ritengono che la situazione migliorerebbe se la giunta Raggi studiasse un piano per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, che si occupi sia degli alloggi abusivi (che secondo il decreto legge 14/2017 «possono essere assicurati dalle regioni e dagli enti locali», quindi anche dalla Regione) sia dei centri di prima accoglienza, che a Roma sono spesso sovraffollati.