Il riscatto gratuito della laurea è una stupidaggine

Secondo Alessandro De Nicola la proposta è demagogica, incostituzionale e piena di difetti

ANSA / Tiberio Barchielli
ANSA / Tiberio Barchielli

Su Repubblica l’avvocato e docente universitario Alessandro De Nicola ha spiegato come mai secondo lui il riscatto gratuito della laurea – una proposta di cui si sta parlando molto in questi giorni e che il governo ha detto di voler considerare – sia un grande pasticcio, una proposta “fantasiosa e dispendiosa” di quelle che si sentono spesso all’avvicinarsi di una campagna elettorale.

Con l’approssimarsi della campagna elettorale era inevitabile che fioccassero proposte fantasiose e dispendiose. Prendiamo la richiesta che sta circolando in questi giorni sul web per il riscatto gratuito della laurea ai fini pensionistici. Il ragionamento alla base della petizione è semplice: nel futuro le pensioni, calcolate col metodo contributivo, saranno più basse e per ritirarsi sarà necessario lavorare molti anni fino a tarda età. I lavori dei giovani, che soffrono di un alto tasso di disoccupazione e di una bassa scolarità rispetto alla media europea, sono sempre più precari e quindi rendono necessari vari ricongiungimenti spesso svantaggiosi nei passaggi tra lavoro autonomo, dipendente e periodi di disoccupazione. Anche oggi è possibile riscattare gli anni di laurea, ma il calcolo è parametrato allo stipendio che si riceve al momento della richiesta. Si calcola, ad esempio, che una donna di 27 anni con uno stipendio di 21mila euro dovrebbe versare per riscattare la laurea 24.800 euro. Un 40enne che guadagna 52mila euro dovrebbe invece sborsarne 59mila, una cifra veramente considerevole.
La soluzione? Semplice: gli anni di laurea verranno contabilizzati automaticamente nel calcolo pensionistico. Come e quanto, non si sa, ma questo è un dettaglio. Ai vecchi tempi Ugo La Malfa avrebbe semplicemente chiesto: «Chi paga? ». Oggi no. Anticipando il mondo rousseauiano vagheggiato da Casaleggio, basta una chat in Rete e subito si trova un politico che si affretta a seguire l’onda. Nella fattispecie, Baretta, sottosegretario all’Economia, ha annunciato che il governo «sta studiando come fare» e che sarà avviato un tavolo tecnico, precisando che il provvedimento che egli ha in mente dovrebbe beneficiare solo i millenials nati tra il 1980 e il 2000 e laureati in corso, salvo casi di forza maggiore.
Vediamo perché la proposta, oltre che inattuabile, è iniqua e inefficiente. Prima i dati. Nonostante la riforma Fornero, la percentuale di Pil che l’Italia continua a spendere in pensioni viaggia intorno al 16% e continua a essere la più alta d’Europa (salvo, per poco ancora, la Grecia) e quindi probabilmente del mondo. Inoltre, il numero dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi non sta subendo variazioni significative negli ultimi anni: anzi, semmai c’è una diminuzione delle partite Iva. Peraltro, come dimostrano le statistiche sulla disoccupazione, è sufficiente un minimo di ripresa economica unita a una normativa più flessibile e i numeri (pur tra luci e ombre) migliorano: negli ultimi tre anni gli occupati sia rispetto agli inattivi che in quantità assoluta sono aumentati e la disoccupazione giovanile è scesa di quasi 9 punti percentuali. Insomma, quel che serve è crescita e riforme.

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