Quanto rischia il governo al Senato?

Facciamo un po' di conti, visti i vari movimenti e riposizionamenti in vista della fine della legislatura

(Roberto Monaldo / LaPresse)
(Roberto Monaldo / LaPresse)

Negli ultimi giorni il governo di Paolo Gentiloni ha perso qualche pezzo e più in generale ha mostrato delle nuove fragilità: si sono dimessi sia il ministro agli Affari Regionali Enrico Costa che il sottosegretario al Lavoro Massimo Cassano, e la maggioranza non è riuscita a raccogliere i voti necessari per approvare la legge sullo ius soli, rinviata in autunno.

Sia Costa sia Cassano facevano parte di Alternativa Popolare, il partito di centrodestra fondato dal ministro degli Esteri Angelino Alfano, e le loro dimissioni sono state inquadrate nelle più ampie manovre di avvicinamento a Forza Italia di una serie di senatori e deputati centristi in vista delle prossime elezioni politiche (Forza Italia è data da settimane in buona salute, e ha ottenuto dei buoni risultati alle ultime amministrative). Una delle domande che si sono fatti in molti, in questi giorni, è come e quanto potrà andare avanti il governo Gentiloni in queste condizioni e se rischia di perdere la maggioranza al Senato, dove già oggi governa grazie a poche decine di voti. La legislatura finirà in ogni caso nella primavera del 2018.

Quando il governo Gentiloni si è insediato, al Senato aveva ottenuto la fiducia con 169 voti a favore: la maggioranza assoluta al Senato si ottiene con 161 voti. Nel frattempo però i gruppi parlamentari si sono trasformati e nelle ultime settimane i riposizionamenti (come mostrano alcuni recenti voti di fiducia) sono aumentati: la ragione di questi movimenti è probabilmente l’avvicinarsi delle elezioni politiche, con la conseguente necessità di alcuni partiti di “smarcarsi” da sostegni considerati innaturali o impopolari. A rendere possibile un cambio di partito dopo l’elezione è l’articolo 67 della Costituzione, che tutela la libertà di idee e di espressione di ogni singolo parlamentare stabilendo che non c’è alcun vincolo di mandato né verso il partito a cui quel parlamentare apparteneva quando si era candidato né verso il programma elettorale o gli elettori.

Il Corriere della Sera ha provato a fare qualche calcolo, considerando i senatori che hanno già annunciato di voler passare all’opposizione, e quelli che potrebbero farlo nei prossimi mesi. Attualmente il PD può contare su 99 senatori. Il Movimento democratico e progressista – il gruppo nato dai parlamentari usciti dal PD qualche mese fa – ha 16 senatori e una posizione comunque piuttosto critica sul governo Gentiloni e il PD; il gruppo “Per le autonomie” – che non va confuso con “Grandi Autonomie e Libertà”, che invece sta il più delle volte col centrodestra – ha 18 senatori. Il centro è composto da vari partiti e gruppi: “Alternativa Popolare” ha attualmente 25 seggi, mentre Ala – Scelta Civica per la Costituente Liberale e Popolare ne ha 14, Federazione per la libertà (gruppo nato lo scorso maggio e guidato da Gaetano Quagliariello) conta 10 seggi. Nel gruppo misto ci sono poi 4 senatori dell’UDC, 3 senatrici di Fare!, movimento dell’ex sindaco di Verona di Flavio Tosi, e due senatori di Insieme per l’Italia. Il centrodestra al Senato è composto da Forza Italia, Gal e Lega Nord, gruppi composti rispettivamente da 44, 17 e 12 senatori. Il Movimento 5 Stelle ha 35 senatori e il misto in generale è composto da 30 seggi.

Il governo può contare sui voti dei 99 senatori del PD, i 25 di Area Popolare, i 18 del gruppo “Per le autonomie” e su un certo numero di centristi, radicali e ex montiani che si trovano nel gruppo misto. Sono circa 150 voti su cui il governo, per il momento, può fare affidamento quasi sempre. A questi vanno aggiunti gli appoggi “esterni”, che arrivano da gruppi e partiti che non esprimono membri all’interno del governo. I 16 senatori di MDP, il partito degli scissionisti del PD, hanno votato spesso con il governo, ma in altre occasioni si sono astenuti o hanno minacciato il voto contrario. In passato sono stati determinanti i voti dei 14 senatori di Ala – Scelta Civica per la Costituente Liberale e Popolare, il gruppo dei cosiddetti “verdiniani” ma che è formato anche da alcuni fuoriusciti da Scelta Civica di Mario Monti. Altri voti arrivano dal gruppo misto, dove tre senatori del movimento Fare! dell’ex sindaco di Verona Flavio Tosi votano spesso insieme al governo.

Sul sito Openpolis è possibile vedere come hanno votato i vari gruppi lo scorso 15 giugno quando al Senato è stata chiesta la fiducia sulla manovra correttiva approvata con 144 sì, 104 no e un solo astenuto. I votanti erano stati 249, dunque il quorum era più basso e la maggioranza richiesta per la fiducia era di 125.

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Come il voto sulla fiducia alla manovra correttiva dello scorso 15 giugno dimostra, il governo ha già oggi bisogno di almeno una delle componenti esterne per sopravvivere. Se MDP o verdiniani votano per il governo, il governo ha la maggioranza; se entrambi decidono di votare contro, il governo va sotto (a meno di un aiuto da parte dell’opposizione, per esempio da Forza Italia).

L’ipotesi del Corriere della Sera è che ora ci siano 25 senatori di centro appartenenti a varie forze politiche che potrebbero passare, o meglio tornare, nell’area di centrodestra e confluire nel gruppo di Quagliariello. Scrive il Corriere che «ai dieci di Federazione della Libertà, guidati da Gaetano Quagliariello, stanno per aggiungersi quattro in arrivo dal partito di Alfano (più tre, che sono incerti), quattro da Ala-Scelta civica (più un incerto), quattro dall’UdC e tre della pattuglia di Tosi». Il centrodestra avrebbe a quel punto la forza per determinare le future scelte politiche del governo :

«Primo, il tasto “off” della legislatura: con un gruppo così corposo, e considerando che il Pd di Renzi deve fare i conti con i bersaniani e con i tanti delusi rimasti incastrati nella maggioranza (da Verdini ad Alfano), Berlusconi può controllare la data del voto. Secondo, la legge elettorale: con un gruppo cuscinetto gemellato con Forza Italia nessuno — tolti improbabili assi tra Pd, M5S e Lega — può approvare una riforma che non abbia il “visto si stampi” di Arcore. Terzo, l’agenda politica, ottima da rivendersi in campagna elettorale».

Ricapitolando: da tempo le forze organiche al governo non hanno voti sufficienti a raggiungere la maggioranza e hanno bisogno di circa 15 voti provenienti da forze esterne per raggiungerla. Se quindi si formasse un gruppo compatto composto da circa 20 senatori provenienti dall’area centrista che oggi appoggia il governo (AP di Alfano, ALA di Verdini), la maggioranza diventerebbe molto difficile da raggiungere anche con l’aiuto di MDP.