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  • Venerdì 7 luglio 2017

Cosa ha ottenuto l’Italia sui migranti?

Poco o nulla: dopo settimane di agitazioni, minacce e richieste di aiuto, la situazione è rimasta praticamente invariata

ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI

Da due settimane a questa parte il governo italiano ha concentrato molte delle sue attenzioni e risorse sul tema degli sbarchi dei migranti che arrivano dalla Libia. Come da alcuni anni a questa parte, il numero di sbarchi è aumentato con l’inizio della stagione estiva, per via del mare più calmo e delle temperature più miti. Nel giro di pochi giorni sono arrivate migliaia di persone, che sono state inserite in un sistema d’accoglienza già molto in difficoltà dall’inizio del 2016, cioè da quando la rotta libica è tornata ad essere il principale tragitto percorso dai migranti in arrivo dal Nord Africa. Il governo italiano ha reagito provandole un po’ tutte: ha minacciato di chiudere i propri porti alle ONG internazionali che soccorrono i migranti, ha chiesto informalmente aiuto ad altri paesi, alla Commissione Europea e a Frontex, e ha diffuso comunicati e interviste praticamente ogni giorno. Cosa ha ottenuto, alla fine? Non molto.

La questione dei porti
Dieci giorni fa, il rappresentante permanente dell’Italia nell’Unione Europea, Maurizio Massari, ha incontrato il Commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos per parlare degli sbarchi. La posizione di quei giorni tenuta dal governo italiano – fatta circolare sui giornali – era quella di vietare gli sbarchi in Italia alle ONG internazionali, che trasportano le persone soccorse solamente in Italia per via di alcune norme del diritto marittimo (qui la questione è spiegata meglio). L’intenzione del governo italiano era quella di convincere altri paesi europei ad aprire i propri porti alle navi delle ONG. Una fonte diplomatica ha detto al Post che da qualche tempo sono in corso colloqui fra l’Italia e altri paesi interessati dalla questione. Sui giornali, i nomi che si sono fatti sono stati quelli di Francia e Spagna.

→ Cosa ha ottenuto l’Italia?

Su questo tema in particolare, niente. Due importanti membri del governo italiano, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio e il viceministro agli Esteri Mario Giro, hanno smentito in due separate interviste che l’Italia avrebbe chiuso i propri porti, anche solo parzialmente. L’idea aveva anche delle basi legali e pratiche poco solide: avrebbe probabilmente violato il diritto marittimo, che prevede di sbarcare le persone soccorse nel primo porto sicuro, da diversi punti di vista, e avrebbe comportato costi e complicazioni aggiuntive per le ONG, data la notevole distanza dei porti francesi e spagnoli dalla Libia. Come conseguenza sarebbero diminuite le operazioni di soccorso, e quindi il numero dei morti sarebbe probabilmente aumentato. Stando ai giornali italiani, inoltre, Francia e Spagna non hanno dato la loro disponibilità ad accogliere le navi delle ONG nei propri porti. Anche la Germania si è detta esplicitamente contraria a quella che ha definito la “regionalizzazione delle operazioni di salvataggio”.

Il piano della Commissione
Tre giorni fa la Commissione Europea ha presentato un “piano di azione” per cercare di ridurre il flusso di migranti, rispondendo alle richieste e alle pressioni del governo italiano. Il piano contiene diverse misure, che riguardano soprattutto l’aumento dei fondi da destinare alla Libia e un nuovo impegno sulle procedure di reinsediamento di alcune categorie di richiedenti asilo.

→ Cosa ha ottenuto l’Italia?
Non moltissimo. Come la Commissione aveva già annunciato, il piano non prevede nuove soluzioni ma il miglioramento e la riproposizione di alcuni meccanismi che esistono già (il documento è pieno di espressioni come “accelerare”, “aumentare” e così via).

La Commissione si è impegnata a finanziare un progetto di miglioramento della gestione dei confini libici per 46 milioni di euro, e a fornire all’Italia 35 milioni di euro come finanziamento aggiuntivo per applicare la legge Minniti-Orlando sui flussi migratori (oltre ai circa 650 milioni già assegnati per la gestione del flusso per il periodo 2014-2020). Fra le altre cose la Commissione si impegna ad approvare un nuovo piano per i reinsediamenti – cioè per il trasferimento di richiedenti asilo che sono scappati dal proprio paese ma vivono in un posto instabile, come i siriani nei campi profughi in Libano – in collaborazione con l’agenzia ONU per i rifugiati.

Nessuna delle due misure sembra risolutiva: i tentativi di stabilizzare la Libia fornendo soldi e attrezzature ad alcune sue autorità come la Guardia Costiera non hanno dato molti frutti, per il momento. Il piano di reinsediamento funziona su iniziativa volontaria dei singoli stati e nel 2016 ha riguardato 14mila rifugiati, solo una piccola parte di quelli che potrebbero essere interessati dal meccanismo.

La riunione dei ministri degli Interni a Tallinn
Ieri i ministri degli Interni dell’Unione si sono riuniti per un incontro informale a Tallinn, la capitale dell’Estonia, che dall’1 luglio ha la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea (la presidenza cambia ogni sei mesi). Da giorni i giornali descrivevano l’incontro come decisivo per discutere del flusso delle ultime settimane, e magari trovare qualche soluzione temporanea.

→ Cosa ha ottenuto l’Italia?
Praticamente niente. In un comunicato diffuso alla fine dell’incontro che aveva come tema la migrazione verso l’Italia, i ministri degli Interni hanno incoraggiato l’Unione Europea a continuare a collaborare con le autorità libiche, e ad “accelerare” i negoziati coi paesi africani per concordare procedure di rimpatrio più efficienti per i migranti a cui viene rifiutata una forma di protezione internazionale. Una fonte europea ha detto al Post che l’unico punto su cui sono state accolte le richieste italiane è stato quello di creare un “codice di comportamento” per le ONG internazionali che soccorrono i migranti in Libia.

Da diverse settimane il governo italiano tratta le ONG che soccorrono i migranti con una certa ostilità. Finora nei loro confronti non è emersa alcuna prova che abbiano ricevuti finanziamenti illeciti o che abbiano violato alcune regole del diritto internazionale e marittimo, come hanno lasciato intendere senza portare alcuna prova alcuni magistrati italiani. Come ha spiegato l’analista Giulia Laganà su EuObserver, «le ONG temono che l’introduzione del codice di condotta sia un tentativo di assicurarsi che interrompano le loro operazioni o che limitino la capacità di testimoniare e documentare eventuali abusi compiuti dalla Guardia costiera libica, che viene addestrata dalle autorità europee».

E adesso?
L’11 luglio l’Italia incontrerà a Varsavia, in Polonia, l’agenza europea di controllo dei confini Frontex. Il ministero degli Interni chiederà di ridiscutere il piano operativo di Triton, l’operazione congiunta fra Frontex e il governo italiano operativa da circa due anni e mezzo, che si occupa sia di protezione delle frontiere sia di soccorsi. Il piano prevede che ogni persona soccorsa sia portata in Italia: sarà difficile che il resto dei 21 paesi coinvolti nell’operazione decidano di cambiare questa sezione del piano, ed è più probabile che i vari rappresentanti si limitino a promettere una maggiore collaborazione con le autorità italiane.