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  • Giovedì 6 luglio 2017

La Corea del Nord non ha solo la bomba nucleare

Il regime nordcoreano potrebbe rispondere a un attacco anche solo con la sua artiglieria, e farebbe danni enormi alla Corea del Sud

Un soldato nordcoreano nella zona demilitarizzata tra le due Coree (JUNG YEON-JE/AFP/Getty Images)
Un soldato nordcoreano nella zona demilitarizzata tra le due Coree (JUNG YEON-JE/AFP/Getty Images)

Dopo che la Corea del Nord ha lanciato il suo primo missile balistico intercontinentale, in grado di colpire anche il territorio statunitense, la discussione sul futuro del regime nordcoreano di Kim Jong-un ha raggiunto nuovi livelli di urgenza. Tra le soluzioni proposte per fermare Kim c’è l’opzione militare, che però finora è sempre stata accantonata per qualcos’altro di meno rischioso: l’amministrazione di Bill Clinton, per esempio, aprì una serie di negoziati che si conclusero con qualche risultato positivo, mentre Barack Obama preferì adottare la cosiddetta “strategia della pazienza”, basata sull’idea che prima o poi il regime nordcoreano sarebbe imploso da solo (cosa che però non è successa). Il rischio di agire militarmente, una delle opzioni considerate oggi dall’amministrazione di Donald Trump per fermare il programma nucleare e missilistico di Kim Jong-un, non è solo legato al rischio che la Corea del Nord risponda a un attacco usando il suo arsenale nucleare contro i suoi vicini; potrebbe succedere anche un’altra cosa, cioè che il regime nordcoreano cominci a sparare con armi da artiglieria contro la Corea del Sud, un’ipotesi che avrebbe comunque conseguenze disastrose.

Intanto una premessa. Si parla dell’eventualità che il regime nordcoreano risponda a un attacco esterno con delle armi di artiglieria, e non con armi nucleari, chimiche e biologiche, per un motivo. Molti analisti ritengono che la principale preoccupazione di Kim Jong-un sia la sopravvivenza del suo regime: se Kim rispondesse a un attacco esterno con armi nucleari, chimiche o biologiche, probabilmente subirebbe una ritorsione così violenta da mettere a rischio la sopravvivenza del suo stesso regime (questo è il concetto che ha regolato il non uso delle armi nucleari durante la Guerra Fredda). Questa considerazione potrebbe non essere vera se l’attacco non fosse diretto ai siti missilistici e nucleari nordcoreani, ma direttamente contro di lui, un’eventualità che potrebbe spingere il regime a usare subito le armi nucleari. Per il momento però consideriamo solo la prima ipotesi. A quel punto la Corea del Nord potrebbe ricorrere a una scelta meno radicale delle armi nucleari, chimiche e biologiche, ma comunque potenzialmente disastrosa: potrebbe usare le armi di artiglieria posizionate al confine della zona demilitarizzata che divide la Corea del Nord dalla Corea del Sud, uccidendo, secondo alcune stime, decine di migliaia di civili nel giro di poche ore.

CoreaUn soldato sudcoreano calcia un pallone all’interno di una struttura militare vicino al checkpoint sul ponte Tongil, l’entrata della Panmunjom Joint Security Area (JSA), vicino alla zona demilitarizzata che separa le due Coree (ED JONES/AFP/Getty Images)

Non è facile dire cose precise su quello che potrebbe succedere, anche perché sarebbe la prima volta che un paese ne attacca militarmente un altro con l’obiettivo di distruggere il suo arsenale nucleare. La giornalista del New York Times Motoko Rich ha provato però a fare alcune ipotesi, basandosi su opinioni di esperti e su diversi studi, tra cui uno del Nautilus Institute, un think tank americano specializzato sulle relazioni tra Stati Uniti e Cina e sulle politiche americane nella penisola di Corea. Una delle stime riprese da Rich dice che se la Corea del Nord attaccasse di sorpresa la Corea del Sud con l’artiglieria al confine, per rispondere o anticipare un eventuale attacco o invasione americana, potrebbero essere uccise decine di migliaia di persone: se l’attacco fosse diretto verso obiettivi militari attorno a Seul, i morti potrebbero essere 60mila in un giorno, la maggior parte dei quali nelle prime tre ore; se invece fosse diretto verso i civili, i morti salirebbero fino a 300mila nel giro di pochi giorni. Come ha spiegato Robert Kelly, docente di scienze politiche all’Università sudcoreana Pusan National, il problema è che le strutture del governo, le principali aziende e la maggior parte della popolazione della Corea del Sud si trovano in una zona che va dai 50 ai 110 chilometri di distanza dal confine con la Corea del Nord: una zona quindi raggiungibile anche con i colpi di artiglieria. «In termini di sicurezza nazionale, è una cosa da pazzi», ha detto Kelly.

I colpi partirebbero da almeno tre sistemi d’arma di cui può disporre la Corea del Nord: il nord di Seul potrebbe essere colpito dai Koksan, cannoni semoventi da 170 millimetri, e dai sistemi di artiglieria lanciarazzi multipli da 240 millimetri, mentre i sistemi di artiglieria lanciarazzi multipli da 300 millimetri potrebbero essere usati per colpire oltre la capitale sudcoreana. Al confine della zona demilitarizzata che divide le due Coree ci sono tutti e tre questi sistemi, molti dei quali nascosti nei tunnel, nei bunker e nelle grotte. Il danno inflitto dalla Corea del Nord dipenderebbe da quanti colpi verrebbero sparati nelle prime ore e da quanti ordigni esploderebbero effettivamente, una cosa non scontata.

Stati Uniti e Corea del Sud risponderebbero immediatamente, anche se le soluzioni contro i colpi di artiglieria non sarebbero troppo efficaci. Il governo sudcoreano potrebbe intercettare alcuni razzi usando dei sistemi anti-missile, tra cui il THAAD di cui si era parlato molto qualche settimana fa, ma non dispone di niente di simile all’Iron Dome, il sistema anti-missile super-sofisticato di Israele. Americani e sudcoreani potrebbero anche usare altre tecniche per individuare le postazioni da cui partono i colpi, ma i danni inflitti nelle prime ore sarebbero comunque molto alti. C’è anche un altro problema. Il governo metropolitano di Seul dice che nell’area della capitale sudcoreana ci sono circa 3.300 rifugi anti-bomba, che potrebbero accogliere 10 milioni di persone. Diversi critici sostengono però che le esercitazioni compiute finora per simulare un attacco nordcoreano sono state non più di 5 in un anno, insufficienti per gestire il caos che si creerebbe nelle prime ore di bombardamenti. «Molti residenti non hanno idea di dove sia il rifugio anti-bomba più vicino a loro», ha scritto Motoko Rich.

Metro SeulUn cartello che indica un “rifugio” anti-bomba all’entrata di una stazione della metropolitana di Seul, in Corea del Sud (Chung Sung-Jun/Getty Images)

Secondo Rich, inoltre, il pericolo di una ulteriore escalation delle violenze sarebbe molto alto e il rischio che i primi attacchi diventino presto una guerra ampia e violenta sarebbero molto concreti. Anche perché se la leadership nordcoreana percepisse che l’obiettivo dell’attacco o del contrattacco è il regime di Kim Jong-un, potrebbe ricorrere alle armi nucleari, chimiche e biologiche, trasformando la guerra di artiglieria in un’altra cosa, molto più pericolosa e con implicazioni difficili da prevedere.