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  • Giovedì 29 giugno 2017

Tim Tebow, dal football al baseball

Uno dei più famosi atleti americani ha cambiato sport: prima faceva il quarterback, ora gioca nelle leghe minori del baseball

Tim Tebow durante un allenamento con i New York Mets (Mike Ehrmann/Getty Images)
Tim Tebow durante un allenamento con i New York Mets (Mike Ehrmann/Getty Images)

Negli Stati Uniti il caso sportivo del momento è quello di Tim Tebow, atleta di 29 anni che è passato da fare il quarterback in NFL – dopo una carriera universitaria fra le più promettenti di sempre – al baseball professionistico, dove ora gioca nel ruolo di esterno con i Columbia Fireflies, squadra delle Minor League del baseball affiliata ai ben più famosi New York Mets.

Tebow è tuttora uno degli sportivi più noti e discussi degli Stati Uniti e la sua fama è nata ai tempi del college, dove vinse trofei e riconoscimenti personali come pochi altri, ed è proseguita poi in NFL, dove venne ingaggiato dai Denver Broncos (2010–2011), dai New York Jets (2012), dai New England Patriots (2013) e dai Philadelphia Eagles, salvo poi non costruirsi una gran carriera e ritirarsi molto presto. Tebow è conosciuto anche per avere una storia particolare, quasi da “predestinato”, e per essere molto religioso, essendo cresciuto in una famiglia di missionari predicatori.

Tebow è nato a Manila, nelle Filippine, dove i suoi genitori si trovavano a seguito di una missione battista. È cresciuto in Florida, non frequentando alcuna scuola ma venendo istruito in casa dalla madre, come gli altri quattro fratelli. Da bambino veniva descritto come un ragazzo molto intelligente e soprattutto dotato di una prestanza fisica sopra la media, due cose che convinsero i genitori ad iscriverlo all’Allen Nease High School di Ponte Vedra, non molto lontana dalla loro abitazione. Nella decisione dei genitori fu fondamentale una norma introdotta nel 1996 che permetteva ai ragazzi iscritti a una scuola secondaria non solo di essere istruiti a casa ma di poter anche entrare a far parte delle squadre sportive degli istituti.

Alla Nease Tebow divenne presto il miglior giocatore della squadra di football, sia per alcune sue doti innate e una grande prestanza fisica sia per il suo temperamento, che gli fecero ottenere il ruolo di quarterback titolare e di conseguenza quello di leader della squadra. Con la Nease arrivò a disputare una finale nazionale e fu inserito fra i migliori talenti provenienti dalle high school dei cinquanta stati. Fece parlare molto di sé quando nel corso della stagione del 2003 giocò metà partita pur essendosi rotto la tibia in uno scontro: fece anche un touchdown correndo per 29 yard. Il canale sportivo ESPN, venuto a sapere di lui, gli dedicò uno spezzone di un programma dedicato alle migliori promesse dello sport statunitense, a cui fu dato il titolo di “The Chosen One”, che poi diventò anche uno dei suoi soprannomi.

A 17 anni venne nominato miglior giocatore della Florida, e fu selezionato per giocare lo “U.S. Army All-American Bowl” insieme agli altri 77 migliori giocatori dei campionati liceali. Quando venne il momento di passare al college, Tebow andò all’Università della Florida – l’università dei suoi genitori – per giocare con i Florida Gators, nonostante avesse ricevuto almeno un centinaio di richieste dai college statunitensi. Al college Tebow proseguì nella sua più che promettente carriera continuando a battere un record giovanile dietro l’altro: nel 2007 per esempio vinse il trofeo Heisman, dato annualmente al miglior giocatore del campionato universitario, che per la prima volta nella storia fu dconsegnato a un giocatore al secondo anno di college.

Quando ormai era già diventato uno degli atleti universitari più famosi degli Stati Uniti, la sua notorietà iniziò ad andare oltre lo sport. Nel 2009, al suo ultimo anno di college, si dipinse “John 3:16” – un versetto del Vangelo di Giovanni molto popolare fra gli sportivi nordamericani – sotto gli occhi in occasione della partita di National Championship contro gli Oklahoma Sooners. Nel giorno della partita tra Gators e Sooners, l’8 gennaio del 2009, Google registrò più di novanta milioni di ricerche legate a “John 3:16” provenienti dagli Stati Uniti. L’anno successivo l’NCAA vietò ai propri atleti di scrivere qualsiasi cosa sopra le strisce nere che i giocatori di football sono soliti applicarsi sotto gli occhi per ridurre i riflessi della luce. La regola prese quasi immediatamente il nome di “The Tebow Rule”.

Esattamente tre anni dopo, nella partita dei playoff di NFL fra la sua prima squadra professionistica, i Denver Broncos, e i Pittsburgh Steelers, Tebow fece la miglior prestazione della sua carriera in NFL. Quella partita viene ricordata ancora oggi come “la partita del 3:16”: per una incredibile coincidenza, Tebow lanciò la palla per 316 yard e per una media di 31,6 yard a passaggio (una yard equivale a circa 91 centimetri). Anche altri dati fatti registrare da Tebow in quella partita contenevano il 3, l’1 o il 6, i numeri che identificavano il versetto di Giovanni che si era scritto in faccia tre anni prima. Nei giorni successivi, per via di quelle coincidenze, molte pubblicazioni religiose statunitensi iniziarono a chiamarlo “l’uomo dei miracoli” o “il quarterback di Dio”.

Ma la sua carriera in NFL, iniziata come prima scelta del draft, con un anno di anticipo sulla carriera universitaria e partita con le grandissime aspettative derivate dai suoi impressionanti risultati giovanili, fra cui i due titoli universitari con i Gators, non ebbe il successo sperato. In ogni squadra in cui giocò non riuscì a impressionare più di tanto, principalmente per un motivo: il suo ruolo era quello del quarterback, ma sia al liceo che al college, per via della sua grande versatilità e del suo fisico impressionante, era solito ricoprire più ruoli; non si limitava a lanciare il pallone ai compagni, e anzi preferiva condurre il possesso palla tanto da andare spesso in touchdown correndo per decine di yard. In un campionato di livello ancora superiore come lo è la NFL, le caratteristiche di Tebow persero la loro efficacia: gli veniva chiesto soprattutto di saper passare il pallone, ma in quello non era così forte.

Col passare del tempo, inoltre, Tebow fu sempre più propenso a dedicare il suo tempo ad altro, oltre che allo sport, a partire dalla religione e dalle numerose opere di beneficenza ad essa collegate. Già ai tempi del college Tebow aveva più volte detto di non intendere lo sport come l’unico obiettivo della sua vita, ma di considerarlo come un mezzo per raggiungere altri scopi.

Nel 2016 annunciò di voler intraprendere una nuova carriera, nel baseball, lo sport preferito del padre, e nel settembre dello stesso anno firmò un contratto per le Minor League con i New York Mets, che equivale a essere ingaggiato da una grande squadra per essere poi “prestato” a una squadra minore per fare esperienza e magari col tempo guadagnarsi un posto in prima squadra.

Nell’ultima stagione Tebow è stato l’attrazione principale della South Atlantic League, in cui è stato celebrato ma anche spesso provocato dai tifosi avversari. La scorsa settimana i Mets hanno deciso di promuoverlo nella loro affiliata di Port St. Lucie, la più importante delle loro squadre “satellite”. Stando ai dati analizzati dagli esperti e da siti specializzati in statistica come FiveThirtyEight, la sua stagione con i Columbia Fireflies non è stata eccezionale: c’è chi crede che nella decisione dei Mets abbia influito la grande popolarità di Tebow, la cui sola presenza ha aumentato moltissimo l’interesse nei confronti delle Minor League.