Abbiamo scoperto qualcosa di più su come riconosciamo le facce

Due ricercatori hanno tracciato l'attività dei neuroni che decifrano le caratteristiche di ogni volto, per distinguerlo tra gli altri

La capacità di riconoscere e ricordare centinaia di facce è stata fondamentale per lo sviluppo delle nostre abilità sociali, e per la stessa evoluzione della nostra specie. Riusciamo a distinguere una faccia conosciuta nel bel mezzo di un posto affollato, o ricordarci istantaneamente di qualcuno che non vedevamo da un sacco di tempo e che pensavamo di avere dimenticato. Questa caratteristica incuriosisce da tempo i ricercatori, che non sono ancora riusciti a spiegare come faccia il cervello a riconoscere e a ricordarsi i volti delle persone che incontriamo. Un nuovo studio realizzato sui macachi (Macaca mulatta), da poco pubblicato sulla rivista scientifica Cell, offre qualche nuovo elemento e sostegno alle teorie formulate finora sul tema.

Negli anni i ricercatori hanno elaborato diverse teorie che possono essere raggruppate in due grandi insiemi: da un lato c’è chi teorizza che nel cervello esistano specifiche cellule (neuroni) ciascuna delle quali è dedicata al riconoscimento di una persona, dall’altro chi ritiene che siano gruppi di neuroni che lavorano insieme per riconoscere le facce e associare un volto a una persona. Attraverso la risonanza magnetica funzionale, un esame non invasivo per vedere quali parti del cervello si attivano quando si svolge un particolare compito, in passato è stato possibile identificare alcune aree nel lobo temporale (l’area sotto le tempie) in cui sono concentrate queste cellule “faccia selettive”, ma finora non era stato possibile comprenderne il funzionamento.

Per capirci qualcosa di più, Doris Tsao e Le Chang del California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena, California, hanno studiato il funzionamento di due esemplari di macaco, primati che hanno diverse cose in comune con noi. I ricercatori hanno scoperto che ogni cellula “faccia selettiva” si occupa di registrare una caratteristica della faccia che si sta osservando, condividendo poi le informazioni con la restante rete di neuroni per rendere accurato e preciso il riconoscimento. È dalla combinazione delle informazioni che si ottiene un’immagine univoca di un volto, che viene poi mandata a memoria e utilizzata per riconoscere in occasioni diverse la stessa persona. Nel loro studio, Tsao e Chang scrivono inoltre che le modalità in cui si combinano le informazioni seguono andamenti prevedibili, al punto da potere ricostruire quale faccia stia osservando il macaco, semplicemente tracciando l’attività elettrica delle sue cellule “faccia selettive”.

La ricerca pubblicata su Cell sembra confermare la teoria secondo cui sia una rete complessa di neuroni a procedere al riconoscimento; ricerche precedenti avevano invece ipotizzato che ci fossero singoli neuroni deputati al riconoscimento di determinati volti e non di altri.

Tsao e Chang hanno utilizzato un set di circa 2mila immagini di volti umani, con caratteristiche diverse come la distanza degli occhi, la dimensione del naso e le proporzioni del volto. Hanno poi impiantato alcuni elettrodi nel cervello dei due macachi per misurare la risposta dei neuroni, a seconda delle differenze facciali. Il loro lavoro sembra confermare che le cellule “faccia selettive” non sono una sorta di rivelatore, ma semmai un sistema integrato per analizzare le facce. Non è però ancora chiaro come il sistema mantenga i suoi alti livelli di efficienza, soprattutto per quanto riguarda i tempi di risposta.

Come raccontò in un saggio il famoso neurologo statunitense Oliver Sacks, ci sono comunque persone che non sono in grado di riconoscere i volti. La loro condizione si chiama prosopagnosia e si stima che ne soffra circa il 2,5 per cento della popolazione, con forme molto lievi che interessano una percentuale ancora più alta (alcuni parlano del 10 per cento). Le persone che ne soffrono faticano a riconoscere le persone che hanno intorno, anche se le conoscono da una vita, soprattutto se si trovano in contesti diversi dal solito. Nelle forme più lievi la difficoltà riguarda più che altro tempi e capacità di rendersi subito conto di avere davanti qualcuno di conosciuto, mentre nei più gravi porta a una costante incapacità di riconoscere chi si ha intorno.