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  • Venerdì 9 giugno 2017

Cosa diavolo è successo nel Regno Unito

Una cosa impensabile un mese fa: nessuno ha la maggioranza da solo, May ha perso vincendo, e ora è tutto complicato

Theresa May nel suo collegio la sera delle elezioni. (AP Photo/Alastair Grant)
Theresa May nel suo collegio la sera delle elezioni. (AP Photo/Alastair Grant)

Alla fine si è verificata un’ipotesi che veniva discussa ormai da qualche giorno, seppure sempre con molte cautele: le elezioni politiche nel Regno Unito, che la prima ministra Theresa May aveva indetto in anticipo sulla base della consolidata aspettativa che sarebbero state un trionfo per lei e per il Partito Conservatore, sono state invece per il governo una pesante sconfitta, e una sorprendente vittoria politica – anche se non elettorale: minoranza era e minoranza resta – per il Partito Laburista di Jeremy Corbyn. Lo spoglio dei voti è ancora in corso, ma a questo punto sembra certo che il risultato sarà uno hung parliament, cioè un Parlamento senza una chiara maggioranza: e il tutto in un paese che avrebbe bisogno di un governo con un mandato forte e idee chiare, visto che si appresta a negoziare l’uscita dall’Unione Europea – procedimento delicatissimo e mai affrontato prima da nessuno – e che ha avuto a che fare con tre attentati terroristici in tre mesi.

Lo scrutinio sta finendo, quindi i dati finali non dovrebbero discostarsi moltissimo da quanto vediamo adesso e prevedono le ultime proiezioni: il Partito Conservatore dovrebbe ottenere tra i 318 e i 319 seggi, mentre il Partito Laburista tra i 261 e i 262 seggi. Questo vuol dire che Theresa May perderebbe tra i 12 e i 13 parlamentari e anche la maggioranza assoluta alla Camera dei comuni, ma che farebbe comunque un po’ meglio di quanto fece David Cameron alla sua prima elezione, nel 2010. Per il Partito Laburista sarebbe un grandissimo risultato tenendo in considerazione le aspettative (poco tempo fa era dato 20 punti indietro nei sondaggi), un buon risultato tenendo in considerazione i seggi (almeno 30 in più, sottratti soprattutto allo Scottish National Party) ma comunque una sconfitta, cosa che rischia di perdersi nella soddisfazione generale: non sarebbe il partito più votato e resterebbe minoranza in Parlamento.

Anche per questo è complicato oggi prevedere le conseguenze delle elezioni dell’8 giugno: dal punto di vista politico, in qualche modo, i vincitori hanno perso e i perdenti hanno vinto. Theresa May era saldamente prima ministra, ha deciso di forzare la mano per allargare la sua maggioranza e ha finito per perderla; Jeremy Corbyn, capo dei Laburisti, era dato per spacciato e invece ha guidato il suo partito verso una sorprendente ma comunque insufficiente rimonta. Un primo risultato è che Theresa May oggi è politicamente molto più fragile: anche se dovesse restare leader dei Conservatori e prima ministra, la sua posizione si è indebolita e avrà una vita molto più complicata dentro il Parlamento e dentro il partito. Un secondo risultato è che i Laburisti saranno galvanizzati e stanno evidentemente molto meglio di quello che si pensava; Jeremy Corbyn – a lungo criticato dall’ala più moderata del suo partito – ne resterà il leader, con una posizione mai così forte.

Altre notizie del voto britannico: dopo il crollo delle ultime elezioni si sono un po’ ripresi i Liberal Democratici, che hanno guadagnato una manciata di seggi (e hanno visto perdere il seggio al loro ex leader, Nick Clegg, protagonista della disastrosa – per loro – coalizione di governo con i Conservatori nel 2010). È andato male lo Scottish National Party, che non è riuscito a conservare tanti dei seggi che aveva strappato ai Laburisti nel 2015 sull’onda del referendum dell’indipendenza. È andato disastrosamente male lo Ukip, il partito indipendentista e di destra radicale che aveva voluto moltissimo il referendum su Brexit: ha preso meno del 2 per cento dei voti e non riuscirà a eleggere nemmeno il singolo parlamentare che aveva ottenuto nel 2015.

Collegio per collegio i voti dello Ukip sono andati sia ai Conservatori che ai Laburisti, che su Brexit hanno posizioni diverse: ed è una cosa di cui evidentemente si parlerà molto nelle prossime settimane. I Conservatori e Theresa May sono per la cosiddetta “hard Brexit”, cioè lasciare l’Unione Europea senza l’ambizione di salvare qualcosa, ma il risultato di questa elezione potrebbe indurli a riconsiderare questa linea; i Laburisti non mettono in discussione l’esito del referendum, ma sono invece per una posizione più morbida: vogliono rimanere nel mercato unico, per esempio, e vogliono maggiori diritti per i cittadini UE nel Regno Unito (bisogna dire che la posizione dell’Unione Europea però è sempre stata più vicina al primo scenario: non si resta con un piede dentro e uno fuori e non si sceglie tra i diritti e i doveri che comporta far parte dell’UE).

La faccenda Brexit comunque è solo una delle molte questioni che restano appese dopo queste elezioni. Dato che il Partito Conservatore ha perso la maggioranza senza che l’abbia ottenuta qualcun altro, siamo nella situazione cosiddetta dello hung parliament: significa “Parlamento appeso” e indica che in Parlamento nessuno ha la maggioranza assoluta. È una cosa capitata poche volte nella storia recente britannica: l’ultima nel 2010, quando i Conservatori e i Liberal Democratici la risolsero formando una coalizione che lanciò i Conservatori di Cameron verso la larga vittoria del 2015 e affossò i Liberal Democratici. Stavolta, però, da una parte i Liberal Democratici escludono categoricamente di allearsi con i Conservatori, dall’altra i Laburisti non otterrebbero la maggioranza nemmeno se si alleassero con i Liberal Democratici e con lo Scottish National Party. L’unica strada oggi sembra la formazione di un governo di minoranza, che cerchi i numeri in Parlamento per ogni voto importante: è una via possibile, ma difficile.

Nel sistema elettorale britannico la Regina non sceglie il primo ministro: si limita a dare l’incarico al leader del partito che ha più seggi alla Camera. Dato che i Conservatori sono e restano il primo partito del paese, questo vuol dire che non è automatico che Theresa May debba dimettersi da leader del partito e prima ministra; ma vuol dire anche che se May dovesse essere sfidata e sconfitta dentro il Partito Conservatore, chi ne otterrebbe la leadership sarebbe automaticamente il nuovo primo ministro o candidato tale. May probabilmente ora comincerà le trattative per formare una coalizione: se non dovesse farcela entro il 13 giugno, data prevista per la prima riunione del nuovo Parlamento, la Regina affiderà l’incarico al leader del secondo partito più votato, Jeremy Corbyn, perché anche lui provi a formare un governo. Se sia Corbyn che May non fossero in grado di formare un governo, si potrebbe anche andare a elezioni anticipate, di nuovo, dopo un periodo di transizione con un governo di minoranza.