La riforma sulla legge di cittadinanza rischia di non essere discussa

Il voto in Senato era stato fissato per il 15 giugno, ma la discussione su eventuali elezioni anticipate potrebbe far slittare tutto

Un particolare del flash mob a sostegno dell'approvazione della legge di cittadinanza organizzato a febbraio in Piazza della Scala a Milano
(LaPresse - Mourad Balti Touati)
Un particolare del flash mob a sostegno dell'approvazione della legge di cittadinanza organizzato a febbraio in Piazza della Scala a Milano (LaPresse - Mourad Balti Touati)

La discussione al Senato sulla riforma della legge di cittadinanza – quella che prevede l’introduzione di due modalità innovative per acquisire la cittadinanza italiana – fissata per il 15 giugno potrebbe non avvenire, a causa dell’incertezza dovuta a eventuali elezioni anticipate in autunno. La riforma era stata approvata dalla Camera alla fine del 2015, ma poi la Lega aveva presentato 8mila emendamenti allo scopo di ritardare i lavori della commissione Affari costituzionali del Senato. In molti ora stanno chiedendo di accelerare i tempi. In un editoriale del 30 maggio, il direttore di Repubblica Mario Calabresi ha invitato il Parlamento ad approvare questa riforma prima dell’eventuale scioglimento delle Camere.

Il testo della legge, che è stato approvato dalla Camera alla fine del 2015, aspetta da allora il passaggio al Senato. Già a marzo, il presidente del Senato Pietro Grasso aveva promesso che la discussione sarebbe stata calendarizzata entro aprile, anche nel caso in cui la commissione non fosse riuscita a risolvere tutte le questioni sollevate dalla Lega. Non ci sono ragioni oggettive che possano ostacolare la discussione al Senato, ma proprio per il clima di instabilità dovuto alle possibili elezioni potrebbero essere valutate come prioritarie altre questioni. C’è anche da considerare il peso che la riforma avrebbe durante l’eventuale campagna elettorale e il modo in cui i diversi partiti politici potrebbero provare a sfruttare la legge a proprio vantaggio.

Per esempio, la riforma viene spesso chiamata dai suoi detrattori, tra i quali Lega e Forza Italia, nel modo abbreviato ius soli, cioè con il nome del principio per cui uno stato riconosce la cittadinanza a chi nasce sul suo territorio. Il testo non andrebbe però a modificare in questo modo l’attribuzione della cittadinanza. Si parla invece di una forma temperata del principio: i minori nati in Italia da genitori stranieri potrebbero acquisire la cittadinanza italiana a condizione che almeno uno dei genitori sia titolare di diritto di soggiorno illimitato oppure – se non è cittadino europeo – di permesso di soggiorno dell’Unione Europea per soggiornanti di lungo periodo. Verrebbe introdotta anche una seconda modalità di ottenimento della cittadinanza: quella dello ius culturae, riguardante i minori stranieri arrivati in Italia entro il dodicesimo anno di età. Questi minori potrebbero diventare italiani dimostrando di aver frequentato regolarmente dei percorsi di formazione, come cinque anni di frequenza di un normale ciclo scolastico (che nel caso siano scuole elementari deve essersi concluso positivamente) sia aver terminato un corso professionale di minimo tre anni.

Secondo un’analisi fatta da Repubblica a marzo, la legge avrebbe i numeri per passare: i favorevoli (tra i cui i senatori del PD, Articolo 1, Alternativa Popolare, Sinistra Italiana e del gruppo Per le autonomie) sarebbero in tutto 167, e costituirebbero la maggioranza anche nel caso in cui ai contrari (Lega e Forza Italia) si aggiungessero i voti degli incerti e quelli dei Cinque Stelle, che nel voto alla Camera del 2015 si erano astenuti. Nel caso passasse, circa un milione di ragazzi nati o cresciuti in Italia verrebbero riconosciuti cittadini italiani.

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