C’è un nuovo problema con i voucher

Il PD vuole reintrodurre i "buoni lavori" aboliti a marzo, cambiandoli un po', ma il partito di Bersani e Speranza minaccia di votare contro

(ANSA/CLAUDIO PERI)
(ANSA/CLAUDIO PERI)

Giovedì il Partito Democratico ha annunciato di voler reintrodurre un nuovo tipo di voucher, i buoni per pagare piccoli lavori saltuari aboliti lo scorso marzo con un emendamento alla cosiddetta “manovrina“, un decreto approvato lo scorso 20 aprile che dovrà essere confermato dal Parlamento nelle prossime settimane, dopo che la CGIL aveva chiesto e ottenuto un referendum sulla loro abolizione. MDP, il movimento formato dai politici che di recente sono usciti dal PD, ha già detto di essere contrario alla norma e minaccia di non votarla al Senato, dove il PD rischia di non avere i numeri per farla passare. «Se metteranno la fiducia noi non la voteremo», ha detto il capogruppo di MDP alla Camera Francesco Laforgia, con la conseguenza della possibile caduta del governo la cui difesa era stata alla base delle dichiarate ragioni per la nascita del MDP stesso.

La proposta di reintrodurre i voucher non è arrivata però dal governo, che li considera un tema delicato e in grado di minare la sua stabilità, ma dai parlamentari del PD. La reintroduzione è stata proposta dal capogruppo del PD alla Camera, Ettore Rosato che, questa mattina, ha detto che è pronto a ritirare l’emendamento se il governo ne farà richiesta.

Il testo che dovrebbe reintrodurre i nuovi voucher non è stato ancora presentato ufficialmente, ma secondo i documenti provvisori che circolano in questi giorni i nuovi voucher dovrebbero essere ristretti all’utilizzo da parte di famiglie e imprese che hanno fino a cinque dipendenti. Si potranno acquistare tramite il sito dell’INPS, dove le famiglie potranno acquistare un “libretto famiglia” costituito da un certo numero di titoli di pagamento da dieci euro. Per le imprese la procedura sembra più complicata: dovranno registrarsi presso il portale dell’INPS e sottoscrivere un contratto nominativo con il dipendente che intendono remunerare con i voucher. Dovrebbe venire introdotto un compenso orario minimo di 9 euro e un tetto di 5.000 euro annui oltre il quale le imprese non potranno acquistare altri voucher.

La principale differenza tra il vecchio e il nuovo sistema sembra essere la maggiore macchinosità di quest’ultimo. In passato famiglie e imprese potevano acquistare senza limiti i voucher in tabaccheria e usarli in qualsiasi momento per remunerare i lavoratori. Questa semplicità di utilizzo è stata una delle ragioni più spesso utilizzate per spiegare il grande aumento nel numero di voucher venduti negli ultimi anni, arrivato nel corso del 2016 a 134 milioni di unità vendute, con un aumento di circa il 30 per cento rispetto all’anno precedente. Sistemi di pagamento simili ai voucher esistono in quasi tutta Europa. La principale differenza tra i vecchi voucher italiani e i “mini-job” tedeschi e i “cèchque emploi” francesi è che i primi erano più facili da utilizzare perché non richiedevano iscrizioni a portali online, ma potevano essere acquistati semplicemente in un tabaccaio.

I voucher furono introdotti per la prima volta nel 2003 per creare un modo semplice di remunerare piccoli lavori come ripetizioni scolastiche, il lavoro saltuario nei campi o nel settore alberghiero e nella ristorazione in giorni o periodi di particolare affluenza. Nel corso degli anni, la possibilità di usare i voucher è stata estesa sostanzialmente a tutti i settori e tutte le tipologie di lavoratori. La liberalizzazione principale in questo senso fu fatta dal governo Monti nel 2012. Per evitare che i voucher venissero utilizzati per pagare lavoratori a tempo pieno, la legge stabiliva un limite ai compensi tramite voucher di duemila euro l’anno da un singolo datore di lavoro e di settemila euro in totale.

L’enorme aumento nel numero di voucher venduti tra 2015 e 2016 ha portato questo strumento, per anni sostanzialmente ignorato, all’attenzione dell’opinione pubblica. I voucher sono stati accusati di aver aumentato la precarizzazione del lavoro e di contribuire a nascondere abusi. La CGIL, il principale sindacato italiano, raccolse migliaia di firme per abolirli e il referendum era stato fissato a maggio. Per evitare un’altra sconfitta dopo quella del referendum costituzionale del 4 dicembre, il governo aveva deciso allora di abolirli in maniera preventiva, per reintrodurre uno strumento simile in un secondo momento.