L’omicidio di Giorgiana Masi, 40 anni fa

La storia della studentessa diciottenne uccisa durante una manifestazione dei Radicali a Roma, senza che si sia mai saputo da chi

Un momento della manifestazione organizzata dai Radicali vicino a Ponte Garibaldi, a Roma, nello stesso luogo dove fu uccisa la diciannovenne Giorgiana Masi. Roma, 12 maggio 2012 (ANSA)
Un momento della manifestazione organizzata dai Radicali vicino a Ponte Garibaldi, a Roma, nello stesso luogo dove fu uccisa la diciannovenne Giorgiana Masi. Roma, 12 maggio 2012 (ANSA)

Il 12 maggio del 1977 una ragazza venne uccisa da un colpo di pistola durante una manifestazione a Roma: si chiamava Giorgiana Masi. A quarant’anni di distanza non si sa ancora chi abbia sparato, e nessuno è mai stato punito. Giorgiana Masi era una studentessa di diciotto anni, era femminista ed era una militante del Partito Radicale. Quel giorno stava celebrando il terzo anniversario del referendum sul divorzio; ci furono violenti scontri con la polizia e a un certo punto lei cadde a terra.

GIORGIANA MASI: MANIFESTAZIONE PER ANNIVERSARIO MORTE(ANSA)

Era la metà degli anni Settanta: le università erano state occupate, la protesta degli studenti era diventata una contestazione politica contro il governo Andreotti, le radio libere, come Radio Alice da Bologna, cominciarono a raccontare le lotte dei “ragazzi del ’77”; in molte città, a partire dalla Sicilia, ci furono manifestazioni e violenti scontri con la polizia. Il 21 aprile a Roma ci fu una sparatoria tra manifestanti di Autonomia Operaia e i poliziotti che finì con l’uccisione dell’allievo sottufficiale Settimio Passamonti. Il giorno dopo l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga comunicò in Parlamento di aver deciso, con il sostegno anche del Partito Comunista Italiano, di vietare tutte le manifestazioni pubbliche a Roma fino al 31 maggio. Il Partito Radicale decise di non rispettare quelle disposizioni e di organizzare una manifestazione in piazza Navona per il 12 maggio, con l’obiettivo di raccogliere le firme su 8 referendum e per festeggiare il terzo anniversario della vittoria nel precedente referendum sul divorzio.

Nel libro “Cronaca di una strage” dei Radicali, sull’omicidio di Giorgiana Masi, la storia viene raccontata a partire dalla sera precedente. Adelaide Aglietta, storica dirigente del PR, spiegò che Marco Pannella aveva pubblicato tramite l’agenzia di stampa ANSA e poi letto al telefono a Cossiga il testo di un comunicato con cui le organizzazioni promotrici della manifestazione (oltre ai Radicali, anche il Comitato per i referendum e Lotta continua) avevano rinunciato a ogni caratterizzazione politica della manifestazione, senza comizi e senza interventi politici:

«C’è da montare il Palco a piazza Navona. (…) Troviamo una gazzella della polizia e un poliziotto ci dice che il palco non può essere montato. Chiediamo di poter parlare con un funzionario; la richiesta viene trasmessa in questura per radiotelefono. Attendiamo il funzionario, ci riserviamo infatti di parlamentare con la Questura sulla base del comunicato letto a Cossiga. Nel caso che ci vogliono comunque impedire di montare il palco, decidiamo di non ottemperare all’ordine, di tentare di montarlo noi e di farci fermare. Con noi sono Emma Bonino, Paolo Vigevano, Pino Pietrolucci, altri compagni. Pochi minuti più tardi arrivano Mimmo Pinto, Alex Langer ed altri dirigenti di Lotta Continua.

Attendiamo una risposta dagli agenti della gazzella. Ma la risposta non arriva, e non arriva neppure il funzionario. La gazzella se ne va, senza ulteriori comunicazioni. Possiamo montare il palco, che un’ora e mezza dopo è completato. A mezzanotte Gianfranco Spadaccia telefona in Questura, chiede del Questore e gli passano il funzionario di turno, che si qualifica come dottor De Filippis: gli chiede la garanzia che il palco non sia toccato e che non siano molestate le persone incaricate di sorvegliarlo. Il dottor De Filippis assicura che nessun intervento sarà effettuato nel corso della notte. Andiamo a dormire».

La mattina successiva, il 12 maggio, a piazza Navona c’erano i Radicali, gli studenti, la sinistra extraparlamentare, le femministe, i lavoratori e anche tre pullman di agenti e un autocarro di carabinieri: «Ma sotto gli occhi di cento agenti e carabinieri, l’ENEL allaccia alle 10 l’energia elettrica per gli impianti di amplificazione, alle 11 la SIP allaccia un telefono per le comunicazioni degli organizzatori, gli operai e i tecnici provvedono ad installare microfoni ed altoparlanti», disse sempre Aglietta.

L’ordine di togliere gli impianti di amplificazione arrivò alle 13.30. Alle 14 venero bloccati gli accessi di piazza Navona: «Da questo momento rimaniamo bloccati, quasi sequestrati sulla piazza; le uniche notizie sono quelle che ci portano i parlamentari e i giornalisti che hanno libertà di movimento. Poco dopo le 14.30 cominciano i primi spari di candelotti». Alle 19 alcuni parlamentari mediarono con le forze dell’ordine per permettere ai manifestanti di lasciare la piazza e spostarsi verso Trastevere. Ma da quel momento gli scontri si fecero più gravi, in diverse altre zone della città. Alla manifestazione erano presenti circa 5 mila agenti e c’erano anche, come hanno sottolineato molto i Radicali e le altre persone presenti, diversi agenti in borghese.

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Poliziotti perquisiscono manifestanti fermati durante gli scontri in cui venne uccisa Giorgiana Masi (ANSA)

Giorgiana Masi si trovava su Ponte Garibaldi. Le forze dell’ordine erano schierate dalla parte di via Arenula, verso il centro, i manifestanti dall’altra, verso Trastevere: la situazione era confusa, i manifestanti iniziarono a scappare e improvvisamente Masi cadde a terra «come fosse inciampata». Invece era stata colpita alle spalle da un colpo di pistola calibro 22. Sempre dal libro “Cronaca di una strage”:

«Ho assistito personalmente al momento in cui Giorgiana cadeva. Siamo arrivati all’imbocco del ponte Garibaldi nel momento in cui la polizia arretrava verso largo Arenula. Ci siamo spinti in avanti, fino alla metà del ponte, proprio al centro. La polizia intanto caricava alcuni compagni che scappavano nella direzione di largo Argentina. Sul ponte non c’era nessuno. Saranno passati un paio di minuti e la polizia è tornata indietro, caricando un’altra volta nella nostra direzione. Ci si è fermati prima all’imbocco del ponte, dall’altra parte di piazza Sonnino. Poi la polizia ha caricato una seconda volta… con le autoblindo. Correvano ed hanno sparato molto; pochi lacrimogeni e molti colpi di arma da fuoco. Insieme a me in quel momento c’erano una decina di altre persone. Gli altri compagni. all’altezza di largo Sonnino stavano formando delle barricate con delle auto. Abbiamo avuto difficoltà a scappare oltre queste barricate che dietro di noi i compagni avevano eretto. Gli c’erano mille compagni che scappavano. Assurdo dire che i colpi siamo venuti dalla loro parte: io ero uno degli ultimi ed ho visto tutti con la schiena voltata. Sono stato colpito ad una gamba da un lacrimogeno, mi sono piegato e sono stato costretto a voltarmi. Ho visto tutto: una compagna, Giorgiana, correva ad un metro e mezzo da me, è cascata con la faccia a terra. Ha tentato di rialzarsi, a me sembrava inciampata».

A quel punto Giorgiana Masi venne caricata su un’auto, trasportata in ospedale e lì venne dichiarata morta. Disse un testimone:

«Radio Città Futura ha detto che è stata colpita al ventre: la cosa mi ha lasciato molto perplesso. I colpi venivano solo dalla parte dove c’era la polizia. L’autopsia, che ha detto che Giorgiana è stata colpita alla schiena, me lo ha riconfermato. Assieme alla polizia c’erano molti in borghese. Quelli in divisa erano sulle autoblindo, con le finestre aperte. Alla metà del ponte ci sono due rientranze in muratura. Lì si sono appostati quelli in borghese ed hanno sparato».

Nella controperizia di parte civile, depositata il 6 dicembre 1978, si disse che Giorgiana Masi era stata uccisa «da un colpo d’arma da fuoco a proiettile unico, trapassante, con traiettoria pressoché ortogonale al dorso della ragazza (e cioè parallela al terreno) sparatole alle spalle» da circa 40-60 metri. La causa della morte, si dice nell’autopsia, fu «emorragia interna massiva conseguita a dilacerazione dell’aorta in prossimità della sua biforcazione». Il giorno dopo, riferendo in Parlamento, Francesco Cossiga parlò di «grande senso di prudenza e moderazione delle forze dell’ordine». Disse che il 12 maggio «con azione improvvisa, circa 300 dimostranti» avevano attaccato le forze di polizia «con il lancio di bottiglie molotov e sassi» per cui gli agenti si erano dovuti difendere. I Radicali raccolsero invece molte testimonianze e foto e filmati delle violenze degli agenti, anche di quelli in borghese mentre puntavano le armi contro i manifestanti. Cossiga fu a quel punto costretto ad ammettere la presenza di squadre speciali. Tutti i giornalisti presenti scrissero quello che era accaduto e tutte le loro cronache smentirono la versione ufficiale dei fatti.

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Uno studente lancia una pietra durante gli scontri (ANSA)

Le principali ipotesi formulate durante le indagini furono due: l’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga sostenne che il colpo fosse partito dalla pistola di uno dei membri del gruppo Autonomia Operaia (che si era unito alla manifestazione), mentre i gruppi della sinistra extraparlamentare sostennero che a sparare fosse stato uno degli agenti delle forze dell’ordine in borghese.

L’inchiesta venne chiusa subito, il 9 maggio del 1981, per l’impossibilità di procedere. Da lì in poi si susseguirono altre ipotesi e insinuazioni che non portarono mai a nulla di concreto. Nel 2005 Cossiga riparlò dell’omicidio promuovendo la versione del “fuoco amico”: disse che la verità gli era stata raccontata dopo quel 12 maggio da uno dei magistrati che indagavano e che Giorgiana Masi era stata uccisa da proiettili «vaganti sparati dai dimostranti, forse dai suoi compagni e amici con i quali si trovava contro le forze dell’ordine». Questa versione fu nuovamente e sempre rifiutata con forza dai Radicali e da Marco Pannella.

Nel frattempo, dopo numerose richieste, nel 1998 le indagini furono riaperte: venne seguita la pista che riguardava la pistola e si pensò che fosse collegata all’autonomo Fabrizio Nanni (che era legato alle Brigate Rosse e che nel frattempo era morto) poiché un testimone aveva riferito alla DIGOS che era stato proprio Nanni a colpire Masi per errore. Le perizie balistiche non diedero alcun esito. Negli anni si è poi attribuita la responsabilità all’allora fidanzato di Masi e a un militante neofascista, ma tutte le ipotesi e le insinuazioni successive restarono tali. Giovedì 11 maggio è stato pubblicato da Feltrinelli un nuovo libro sull’omicidio Giorgiana Masi. Si intitola Giorgiana Masi. Indagine su un mistero italiano, lo ha scritto Concetto Vecchio, e per la prima volta riporta la versione di Giovanni Santone, uno dei poliziotti in borghese su cui si concentrarono le polemiche dopo il delitto.