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  • Domenica 7 maggio 2017

Come Marine Le Pen ha sfruttato il fatto di essere una donna

La candidata del Front National non è femminista, e non lo è il suo programma, ma in campagna elettorale ha usato il suo genere per comunicare messaggi nazionalisti e xenofobi

Marine Le Pen posa per un selfie con una sua sostenitrice a Six-Fours-les-Plages, nel sud della Francia, il 16 marzo 2017 (FRANCK PENNANT/AFP/Getty Images)
Marine Le Pen posa per un selfie con una sua sostenitrice a Six-Fours-les-Plages, nel sud della Francia, il 16 marzo 2017 (FRANCK PENNANT/AFP/Getty Images)

Da quando Marine Le Pen, candidata al ballottaggio per le presidenziali francesi di domenica 7 maggio, è diventata presidente del Front National nel 2012, il numero di donne che sostengono il partito di estrema destra francese è diventato pari a quello degli uomini, all’incirca. In particolare, Le Pen è riuscita a ottenere il consenso di donne che svolgono lavori poco qualificati e poco pagati, facendo leva durante la sua ultima campagna elettorale su due differenti strategie: femminilizzazione dell’immagine e sfruttamento del femminismo per sostenere i tradizionali stereotipi maschili sulle donne. Ma il Front National non è mai stato un partito politico attento alle battaglie per i diritti delle donne e la parità di genere. Al contrario: tra le altre cose fino al 2007 faceva parte del programma del partito l’abolizione della legge sull’aborto. La candidatura di Le Pen, poi, è sostenuta da Le Manif pour tous, collettivo contro l’autodeterminazione delle donne. In tutto questo, va considerato che in Francia le elettrici sono il 52 per cento degli aventi diritto al voto.

Questa nuova strategia di comunicazione del Front National è molto evidente in uno dei più recenti manifesti elettorali di Le Pen, in cui sotto lo slogan «Choisir la France», cioè “Scegliere la Francia”, si vede la candidata seduta su una scrivania, con una gamba accavallata: solitamente Le Pen indossa completi giacca-pantaloni, mentre in questa immagine porta una gonna.

Secondo molti commentatori esperti di comunicazione politica, in questa fotografia Le Pen è stata resa più femminile in modo strumentale, sia per attrarre le elettrici che per addolcire l’idea di un partito che storicamente ha sempre avuto un’immagine molto dura e aggressiva. Da un lato questa strategia coincide perfettamente con uno degli immaginari tradizionali del Front National, che in quanto partito nazionalista ha sempre sfruttato abbondantemente due simboli della Francia personificati da figure femminili: la rappresentazione allegorica della Repubblica francese, la Marianne, e Giovanna D’Arco, patrona ed eroina nazionale. L’altra strategia di Le Pen in questa campagna elettorale è andata anche oltre: non solo una femminilizzazione, ma un tentativo di appropriazione del femminismo. Le Pen ha utilizzato infatti alcune espressioni della tradizione femminista (che in Francia ha una lunga e autorevole storia): ha parlato più volte dei «diritti delle donne» con l’obiettivo non tanto di affermare la libertà e l’autodeterminazione delle donne stesse, ma per criticare alcuni aspetti dell’Islam e per veicolare messaggi xenofobi.

Quando si parla di donne che fanno politica, il fatto che siano donne non è indifferente: e questo soprattutto perché la politica è ancora uno degli ambiti in cui la maggioranza delle facce che si vedono sono maschili. Nel mondo ci sono solo tredici donne che ricoprono i ruoli di prime ministre o di capi di stato di un paese. Fino a poco tempo fa, il più delle volte, in campagna elettorale le politiche cercavano di far dimenticare il proprio genere, presentandosi in modo neutro e più asessuato possibile, se non addirittura come perfetti modelli maschili: nel 1999 lo slogan della campagna per proporre Emma Bonino come presidente della Repubblica era «l’uomo giusto per il Quirinale», nonostante il suo partito avesse combattuto molte battaglie per i diritti delle donne in Italia.

Oggi invece, anche per la diffusione di un certo femminismo al di fuori dei tradizionali ambienti femministi, molte politiche usano – pur non essendo femministe – il fatto di essere donne per raccogliere consenso. Per restare in Italia: durante la campagna per il referendum costituzionale del 4 dicembre, il Partito Democratico ha organizzato diversi incontri intitolati “Le ragioni delle donne per il Sì” ricevendo molte critiche da attiviste e femministe. L’esempio principale però è quello di Hillary Clinton: nella sua prima campagna elettorale per candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, quella del 2008, si era presentata come candidato uguale agli altri, mentre in quella delle ultime elezioni ha ribadito in più occasioni di essere la prima candidata donna alla presidenza e ha parlato molto spesso rivolgendosi direttamente alle donne. Lo ha fatto in parte per via delle affermazioni sessiste del suo avversario Donald Trump, ma non si è trattato solo di un uso strumentale del suo genere, come nel caso di Le Pen: da sempre Clinton si è impegnata per i diritti delle donne negli Stati Uniti.

Oltre al manifesto in cui indossa la gonna, Le Pen è stata rappresentata intenzionalmente come donna – e in particolare come madre – anche in altri materiali propagandistici della campagna elettorale, in cui in generale Le Pen è chiamata solo col suo nome, “Marine”, per aumentare la vicinanza agli elettori. In un video si vede ad esempio Le Pen sfogliare un album di foto dei propri figli e la si sente dire: «Sono una donna e come donna percepisco come una violenza estrema le restrizioni alla libertà che si moltiplicano nel nostro paese grazie allo sviluppo del fondamentalismo islamista. Sono una madre e come milioni di genitori mi preoccupo ogni giorno per lo stato del paese e del mondo che lasceremo in eredità ai nostri figli».

Un altro materiale propagandistico in cui Le Pen è stata resa più femminile è una brochure pensata per le potenziali elettrici. Nella grafica assomiglia a una rivista femminile: sono quattro pagine in cui Le Pen “si racconta” e viene mostrata come madre che ha avuto tre figli in un anno (due sono gemelli) e come sorella (ne ha due, Yann e Marie Caroline, che dopo essersi allontanata dal Front National nel 1998 è recentemente tornata a farsi vedere in pubblico come sostenitrice del partito). Nella brochure Le Pen dice che «le donne capiscono meglio cosa sono le ingiustizie» e sono più inclini a «difendere i più deboli»; poi condivide alcune delle sue esperienze personali, come «le persecuzioni subite per via del proprio cognome» insieme alle sorelle, tra cui l’attentato esplosivo che distrusse la casa della sua famiglia quando aveva 8 anni.

In altre immagini della campagna elettorale Le Pen è mostrata mentre beve una birra con degli agricoltori o va a pesca su un traghetto nel mare in tempesta: la sua immagine di madre è sempre accompagnata a quella di donna forte, che fa “cose da uomini”.

Il New York Times ha chiesto ad altre donne politiche francesi cosa pensino di Le Pen e del suo modo di usare il suo essere donna in questa campagna elettorale; molte la ritengono opportunista. L’ex ministra e presidente della regione Île-de-France Valérie Pécresse, dei Repubblicani, ha detto, riferendosi alle origini della carriera politica di Le Pen come figlia del fondatore del Front National: «Per me Marine Le Pen che dice di sventolare la bandiera delle donne è una truffa. Non è femminismo, è nepotismo». L’ex ministra Nathalie Kosciusko-Morizet, a sua volta membro dei Repubblicani, ha detto: «Non difende o favorisce le donne, favorisce un’unica donna, sé stessa». La deputata dei Verdi Sandrine Rousseau ha fatto notare anche come Le Pen abbia un grosso vantaggio naturale rispetto ad altre politiche, cioè quello di avere una voce bassa e profonda: spesso gli elettori non apprezzano le politiche donne anche perché ritengono che abbiano una voce stridula.

Ultimamente a Le Pen è capitato di citare famose femministe – ad esempio, Olympe de Gouges, Simone de Beauvoir e Elisabeth Badinter – ma i commentatori sono perlopiù concordi nel ritenere che non si dichiarerebbe mai femminista, nemmeno se sentisse di esserlo, per non deludere parte dei suoi elettori. Lo scorso ottobre, durante un’intervista televisiva, quando le è stato chiesto se si considerasse femminista ha detto: «Non so di cosa si occupa, il femminismo». E in effetti, nonostante i tanti riferimenti ai «diritti delle donne» fatti nel corso della sua campagna elettorale, è evidente che il femminismo non c’entri nulla con il programma del Front National. Al contrario si può dire che Le Pen sfrutti il suo essere donna facendo leva sugli stereotipi più evidenti del maschilismo, quelli per cui la donna è principalmente madre e, in Francia, un simbolo nazionale di difesa della patria. Il collettivo Osez le féminisme, uno dei più attivi gruppi femministi francesi, ha sottolineato tutto questo con lo slogan «Pas ma présidente», cioè “Non è la mia presidente”.

Perché la politica del Front National e di Marine Le Pen non c’entra con il femminismo
Ci sono varie ragioni. Ad esempio, da sempre il Front National ha avuto tra i punti del suo programma la difesa della cosiddetta “famiglia tradizionale” e per questo per anni si è opposto all’aborto. Nel 1980 il Front National aveva definito la legge sull’aborto (la legge Veil, dal nome della ministra della Sanità che la promosse) un «genocidio antifrancese» e aveva soprannominato Simone Veil «Madame Avortement», cioè “Signora Aborto”. Solo nel programma del 2007, al posto dell’abrogazione diretta della legge, il Front National ha cominciato a proporre un referendum sulla sua possibile abrogazione e delle misure per ridurre il numero di interruzioni volontarie di gravidanza. Da parte sua, Marine Le Pen ha preso una nuova posizione sull’argomento solo nel 2012, quando ha detto: «Sì al diritto all’aborto, no a quelle che ne abusano (…) e no alla presa in carico dell’interruzioni volontarie di gravidanza da parte della comunità nazionale». In pratica Le Pen difende la libera scelta «di non abortire» dopo essere state adeguatamente informate, e sostiene che in caso di necessità finanziarie le spese per le interruzioni di gravidanza, fatta eccezione nei casi successivi a uno stupro, non debbano essere a carico dello stato.

I deputati del Front National all’Assemblea nazionale hanno votato contro la legge sull’uguaglianza salariale tra uomini e donne, e contro una riforma del sistema sanitario che migliorava le condizioni di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Al Parlamento Europeo i deputati del Front National hanno votato contro numerosi testi sulla parità di genere, compresi i rapporti annuali che vengono fatti sul tema, nonostante non impongano degli obblighi ai paesi membri dell’UE. La newsletter femminista Les Glorieuses ha analizzato i voti di Le Pen come europarlamentare (è stata eletta nel 2004) e ha calcolato che su 43 testi riguardanti i diritti delle donne Le Pen ha votato contro 17 e si è astenuta o non era presente in 21 occasioni.

Un’altra battaglia storica del Front National è quella per la «libertà delle donne di non lavorare» (l’espressione è stata usata dall’eurodeputato del FN Dominique Martin nel 2015) per occuparsi dei figli: per favorire la natalità e la crescita demografica – secondo il FN in Francia le donne hanno in media 1,8 figli, e non 2,2 come dicono le statistiche ufficiali, perché non considera i figli di donne straniere nati nel paese – fin dagli anni Novanta il partito propone un sussidio per le madri, per permettere loro di occuparsi dell’educazione dei figli invece di lavorare. Nel programma attuale non si parla di dare il sussidio (pari all’80 per cento del salario minimo e di una durata di tre anni, a partire dal secondo figlio) solo alle madri, ma in generale a un genitore, anche se i discorsi dei membri del FN continuano a fare riferimento soprattutto alle donne. Tuttavia secondo l’analisi del programma di Le Pen fatta dall’edizione francese di Slate, il Front National è a favore della parità salariale tra uomini e donne.

Per quanto riguarda la parità in politica la questione è più problematica. All’interno del Front National le donne sono una minoranza, sebbene la leader del partito sia una donna. Tra gli otto membri dell’ufficio esecutivo, l’organo decisionale del partito, le donne sono due su otto, Le Pen compresa; nell’assemblea del partito, il comitato centrale, sono 42 su 121. Inoltre, più volte il Front National ha aggirato la legge francese che obbliga i partiti politici a nominare un numero uguale di uomini e donne come candidati facendo dimettere alcune delle elette con il partito: dopo le ultime elezioni europee a due eurodeputate, Jeanne Pothain e Joëlle Bergeron, è stato chiesto di dimettersi per lasciare il loro posto a un uomo; Bergeron si è rifiutata e poi ha lasciato il partito. La stessa cosa è successa dopo le ultime elezioni regionali: l’eletta in Île-de-France Nathalie Betegnies ha lasciato il suo posto all’uomo che veniva dopo di lei sulla lista, Axel Loustau. Nel programma del FN del 2012 la parità di genere è definita «un’ideologia delle differenze e multiculturale» il cui scopo è istituire «una forma inversa di razzismo» di cui «le prime vittime sono gli uomini bianchi eterosessuali». Sia Marine Le Pen che sua nipote Marion Maréchal-Le Pen, deputata del Front National, hanno detto di considerare le cosiddette quote rosa una forma di discriminazione e il programma del 2017 è contrario alla «discriminazione positiva».

Slate sottolinea anche che il programma del Front National propone misure che danneggerebbero le donne straniere, quelle omosessuali (così come gli uomini omosessuali) e quelle che portano il velo. Infatti il programma propone di abolire l’aiuto medico di stato (AME) con cui la Francia paga le spese mediche degli immigrati irregolari: è un aiuto molto utile per le donne incinte, che sono tra le principali beneficiarie dell’AME. Il programma prevede anche il divieto di portare il velo in pubblico, cosa che potrebbe costringere molte donne a non frequentare luoghi pubblici. Infine vorrebbe sostituire i matrimoni tra persone dello stesso sesso con un nuovo tipo di unione civile di cui non si sa molto, ma che probabilmente vieterebbe alle coppie omosessuali di adottare bambini, visto che Le Pen si è detta contraria. Molte di queste proposte, così come la candidatura di Le Pen, sono sostenute dal collettivo Le Manif pour tous, organizzazione che riunisce esponenti di estrema destra e cattolici conservatori.

Usare i «diritti delle donne» per messaggi anti-immigrazione e anti-Islam
In realtà quando Le Pen parla di «diritti delle donne», molto spesso dicendo di essere l’unica a preoccuparsene, lo fa per affrontare con un altro argomento il fatto di essere contraria all’immigrazione. La politologa e professoressa di letteratura Cécile Alduy ha analizzato 1.300 testi scritti o pronunciati da importanti politici francesi, nel suo libro Ce qu’ils disent vraiment: les politiques pris aux mots, e ha dimostrato che tra i principali candidati alle elezioni presidenziali del 2017 Marine Le Pen è stata quella che più di tutti ha parlato di uguaglianza tra uomini e donne, ma che lo ha sempre fatto per criticare l’Islam. Le Pen è solita criticare il sessismo (e l’omofobia) solo quando a esserne responsabili sono delle persone di origine straniera, in particolare di religione musulmana, anche se femminicidi e sessimo non sono specifici di una classe sociale o di una nazionalità particolari. Ad esempio, ha parlato a lungo delle molestie sessuali avvenute a Colonia nella notte tra il 31 dicembre 2015 e il primo gennaio 2016. Il sociologo Sylvain Crépon ha definito questo lato del Front National «nazionalismo sessuale» e ha detto che «tutto ciò che riguarda le donne nel programma di Le Pen è legato alla politica famigliare e all’identità nazionale».