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  • Venerdì 28 aprile 2017

Aristide Barraud lascia il rugby

Era tra i migliori in Italia, prima di essere colpito da due proiettili negli attentati di Parigi: ha provato a tornare a giocare ma non ce l'ha fatta

di Pietro Cabrio

Immagine tratta da YouTube
Immagine tratta da YouTube

Nelle ore successive agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, il giornale l’Equipe scrisse che Aristide Barraud, rugbista francese del Marchiol Mogliano, squadra veneta campione d’Italia nel 2013, era stato gravemente ferito fuori da un ristorante in rue Bichat, a circa un chilometro di distanza dal Bataclan, la sala da concerti dove quella sera morirono novanta persone. La notizia venne poi confermata dal sito ufficiale della sua squadra, che si mise in contatto con il padre. Barraud fu ricoverato in gravi condizioni, ma poi sì capì che sarebbe sopravvissuto. Ieri, un anno e mezzo dopo, ha annunciato che le sue condizioni fisiche non gli permettono più di giocare a rugby, nonostante ci abbia provato. Dopo aver parlato con compagni di squadra, allenatori e dirigenti del Mogliano, Barraud ha inviato al club una lettera, pubblicata ieri dal sito ufficiale.

Ho lottato, dal primo giorno in cui mi sono reso conto di cosa era successo. Ho scelto di tornare sul campo contro le raccomandazioni dei chirurghi. Mi hanno assecondato e ho iniziato questo percorso pazzesco, recuperando la forma fisica al di là di tutte le previsioni, grazie all’aiuto ed al sostegno che ho ricevuto.

La mia società Mogliano Rugby, i Lyons Piacenza, la Federazione, i miei amici, lo staff, la dirigenza, sono stati fantastici fin dal primo giorno. Nicolò Pagotto [direttore sportivo del Mogliano] e Marcella Bounous [psicologa] mi sono stati vicini quando serviva, senza di loro non avrei potuto fare niente. Giorgio Da Lozzo [capo dei preparatori], con il quale ho fatto dei passi incredibili. La sua professionalità, le sue competenze e la sua amicizia, sono stati le miei armi per continuare a lottare contro le sofferenze che provavo. Ho conosciuto quotidianamente dei dolori che mai avrei potuto immaginare.

Ho ricevuto messaggi da tutta l’Italia, tutte sollecitazioni che mi hanno dato la spinta e la carica necessaria per superare positivamente ogni secondo delle mie giornate. Proprio come su un campo da Rugby, dove da solo non sei nulla, insieme agli altri puoi realizzare qualsiasi cosa, quindi mi sono fatto aiutare e ci ho creduto dal primo all’ultimo giorno.

Ma adesso qualcosa è cambiato. Da tre mesi ho visto il mio corpo non accettare più lo sforzo fisico e inviarmi segnali negativi, troppi. Ho 28 anni, il mio corpo è a dir poco distrutto. Due mesi fa mi hanno diagnosticato ulteriori problemi causati dalle cure effettuate per tenermi in vita. Con tutti gli altri danni fisici subiti, non sono cose che posso trascurare ed ho iniziato ad aver paura per la mia vita. Tornando a giocare rischio oggettivamente la morte, e morire in campo, davanti ai miei amici e a chi mi vuole bene non mi sembra assolutamente una buona idea.

Volevo arrivare fino in fondo, raggiungere l’obiettivo che pensavo fosse tornare quello di prima, ma evidentemente non mi ero reso conto di quanto fosse realisticamente impossibile. Ho lottato con tutte le mie forze e sono vivo, spaccato, distrutto, ma ancora in piedi ben saldo sulle mie gambe. Il rugby mi ha salvato la vita, l’idea di tornare a giocare mi ha salvato la vita. Mi ha tenuto lontano anche dall’incubo della follia. Però adesso devo ascoltare quello che il mio corpo mi sta dicendo da tempo, sono arrivato al limite e non intendo più oltrepassarlo.

Mi sono chiesto spesso cos’è davvero il coraggio, se insistere su questa strada sfidando la morte, oppure avere la forza e la lucidità per rinunciare ad inseguire un sogno troppo grande ed irraggiungibile. Non ho una risposta e non la voglio nemmeno trovare, semplicemente mi fermo qui, ma a testa alta. Sono felice per aver vinto l’ultima partita della mia carriera alla presenza di mio papà, di aver messo tra i pali il mio ultimo calcio. Ho dato il massimo superando qualsiasi aspettativa dei medici. Lo stesso ha fatto anche mia sorella, che in quanto a determinazione mi assomiglia moltissimo. Non avrò rimpianti per non averci provato ed è questa la cosa che mi sembra più importante.

Adesso ho bisogno di continuare a curarmi, nel corpo e nella testa. Sono stato in “battaglia” dal primo giorno, da quando mi sono svegliato più morto che vivo. Ho bisogno di tempo, ed ho voluto scrivere queste righe perché in questo momento non voglio rilasciare altre interviste e parlare ancora di queste cose. Voglio staccare con tutto, anche con il Rugby. Tornerò, sicuramente tornerò, perché questo sport è la mia vita, ma lo farò quando starò davvero bene e potrò dare il meglio di me stesso per gli altri.

Penso che un domani potrò essere utile a quelli che rappresenteranno il futuro di questo sport. Amo il rugby e amo la gente che lo vive con passione. L’Italia mi ha dato tantissimo e un giorno vorrei poter restituire quello che ho ricevuto. Sono stati 4 anni durante i quali sono cresciuto diventando l’uomo che volevo essere. Ho costruito delle amicizie che dureranno per la vita, e una parte di me rimarrà italiana per sempre.

Non potrò mai ringraziare abbastanza tutti quelli che mi hanno aiutato e sostenuto, forse il modo migliore è quello di promettervi di non mollare mai e di continuare a vivere con forza e determinazione, tenendo sempre ben stretto nel profondo del mio cuore quanto mi avete dato.

Ciao a tutti.

Aristide

La sera del 13 novembre 2015, Barraud si trovava fuori dal ristorante Le Petit Cambodge, in una zona di Parigi compresa tra la stazione Gare de Paris Est e la sala concerti del Bataclan. Era con la sorella e altri tre amici ed erano le nove e mezza circa, quando degli uomini armati arrivarono davanti al locale in rue Bichat, scesero da una macchina e cominciarono a sparare sulla gente per strada, fino a scaricare le armi. Un proiettile colpì la sorella al braccio, altri due colpirono Barraud: uno alla caviglia e l’altro, quello per cui rischiò di morire, al torace, perforandogli un polmone. Barraud e la sorella ebbero la fortuna di trovarsi praticamente davanti all’ospedale Saint Louis, dove vennero portati in pochi minuti anche grazie all’intervento di Serge Simon, ex pilone della nazionale francese di rugby. Simon, ora medico, si trovava a casa di un amico proprio sopra il ristorante. Sentì i colpi, si affacciò al balcone e vide decine di persone ferite. Scese in strada e fra gli altri prestò soccorso a Barraud e a sua sorella.

Barraud venne operato d’urgenza e rimase sedato per circa cinque giorni. Il 19 novembre i medici lo dichiararono fuori pericolo e il 2 dicembre lasciò l’ospedale Saint Louis per tornare nella sua casa di Massy, un comune a sud di Parigi. Lì iniziò la riabilitazione, seguito dallo staff dello Stade Francais, la squadra di rugby parigina con cui iniziò a giocare a 17 anni, e del Mogliano, dove si era trasferito nel 2014, dopo una stagione passata a Piacenza. Con un post su Facebook, due settimane dopo essere tornato a casa, scrisse di stare bene e di voler ritornare a giocare “al cento per cento delle capacità fisiche”. A gennaio si presentò allo stadio Beltrametti di Piacenza per la partita del campionato d’Eccellenza fra Piacenza e Mogliano, la sue due squadre italiane, e pochi giorni dopo si sottopose all’ultimo intervento di pulizia per rimuovere le schegge rimaste nella caviglia dal giorno degli attentati. Tornò ad allenarsi a Mogliano, ma non ancora con il resto della squadra, nel maggio del 2016.


La riabilitazione è continuata per mesi, fino a poche settimane fa. L’obiettivo iniziale di Barraud era ritornare a disposizione del Mogliano per la primavera di quest’anno. A distanza di un anno e mezzo, in cui il dolore al torace non ha smesso di ripresentarsi, e dopo l’insorgere di altri problemi dovuti alle ferite e alle operazioni subite nelle prime ore di ricovero, Barraud, 28 anni da poco compiuti, ha annunciato di non poter più tornare a giocare a rugby. Dal 2013, anno in cui si trasferì in Italia, Barraud è stato uno dei miglior giocatori del campionato d’Eccellenza (la Serie A del rugby, per intenderci). Giocava come mediano d’apertura: nel suo ultimo anno era stato il miglior marcatore del campionato e uno dei candidati al titolo di miglior giocatore della stagione.