• Mondo
  • Giovedì 20 aprile 2017

Il tribunale speciale per i Khmer Rossi è stato un fallimento?

Dopo 10 anni di lavoro, e a quasi 40 anni dalla fine del violentissimo regime comunista, sono state condannate solo tre persone: ma forse ci sono stati benefici meno evidenti per la Cambogia

Donne e bambini cambogiani in attesa dell'arrivo dei Khmer Rossi in un villaggio a nord ovest di Phnom Penh, 7 aprile 1975 (AP Photo / Moonface)
Donne e bambini cambogiani in attesa dell'arrivo dei Khmer Rossi in un villaggio a nord ovest di Phnom Penh, 7 aprile 1975 (AP Photo / Moonface)

Lunedì 17 aprile è stato il quarantaduesimo anniversario dell’inizio del regime militare dei Khmer Rossi guidati da Pol Pot, in Cambogia: fu uno dei regimi comunisti più violenti e sanguinosi, durò solo quattro anni, dal 1975 al 1979, ma provocò migrazioni forzate, esecuzioni sommarie e, in tutto, quasi due milioni di morti. Lo scorso novembre, dopo quasi quarant’anni dalla fine del regime, il Tribunale speciale sostenuto dalle Nazioni Unite per processare i responsabili dei crimini di guerra di quegli anni è arrivato alla conferma delle condanne a cui è giunto: solo tre, cosa che ne ha messo in discussione la reale utilità, visti i dieci anni che sono occorsi per i diversi gradi di giudizio e i 300 milioni di dollari che sono serviti per far procedere i lavori.

Il Tribunale speciale per i Khmer Rossi è un tribunale misto formato da giudici sia cambogiani sia di altre nazionalità, che è stato istituito nel 2006 con un accordo tra Cambogia e Nazioni Unite con l’obiettivo di processare i responsabili dei crimini compiuti durante gli anni di governo dei Khmer Rossi. Le tre condanne a cui si è arrivati dopo 10 anni di lavoro sono per ora le uniche, a fronte della morte di almeno 1,7 milioni di cambogiani tra il 1975 al 1979, quando il regime dei Khmer Rossi fu responsabile dell’uccisione di circa un quarto della popolazione cambogiana in quegli anni, a causa di malnutrizione, assenza di strutture mediche, eccesso di carichi di lavoro e condanne a morte di massa.

Il primo processo del Tribunale speciale risale al 2009: Kaing Guek Eav, detto Duch, un ex direttore del carcere dei Khmer Rossi, venne condannato a 35 anni per crimini contro l’umanità circa un anno dopo. Nell’agosto del 2014 vennero condannati all’ergastolo altri due importanti esponenti dell’ex regime cambogiano dei Khmer Rossi: Khieu Samphan, che oggi ha 85 anni e che era capo di stato di quel regime, e Nuon Chea, 90 anni, che era allora l’ideologo del partito. Il processo contro Samphan e Chea era cominciato nel novembre del 2011, ma dei quattro imputati ne erano rimasti solo due: il ministro degli Esteri del regime dei Khmer Rossi, Ieng Sary, era morto nel 2013, mentre sua moglie Ieng Thirith, ministro degli Affari Sociali, era già stata ritenuta incapace di sostenere un processo nel 2012, quando le era stata diagnosticata la demenza prima della sua morte nel 2013. Nel 2014 il giudice del Tribunale Nil Nonn disse che i due uomini erano stati riconosciuti colpevoli di «sterminio, persecuzioni politiche e altri atti disumani tra cui il trasferimento forzato, le sparizioni forzate e gli attacchi contro la dignità umana». E nel 2014 era cominciato a loro carico anche un altro spezzone del processo, per l’accusa di genocidio. A causa delle condizioni di salute precarie dei due imputati, il processo era infatti stato diviso in diversi parti, in modo da accelerare i tempi almeno delle prime sentenze.

Oggi ci sono altri potenziali imputati che sono stati indagati dal tribunale, ma a causa delle resistenze del governo della Cambogia ci sono seri dubbi che le accuse nei loro confronti verranno portate avanti. La lentezza del processo e la sua suscettibilità alle interferenze politiche, dice il New York Times, «sono in parte il risultato di un compromesso raggiunto dalla Cambogia e dalle Nazioni Unite, quando hanno deciso di istituire un tribunale internazionale misto». D’altra parte diversi dubbi sull’efficacia e sull’indipendenza del tribunale erano stati posti fin dall’inizio, cioè dal 2006.

La Cambogia ha avuto una storia molto movimentata, a partire dalla colonizzazione dei francesi. Divenne indipendente nel 1954 sotto la guida di re Norodom Sihanuk, subì un colpo di stato nel 1970 guidato dal generale Lon Nol e fu governata per diversi anni da Pol Pot e dai Khmer rossi, che conquistarono il potere nel 1975 dopo cinque anni di guerra civile. Poi, nel 1979, la Cambogia subì l’invasione da parte del Vietnam, che portò al rovesciamento del sanguinoso governo di Pol Pot e alla proclamazione della Repubblica popolare di Cambogia: le truppe vietnamite completarono il loro ritiro dal territorio cambogiano solo nel 1989, e le prime elezioni sotto il controllo dell’ONU si tennero nel 1993. Nel 1991, dopo il ritiro delle truppe vietnamite e con gli accordi di Parigi (stipulati sulla base di un piano di pace formulato dai cinque membri permanenti delle Nazioni Unite) iniziò per la Cambogia una difficile fase di transizione verso la democrazia. Fu creato un Consiglio nazionale supremo (CNS), composto dai rappresentanti delle quattro principali forze politiche cambogiane tra cui il Partito popolare cambogiano, PPC, guidato da Hun Sen, l’attuale primo ministro.

Hun Sen si è però opposto a ulteriori processi da parte del Tribunale speciale suggerendo che avrebbero potuto causare una guerra civile, vista la complicata storia del paese. Dell’attuale governo fanno parte anche diversi ex membri dei Khmer Rossi, compreso lo stesso Hun Sen che vi aderì quando aveva poco più di vent’anni. Oltre a cercare di limitare il numero degli imputati, la Cambogia ha anche negato l’accesso a potenziali testimoni che attualmente ricoprono importanti cariche di governo.

(Il regime dei Khmer Rossi)

Il numero limitato di condanne è poi in parte dovuto anche al fatto che molti degli imputati potenziali sono morti e che il tribunale si è dato l’obiettivo di perseguire solo gli alti dirigenti e coloro che hanno avuto maggiori responsabilità. Questa seconda categoria è piuttosto vaga e finora è stata applicata a una sola persona, Kaing Guek Eav, il direttore di una prigione. Lo scorso febbraio la corte ha stabilito che un’altra funzionaria dei Khmer Rossi, Im Chaem, che ora ha 74 anni, non rientrava nella categoria dei “maggiori responsabili”, anche se era stata accusata di aver diretto e coordinato la morte di decine di migliaia di persone in un campo di lavoro.

Nonostante i modesti risultati e le difficoltà, diversi esperti continuano comunque a difendere il Tribunale che ha un ruolo importante sia dal punto di vista simbolico che pratico: perché ha fatto emergere molti dettagli di quel periodo storico che si tende a dimenticare e perché anche poca giustizia è meglio che nessuna giustizia, come ha spiegato uno studioso al New York Times. Il fatto che la sede del tribunale sia in Cambogia ha poi contribuito a creare maggiore consapevolezza nel paese: nel 2009 una breve storia del periodo dei Khmer Rossi è stata per la prima volta inserita nel programma delle scuole superiori, dopo trent’anni anni di silenzio. Va poi detto che in generale i tempi dei tribunali di questo tipo sono molto lunghi, nonostante il basso numero di imputati dei Khmer Rossi non abbia pari: il processo per crimini di guerra per il genocidio del Ruanda è durato 20 anni, ha portato a 61 condanne e a 14 assoluzioni ed è costato tra l’uno e i due miliardi di dollari. Il tribunale penale internazionale che indaga sui crimini commessi nell’ex Jugoslavia è stato creato nel 1993 e sta lavorando da più di 23 anni: ha portato a 83 condanne e a 19 assoluzioni a un costo stimato di più di 2 miliardi di dollari.