Il discorso di Joan Baez alla Rock & Roll Hall of Fame

La famosissima cantante folk americana è entrata a farne parte venerdì, e ne ha approfittato per ripercorrere la sua carriera partendo da sua nipote e Taylor Swift

Joan Baez si esibisce alla cerimonia di ammissione alla Rock & Roll Hall of Fame del 2017, al Barclays Center di New York, il 7 aprile 2017 (Charles Sykes/Invision/AP)
Joan Baez si esibisce alla cerimonia di ammissione alla Rock & Roll Hall of Fame del 2017, al Barclays Center di New York, il 7 aprile 2017 (Charles Sykes/Invision/AP)

Venerdì 7 aprile la celebre cantante folk americana  Joan Baez è stata inserita nella Rock & Roll Hall of Fame, un riconoscimento dedicato ad artisti che hanno avuto una particolare influenza nella storia della musica rock, ma non solo. Quella che trovate di seguito è la traduzione del discorso di Baez durante la cerimonia annuale a New York.

È un enorme piacere accettare stasera questo premio prestigioso e molto figo. Ringrazio la Hall of Fame per questo riconoscimento unico. Un ringraziamento speciale va al mio manager, Mark Spector, per aver fatto sì che la mia carriera rimanesse visibile, possibile e vibrante. So che sto parlando a molti giovani che, senza questo ingresso nella Rock & Roll Hall of Fame, non avrebbero idea di chi sono. Mia nipote non ne aveva idea fino a quando non l’ho portata nel backstage a un concerto di Taylor Swift, dove si è fatta un selfie, ha avuto un autografo, una maglietta e trovato un rinnovato rispetto per sua nonna.

Anche se non si può dire che io sia un’artista di rock & roll, non si può tralasciare la musica folk degli anni Sessanta e l’impatto immenso che ebbe sulla musica pop, rock & roll compreso. Come non si può tralasciare nemmeno il ruolo che ho avuto in quel fenomeno. Ho avuto la fortuna di trovare la mia voce quando i coffee shop erano all’ordine del giorno. Il mio primo lavoro nel mondo della musica fu al Club 47 di Harvard Square, il martedì sera, dove cantavo in tre sessioni per quindici dollari a serata, il tutto mentre venivo allegramente bocciata all’università. Devo i miei esordi agli amici e agli artisti folk da cui ho preso gli accordi, le melodie, il modo di suonare con le dita e il mio primo repertorio.

Ancora una volta, nel posto giusto e al momento giusto, conobbi e diventai amica della maggior parte degli idoli rock & roll degli anni Sessanta e Settanta. Porto avanti alcune di quelle amicizie ancora oggi. La maggior parte di noi, nella comunità folk e rock, condivide similitudini e differenze sul modo in cui siamo arrivati dove siamo oggi. Condividiamo anche la consapevolezza propria dei fortunati e dei bizzarri, che ci accompagna nelle nostre vite quotidiane, vite che raramente sono davvero private. Una volta, quando fui riconosciuta e avvicinata da un fan per strada, una mia amica mi disse: «Dai, ammettilo: ti piace un sacco». Le dissi che non c’era niente da ammettere. Era un dato di fatto. Il mio pubblico è una sorta di famiglia. Sono in debito con quegli artisti rock & roll che non ci sono più ormai da molto tempo e con quelli ancora vivi che hanno arricchito e illuminato la mia vita, dal vinile al digitale passando da tutto quello c’è stato in mezzo, per tornare poi al vinile.

La mia infanzia è stata piena di musica classica, country, rhythm and blues, e dell’hit parade. Quando avevo 16 anni mia zia mi portò a vedere un concerto di Pete Seeger. Mia mamma invece portò a casa un disco di Harry Belafonte. Nonostante non fosse nemmeno lontanamente meraviglioso quanto Harry, Pete si impegnava già allora a realizzare cambiamenti sociali. Pagò un prezzo molto alto per aver tenuto fede ai suoi principi. Da Pete ho imparato quale fosse il significato di correre un rischio. La Guerra fredda stava prendendo piede, dando inizio a un periodo vergognoso in questo paese. All’epoca la mia famiglia era quacchera, oltre che socialmente e politicamente attiva. L’influenza che Pete ebbe su di me fu come un buon vaccino, e così spostai la mia attenzione verso la musica folk e l’attivismo politico.

Il mio dono più grande è la mia voce. Posso parlare liberamente della sua unicità proprio per questo. Perché è un dono. Il secondo dono più grande fu il desiderio di usare la mia voce nel modo in cui l’ho usata sin da quando, a 16 anni, diventai una studiosa e praticante della nonviolenza, nella mia vita personale e come modo di combattere per il cambiamento sociale. Usare la mia voce nella battaglia contro le ingiustizie ha dato alla mia vita un significato profondo e un piacere infinito. Mi ha messo in contatto con il mio obiettivo, ma anche con persone di qualsiasi contesto, persone aperte, generose, amanti del divertimento, lavoratrici, in questo paese e in giro per il mondo. Mi ha messo in contatto con i ricchi, le persone bloccate dall’egoismo, e con quelli che mettono a disposizione generosamente il loro tempo e le loro risorse a vantaggio dei meno fortunati e per illuminare la strada affinché altri facciano altrettanto.

Ho incontrato, cercando di mettermi nei loro panni, gli affamati, gli assetati, persone che soffrono il freddo e persone che sono ai margini. Persone incarcerate per le loro convinzioni e altre che avevano violato la legge, pagato il prezzo delle loro azioni e ora vivono nella disperazione e nello sconforto. Ex detenuti che hanno passato decenni in isolamento in attesa dell’esecuzione. Profughi esausti, immigrati, gli esclusi e i prevaricati. Quelli che hanno combattuto per il nostro paese, che hanno fatto sacrifici e oggi vivono nell’ombra del rifiuto. Persone di colore, i vecchi, i malati, le persone con difficoltà fisiche, la comunità LGBTQ.

E oggi, nella nuova realtà politica e culturale in cui ci troviamo, c’è molto lavoro da fare. Là dove l’empatia sta scomparendo e la condivisione viene usurpata dall’avidità e dalla brama di potere, dobbiamo raddoppiare, triplicare, quadruplicare i nostri sforzi per dimostrare empatia, offrire le nostre risorse e noi stessi. Abroghiamo e sostituiamo insieme la brutalità e facciamo in modo che queste diventino priorità appassionate. Costruiamo insieme un ponte, un grandioso e bellissimo ponte per accogliere ancora una volta gli esausti e i poveri. E pagheremo questo ponte con il nostro impegno. Noi, il popolo, siamo gli unici a poter creare il cambiamento. Sono pronta, spero lo siate anche voi.

Voglio che mia nipote sappia che ho combattuto contro una corrente di malvagità e che le masse sono state dalla mia parte. Quando tutto questo è accompagnato dalla musica, di qualsiasi genere, la battaglia per un mondo migliore, un passo alla volta, non diventa solamente sopportabile, ma anche possibile e meravigliosa. Grazie.