Perché abbiamo voluto “Nativi”

Roberto Marone di Otto racconta quello che si vede e si pensa stando in mezzo a un'Italia già cambiata

di Roberto Marone

Perché poi la domanda, dopo un mese di questo speciale, è un po’ questa: perché a noi di oTTo, a un certo punto, è venuto il pallino della seconda generazione?
E in fondo la risposta è semplice: perché se hai un’impresa, piccola, media, grande, a Milano, quelli che lavorano con te, che ti mandano i curriculum, che vengono da te, sono i nuovi italiani. Ok, non tanto se fai il fotografo, il giornalista, o il programmatore php, ma se insomma fai un lavoro più normale, intorno – proprio intorno, a 35 centimetri – hai uno che non è del tutto italiano. E magari parla italiano meglio di te.

Ce l’hai tutto il giorno di fianco, che lavora con te, ce l’hai che ti scrive con le maiUscoLe un po’ oVunQue, le K dappertutto. Ce l’hai che ti chiede di mettere la musica e tu non conosci mai cosa sta mettendo. Ce l’hai con i passeggini, con gli occhi a mandorla, che chiede al tuo barman di essere il padrino di suo figlio, e il giorno che va al battesimo ha gli occhi lucidi. Perché il barman ha 24 anni, e non sa manco come si fa, il padrino di uno scricciolo filippino di 40 giorni. Non sa nemmeno se è cattolico (si ok, lo sa, glielo hanno detto). Ma insomma se hai una piccola impresa, questa cosa della seconda generazione ti entra nella vita. Perché contrariamente al racconto dei giornali, e della politica, questi italiani non sono una notizia, o una cosa da capire, questi italiani sono proprio qui, vicino a noi. Giorno per giorno, al tuo fianco. E sono la tua Italia.

E ti chiedono le leggi, ti chiedono di Renzi, ti chiedono della Sicilia, ti chiedono cos’è il Chianti, e chi è Francesco De Gregori. E tu, mentre rispondi, ti chiedi: ma allora cos’è l’Italia?
Se per te l’Italia è il Chianti, De Gregori, Pippo Baudo, e Rai 3 (e non dico Moro, Tenco, il Morellino, o Gramsci) e invece questi italiani, ovvero i prossimi italiani, non sanno cosa siano, allora piano piano cominci a pensare che forse la tua idea di Italia è sbagliata. O solo vecchia, o fuori fuoco. O forse è una filter bubble da italiano.

Insomma ti fai delle domande. Ti chiedi se, fra 30 anni, quando i nuovi italiani saranno la maggioranza, Pippo Baudo non esisterà più nella memoria, e nemmeno il Chianti, e il risotto, e la pizza. E per mere questioni numeriche tutto quello che per noi è ovvio, storia, memoria, cultura, identità, forse sarà solo un feticcio in mezzo ad altri feticci. Proviamo a fare un esempio: per la stragrande maggioranza degli americani oggi il cappello da cowboy è il ricordo della nonna nel cassetto? È un pezzo di storia del paese? È una cosa sentita?

La risposta è facile: di solito no. Quasi nessun americano ha una foto del nonno stile western col cappello e il cavallo. Sono passate troppe generazioni di immigrati, e i nonni venivano dalla Germania, dall’Italia, dal Messico. Il nonno aveva la coppola, per capirci. Che insieme al cappello da cowboy è un pezzo di mille altre cose che fanno un’identità, in parte antiche e in parte ricambiate continuamente. Il nonno di Springsteen, di De Niro, di Madonna, di Scorsese, persino quello di Lady Gaga, aveva la coppola. Il nonno di Obama? E il nonno di Beyonce?
Con ogni probabilità molti italiani del 2050 avranno un nonno musulmano, e una nonna con il Quihab, una nonna cinese, filippina, o nigeriana. Una mamma che parla a stento italiano, e una storia personale pazzesca che in 70 anni ha bruciato culturalmente qualunque nostra granitica certezza: semplicemente perché mio nonno era uguale a me. Il loro: no.

E quindi viene da chiedersi: cos’è questa Italia che ci sta crescendo intorno? Che ripercussioni culturali, identitarie, politiche, avrà? Quanto questa cosa ha cambiato gli USA o la Francia e come lo farà da noi? Oppure, provando a fare domande più facili: quali saranno i nostri Robinson (nel senso della sitcom)? La nostra serie tv musulmana? Il nostro posto al sole di mulatti? Chi sarà la nostra Rihanna? Il nostro De Niro? La nostra Jennifer Lopez che vince Sanremo? E il nostro Martin Scorsese a Cannes? E il nostro Obama? Il nostro primo premier di origini nordafricane? Col nonno arrivato col gommone?
Saranno i figli di chi oggi ha 20 anni. Sicuro. Non c’è ombra di dubbio: non c’è da temerlo né da auspicarlo, è tutto già intorno a noi.
I figli dei ragazzi che oggi lavorano per noi, da oTTo, o che vengono come clienti, saranno anche loro la classe dirigente di questo paese, saranno l’energia, la bellezza, la forza di questo paese che è nostro, ma anche loro.
E quanto è bello oggi provare a immaginarlo? Provare a capirlo? E prevederlo?

Per una piccola azienda, e ancor più per un giornale, capire e raccontare questo significa immaginarne i prossimi passi, vedere le prossime mosse, e immaginare un prossimo futuro. A noi interessa.
Pensare chi sono loro, oggi, significa capire chi saremo, domani.

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