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  • Venerdì 31 marzo 2017

Netanyahu prova a tenere un piede in due scarpe

Due decisioni sugli insediamenti prese nel giro di poche ore cercano di compiacere sia la destra israeliana sia gli Stati Uniti

( Etienne Oliveau/Pool/Getty Images)
( Etienne Oliveau/Pool/Getty Images)

Nel giro di poche ore il governo israeliano ha preso due importanti decisioni sulle colonie in Cisgiordania, cioè comunità israeliane costruite in terra palestinese non riconosciute dalla maggior parte della comunità internazionale.

Giovedì il governo ha approvato la costruzione di una nuova colonia, che sarà chiamata Geulat Zion e sarà situata vicino alla colonia di Shilo, a nord di Ramallah, la capitale amministrativa dello stato palestinese. Geulat Zion sarà la prima colonia costruita dallo stato israeliano da circa 25 anni a questa parte, ma le circostanze della sua nascita sono piuttosto straordinarie: sarà fondata come “risarcimento” da parte del governo per gli abitanti di Amona, un insediamento non autorizzato evacuato all’inizio di febbraio dopo una sentenza della Corte suprema. Poche ore più tardi un Consiglio dei ministri ristretto tra chi si occupa di sicurezza ha approvato informalmente una politica più moderata riguardo l’espansione delle colonie esistenti, su esplicita richiesta dell’amministrazione statunitense (che già da settimane stava insistendo su questo punto col governo israeliano).

Diversi osservatori ritengono che il primo ministro Benjamin Netanyahu stia cercando di compiacere due dei suoi più stretti alleati, che sul tema delle colonie la pensano in modo diverso. I partiti nazionalisti di destra che sostengono la sua fragile coalizione di governo, per esempio, parlano sempre più apertamente di annettere la Cisgiordania e costruire nuove colonie, senza limitarsi alla sola espansione di quelle esistenti (che in questi anni non si è mai interrotta, nonostante l’opposizione della comunità internazionale). La nuova politica di moderazione serve invece a dimostrare la propria disponibilità all’amministrazione americana di Donald Trump, che durante alcuni negoziati preliminari che stanno andando avanti da settimane ha chiesto al governo israeliano di limitare le espansioni. Secondo Haaretz, durante il Consiglio dei ministri di ieri sera Netanyahu avrebbe detto ai suoi colleghi che l’amministrazione Trump «è molto bendisposta, e dobbiamo prendere in considerazione le richieste che ci arrivano».

In Israele, il caso di Amona ha condizionato parecchio il dibattito politico degli ultimi mesi: le circa 40 famiglie che vivevano in questo piccolo insediamento non autorizzato hanno protestato a lungo contro la decisione della Corte Suprema, e anche dopo avere accettato formalmente di trasferirsi altrove hanno manifestato con violenza il giorno in cui è avvenuta l’evacuazione forzata.

I membri più nazionalisti del governo Netanyahu e della Knesset, il parlamento israeliano, hanno difeso per mesi gli abitanti di Amona e raccontato la loro evacuazione come un’ingiustizia; qualche mese fa sono anche arrivati a promuovere e fare approvare una legge molto controversa che legalizza di fatto tutti gli insediamenti israeliani non autorizzati dal governo (che però verrà probabilmente bocciata dalla Corte Suprema). Netanyahu si è associato a questa campagna, attirandosi le critiche della sinistra israeliana e delle ONG per i diritti dei palestinesi. «Il primo ministro ha preso un impegno con gli abitanti di Amona prima che col presidente Trump, e ha sempre detto di voler rispettare il suo piano», ha spiegato un funzionario israeliano che ha voluto rimanere anonimo al Times of Israel.

Il piano informale per ridurre l’espansione delle colonie, invece, ha l’obiettivo di dimostrare al governo americano di essere in grado di rispettare i propri impegni, e magari convincere l’amministrazione Trump a provare una nuova mediazione per un accordo di pace coi palestinesi (che potrebbe essere più sensibile di altre alle richieste israeliane, dato il legame storico fra i due stati e gli ottimi rapporti con l’amministrazione attuale).

Sembra difficile inoltre che gli Stati Uniti reagiscano in maniera forte nel caso Israele non rispetti questa nuova politica: a febbraio il governo israeliano aveva annunciato la costruzione di seimila nuove case in alcune colonie già esistenti, senza che l’amministrazione Trump protestasse o cercasse di bloccare la misura (cosa che invece sarebbe probabilmente successa con l’amministrazione di Barack Obama). Sempre secondo Haaretz, durante il Consiglio dei ministri di ieri Netanyahu ha detto che al momento gli americani «dicono di non essere d’accordo con l’espansione delle colonie, ma possono conviverci e non provocheranno una crisi internazionale ogni volta che sarà costruita una nuova casa».