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  • Venerdì 24 marzo 2017

Perché le intelligence europee non riescono a prevenire tutti gli attentati?

C'entrano l'alto numero di persone già radicalizzate da sorvegliare e la facilità di procurarsi le "armi", se anche una macchina lo è

(Carl Court/Getty Images)
(Carl Court/Getty Images)

Le ultime informazioni diffuse dalla polizia di Londra su Khalid Masood, l’uomo che mercoledì ha ucciso quattro persone in un attentato di fronte al Parlamento britannico, hanno sollevato diversi dubbi sulla capacità delle forze di sicurezza europee di anticipare attacchi di questo tipo. Masood aveva precedenti penali ma nessuna condanna per terrorismo. Qualche anno fa era stato controllato dall’intelligence britannica per attività legate all’estremismo violento, ma poi l’indagine era stata abbandonata perché non c’era alcuna prova che dimostrasse l’intenzione di Masood di preparare un attacco. Circostanze simili si erano già verificate in passato: per esempio le autorità tedesche avevano interrotto la sorveglianza di Anis Amri, l’attentatore di Berlino, perché non lo ritenevano più una minaccia. Le autorità francesi avevano deciso di non sorvegliare Ziyed Ben Belgacem, l’aggressore dell’aeroporto di Parigi Orly, nonostante la casa dell’uomo fosse stata perquisita dalla polizia dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015.

In generale i problemi delle intelligence europee sembrano essere due. Primo: l’enorme numero di persone che per una ragione o per l’altra sono considerate una minaccia per la sicurezza nazionale. È un discorso che vale soprattutto per la Francia, il Belgio e il Regno Unito, tre fra i paesi europei che hanno fornito più “foreign fighters” (combattenti stranieri) allo Stato Islamico in Siria e in Iraq. In Francia ci sono più di 16mila persone che secondo le autorità potrebbero essersi radicalizzate, e nonostante gli enormi sforzi dell’intelligence oggi solo 11.500 sono oggetto di un qualche tipo di sorveglianza. In Germania il numero degli estremisti islamisti è aumentato moltissimo negli ultimi anni: nel 2013 erano 100, oggi sono 1.600, di cui 570 considerati in grado di compiere un attentato terroristico. Sorvegliare tutti non è possibile, servirebbe un esercito solo per questo. E anche se si aumentasse in maniera significativa il numero degli agenti destinati alla sorveglianza, rimarrebbero i limiti stabiliti dalla legge: normalmente misure di questo tipo richiedono l’autorizzazione di un giudice, che però può muoversi solamente quando esistono determinate circostanze (prove concrete di colpevolezza per esempio). Per queste ragioni molti paesi europei hanno cominciato da tempo ad avviare programmi da affiancare all’attività di intelligence, come quelli di prevenzione della radicalizzazione, per esempio favorendo il dialogo inter-religioso, e quelli di de-radicalizzazione, destinati a coloro che hanno già adottato posizioni estremiste.

Il secondo problema per le intelligence europee è che gli attentati in Europa vengono compiuti sempre più spesso usando armi facilmente reperibili, come coltelli o veicoli da lanciare su una folla, che non hanno bisogno di alcun particolare tipo di addestramento. È successo con la strage di Nizza, il 14 luglio 2016, quando Mohamed Lahouaiej-Bouhlel ha investito con un camion decine di persone che stavano partecipando alle celebrazioni per l’anniversario della presa della Bastiglia; è successo a Berlino il 19 dicembre, quando Anis Amri ha investito la folla ai mercatini di Natale nel centro città; e a Londra mercoledì scorso, quando Khalid Masood ha usato una macchina a noleggio per investire alcune persone sul ponte di Westminster, di fronte al Parlamento britannico. Va poi considerata un’altra cosa. Capita sempre più spesso che gli attentatori abbiano precedenti penali per reati comuni ma non per terrorismo. Se queste persone non fanno parte di reti o organizzazioni estremiste già conosciute alle autorità, è più difficile che vengano sottoposte a sorveglianza, a meno che non assumano comportamenti che mostrino chiaramente l’intenzione di compiere un attentato.

In risposta a queste nuove minacce, le autorità di diversi paesi europei stanno cercando di adottare nuove soluzioni (tra cui rendere le città più protette dagli attentati condotti con veicoli lanciati sulla folla). Per esempio la Francia ha ampliato i poteri dell’intelligence e della polizia e ha impiegato più di 10mila soldati armati nella sorveglianza di posti che potrebbero essere potenziali obiettivi di attentati terroristici. In Germania sono state rinforzate le procedure di controllo delle richieste di asilo – anche se finora la stragrande maggioranza degli attacchi è stata compiuta da cittadini europei – e ha sviluppato un nuovo software per monitorare le migliaia di sospetti estremisti presenti nel paese. Nel Regno Unito sono state rafforzate le attività di sorveglianza online ed è stato aumentato il budget per le spese relative alla sicurezza. Anche in Italia sono state introdotte delle novità: sono già stati inseriti nel codice penale nuovi reati, come quello che punisce i “foreign fighters” e i “lupi solitari”, ma su altre cose si va molto a rilento. Per esempio l’uso dei cosiddetti “trojan horse” nelle indagini antiterrorismo – software che possono sottrarre informazioni sensibili o accedere a sistemi informatici privati senza che l’utente se ne accorga – è bloccato dalle lungaggini dell’attività parlamentare: i “trojan horse” sono stati inseriti nella riforma del processo penale, approvata al Senato il 15 marzo e che ora però è tornata alla Camera, e non si prospettano tempi brevi per la sua definitiva approvazione.