È morto Alfredo Reichlin

Aveva 91 anni ed era stato uno storico e rispettato dirigente della sinistra italiana

Alfredo Reichlin nel gennaio 2016. (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
Alfredo Reichlin nel gennaio 2016. (ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

È morto a Roma Alfredo Reichlin, per decenni importante e rispettato politico, dirigente e giornalista della sinistra italiana. Aveva 91 anni.

Reichlin era nato a Barletta, ma si trasferì con la famiglia a Roma dopo pochi anni. Durante la guerra entrò nei Gruppi di Azioni Patriottica, le squadre di partigiani che compivano azioni di guerriglia urbana nelle grandi città ed è stato partigiano durante la Resistenza; dopo la guerra si iscrisse al Partito Comunista e cominciò a lavorare per l’Unità di cui diventò direttore a 33 anni, nel 1958. In quegli anni Reichlin faceva parte della corrente più “intransigente” del Partito Comunista Italiano (PCI), che faceva riferimento a Pietro Ingrao; successivamente fece parte spesso della maggioranza del partito e collaborò a lungo con Enrico Berlinguer.

Durante la sua carriera politica Reichlin si occupò moltissimo del sud d’Italia, fu segretario del PCI in Puglia e deputato per il PCI dal 1978. Fu eletto in parlamento col PCI per la prima volta nel 1961 e continuò a entrare in Parlamento per le sei legislature successive. Lasciò definitivamente la Camera nel 1994. Negli anni Novanta entrò nel PdS, nei DS e infine, nel 2007, entrò nel PD, presiedendone la commissione per la stesura del “Manifesto dei Valori” durante il processo di fondazione del partito. All’interno del PD è stato vicino a Massimo D’Alema ed è stato membro del comitato di indirizzo della sua fondazione, Italianieuropei. Alle ultime primarie del partito, nel dicembre 2013, ha appoggiato Gianni Cuperlo.

Sposato con Luciana Castellina, politica comunista e poi fondatrice del Manifesto, aveva due figli: Lucrezia e Pietro Reichlin, oggi entrambi importanti economisti. Dal 1982 era sposato con Roberta Carlotto. In tutti questi anni aveva continuato con regolarità a scrivere sull’Unità e intervenire nel dibattito politico della sinistra italiana.

Il suo ultimo articolo, pubblicato dall’Unità il 14 marzo, iniziava così:

Sono afflitto da mesi da una malattia che mi rende faticoso perfino scrivere queste righe. Mi sento di dover dire che è necessario un vero e proprio cambio di passo per la sinistra e per l’intero campo democratico. Se non lo faremo non saremo credibili nell’indicare una strada nuova al paese.

Non ci sono più rendite di posizione da sfruttare in una politica così screditata la quale si rivela impotente quando deve affrontare non i giochi di potere ma la cruda realtà delle ingiustizie sociali, quando deve garantire diritti, quando deve vigilare sul mercato affinché non prevalga la legge del più forte. Stiamo spazzando via una intera generazione.

Sono quindi arrivato alla conclusione che è arrivato il momento di ripensare gli equilibri fondamentali del paese, la sua architettura dopo l’unità, quando l’Italia non era una nazione. Fare in sostanza ciò che bene o male fece la destra storica e fece l’antifascismo con le grandi riforme come quella agraria o lo statuto dei lavoratori. Dedicammo metà della nostra vita al Mezzogiorno. Non bastarono le cosiddette riforme economiche. È l’Italia nel mondo con tutta la sua civiltà che va ripensata.