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  • Lunedì 20 marzo 2017

Serie A, le cose di cui parlare

I gol che non lo sono stati, quelli che continua a fare Mertens e forse è arrivato il momento di ripensare il campionato di Serie A

Mohamed Salah dopo il gol del 2-1 segnato al Sassuolo nel posticipo della Serie A
(Paolo Bruno/Getty Images)
Mohamed Salah dopo il gol del 2-1 segnato al Sassuolo nel posticipo della Serie A (Paolo Bruno/Getty Images)

Nell’ultima giornata di campionato, le prime tre squadre della classifica hanno guadagnato altri punti di vantaggio dalle inseguitrici. La Juventus ha vinto 1-0 in casa della Sampdoria, giocando un buon primo tempo ma mostrando un evidente calo di concentrazione nel secondo, cosa che in Champions League può costare un’eliminazione; contro il Sassuolo, la Roma ha recuperato un gol di svantaggio, andando poi a vincere per 3-1; il Napoli, invece, ha vinto ad Empoli 3-2, grazie ad un’altra grande giornata di Dries Mertens (che si è potuto permettere di sbagliare un rigore) e Lorenzo Insigne.

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La zona Europa League si è accorciata. Le prime due, Inter e Lazio, hanno pareggiato contro Torino e Cagliari, entrambe con molti rimpianti. Atalanta e Milan invece hanno vinto e ora i punti di distanza dalla quarta alla settima sono solo quattro. A metà classifica continuano tutti a scambiarsi le posizioni senza particolare conseguenze, dato che le ultime quattro continuano a perdere.

A costo di essere noiosi: siamo sicuri che la struttura della Serie A funzioni, per come stanno le cose?

Anche senza più obiettivi precisi, le squadre di un campionato cercano sempre di giocare al loro meglio, di vincere più partite e di perderne il meno possibile. Quelle già certe di concludere la propria stagione a metà classifica, per esempio, di certo non tirano i remi in barca: hanno giocatori che perseguono obiettivi personali, e per farlo devono servirsi delle partite che restano da giocare, e allenatori che cercano sempre, quando possibile, il modo di migliorare le proprie squadre. Ma da cinque anni a questa parte, quando è marzo (a volte anche prima), la maggioranza degli appassionati di calcio italiani si mette il cuore in pace sapendo che tutti i traguardi più prestigiosi, Scudetto e Champions League, sono già occupati. Rimangono le briciole. Quest’anno, poi, non c’è nemmeno l’incertezza data dalla zona retrocessione.

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Senza nulla togliere al lavoro fatto dalle grandi squadre per trovarsi dove sono ora, ha ancora senso che un campionato come quello italiano (in Europa ce ne sono molti altri) affidi la sua competitività quasi esclusivamente al lavoro dei club, senza cercare in alcun modo di ridurre l’evidente ed enorme disparità? La scarsa competitività fra le squadre non è un problema che si presenta solo da sei anni, cioè dall’inizio del ciclo attuale della Juventus, ma da almeno due decenni le squadre che si sono trovate in una netta situazione di superiorità hanno goduto a lungo della loro posizione, senza che le rivali avessero dei mezzi per contrastarle. E oltre a questo, chi vince si autoalimenta costantemente continuando a crescere e migliorare, mentre chi non vince nulla resta praticamente fermo.

Al mondo esistono principalmente due modi per strutturare un campionato: quello europeo, con promozioni e retrocessioni, in cui le squadre hanno pochi vincoli da rispettare, o quello nordamericano, in cui i tornei sono “chiusi” e la competitività della lega viene assicurata dalla sua struttura, che di fatto impedisce alle squadre di crescere troppo rispetto alle altre: ci sono comunque le più forti, le favorite e le meno ricche, ma i titoli in palio raramente vengono contesi dalle stesse squadre per più di un paio di stagioni. Di fondere le due strutture, cercando di prenderne gli aspetti migliori, si parla da anni: è un processo molto complicato, che in molti non vedono di buon occhio, ma alla luce dei recenti (e probabilmente dei prossimi) risultati, qualcuno dovrà pensare a qualcosa.

Il miglior giocatore della Serie A 2016/2017?

A 29 anni, il belga Dries Mertens è da una stagione e mezza nel picco della sua carriera. Da inizio anno è semplicemente incontrollabile ed è difficile trovare altri giocatori così in forma. Mertens ha iniziato la stagione giocando e segnando da esterno, la sua posizione naturale, ma dopo l’infortunio di Milik è stato spostato in posizione centrale, tra Callejon e Insigne, come falso nueve: ed è giocando in quel ruolo che è riuscito ad arrivare ai livelli di questi ultimi mesi. Ieri, contro l’Empoli, ha sbagliato un rigore ma poi ha segnato un gran gol su punizione, che ha portato a 18 il numero di gol segnati nelle ultime 15 partite con il Napoli. Da inizio anno ne ha segnati 25 in 36 partite, in media uno ogni 97 minuti, ha fornito 11 assist e questo punto si può dire che si sia impegnato a rimpiazzare i gol che garantiva Gonzalo Higuain, che però è un centravanti di quelli nati e cresciuti in quel ruolo.

Empoli FC v SSC Napoli - Serie A(Gabriele Maltinti/Getty Images)

Gol che potevano esserlo

Potevamo parlarne e rivederli per giorni, ma per un pelo sono soltanto gol sbagliati. Bravi per averci provato.

Il futuro terzino dell’Italia, Emerson Palmieri, in Roma-Sassuolo.

Ahmad Benali, centrocampista libico del Pescara, cresciuto nel Manchester City.

Nella stessa partita, Rafael Toloi ha sfiorato il suo gol della vita.

Ivan Perisic, invece, avrebbe potuto risolvere la partita dell’Inter, vincendola. Ma niente.

Il suo compagno di squadra Danilo D’Ambrosio avrebbe potuto festeggiare con un gol così la prima convocazione in nazionale della sua carriera.