Cosa ci sarà dopo i voucher

I "buoni lavoro" torneranno probabilmente entro la fine dell'anno, ma un po' diversi

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)
(ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Venerdì scorso, dopo aver annunciato l’abolizione dei voucher, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha annunciato che presto i “buoni lavoro” – usati per pagare prestazioni di lavoro occasionali – saranno sostituiti da un nuovo strumento: «Nelle prossime settimane risponderemo a una esigenza di una regolazione seria per il lavoro saltuario e occasionale», ha detto Gentiloni. Il governo ha deciso di abolire i voucher per evitare il referendum del 28 maggio, proposto dalla CGIL, che rischiava di essere una grave sconfitta politica per il PD e per il nuovo segretario del partito, che sarà eletto con le primarie del prossimo 30 aprile. L’abolizione dei voucher, però, lascia un vuoto legislativo. Da oggi non è più possibile acquistare voucher e quelli già acquistati potranno essere utilizzati fino al 31 dicembre 2017. Dal primo gennaio 2018, quindi, famiglie e imprese saranno prive di uno strumento semplice ed efficace che permetta loro di pagare regolarmente piccoli lavori di assistenza domestica e di assumere personale aggiuntivo in momenti di attività particolarmente intensa (i voucher vengono utilizzati molto nel settore turistico e della ristorazione). Per rimediare a questa situazione, il governo ha promesso di trovare uno strumento alternativo entro i prossimi mesi.

Nel 2016 circa 300 mila persone sono state retribuite con circa 130 milioni di voucher, ognuno del valore di 10 euro: 7,5 di compenso al lavoratore e 2,5 di contributi versati all’INPS e INAIL. I voucher sono stati introdotti in Italia nel 2003, ma hanno avuto una lunga storia di modifiche e cambiamenti prima di iniziare a essere utilizzati in maniera massiccia. Nel 2012 il loro utilizzo è stato liberalizzato: chiunque poteva venire pagato tramite voucher e ogni tipo di impresa poteva acquistarli per remunerare i propri lavoratori. Secondo molti, questo sistema così flessibile aveva permesso una serie di abusi: per esempio, alcune imprese invece che assumere dipendenti si affidavano a una serie di lavoratori pagati con voucher che si alternavano ai macchinari che normalmente avrebbe dovuto utilizzare un unico operaio con un contratto regolare.

I nuovi voucher per le famiglie
Esperti e consiglieri hanno spiegato in questi giorni che il governo cercherà di risolvere questi problemi introducendo strumenti diversi. In particolare: un “nuovo voucher” destinato alle famiglie, con cui pagare collaboratori domestici come babysitter, badanti o insegnanti per le ripetizioni scolastiche; e un altro strumento per le imprese.

«Per le famiglie, l’idea è riprendere il modello della Francia», ha scritto sabato il Corriere della Sera, cioè quello degli “cèchque emploi”, ossia degli “assegni di lavoro” (a volte chiamati con la sigla CESU). Gli assegni di lavoro possono essere usati soltanto dalle famiglie e servono a pagare un’agenzia che fornisce personale oppure per pagare direttamente il collaboratore. Hanno limiti temporali e di guadagno abbastanza stringenti e, soprattutto, è molto difficile abusarne, visto che tutte le operazioni devono avvenire registrandosi presso il centro nazionale CESU, che gestisce tutto il sistema e si occupa, in maniera automatica, di fornire la busta paga, compreso il calcolo dei contributi e delle altre voci di spesa.

Gli assegni di lavoro francesi sono in parte una forma di assistenza sociale: sono pensati in particolare per l’aiuto agli anziani, sono in parte finanziati dallo stato e molte famiglie li ricevono come parte di piani di welfare pubblico o privato. Tutto il sistema di richieste e utilizzo è centralizzato: è necessario compilare moduli, iscriversi a un portale e fornire i propri dati di conto corrente bancario. A quel punto, gran parte dei calcoli sui pagamenti e i pagamenti stessi vengono effettuati in maniera automatica.

Questo sistema limita molto la possibilità di compiere abusi, ma è anche abbastanza macchinoso rispetto al funzionamento dei vecchi voucher italiani, che potevano essere acquistati in tabaccheria e utilizzati in qualsiasi momento. Inoltre l’assegno francese garantisce al lavoratore un versamento di contributi molto più alto del vecchio voucher, che viene in parte coperto dallo Stato. Secondo il Corriere della Sera, l’INPS ha detto di poter gestire un equivalente italiano della piattaforma CESU francese, ma farlo significherà probabilmente spendere denaro non solo per mantenere in piedi il sistema ma anche per garantire la copertura contributiva aggiuntiva.

I voucher per le imprese
Introdurre un sistema “francese” per i lavori occasionali domestici non sembra impossibile, almeno sulla carta, anche perché riguarderà probabilmente solo una piccola parte di coloro che in passato hanno usato i voucher. Come ha ricordato la scorsa settimana il presidente dell’INPS Tito Boeri: «Solo il 3 per cento dei voucher viene utilizzato direttamente dalle famiglie». È più complicato trovare una soluzione equilibrata per quanto riguarda il lavoro occasionale all’interno delle imprese: il mercato del lavoro moderno spesso richiede flessibilità, che però deve essere conciliata con le esigenze dei lavoratori. È un problema non solo italiano ma di gran parte dei paesi europei.

Secondo quasi tutti gli esperti e secondo alcuni dei principali sindacati (come CISL e UIL, che a differenza della CGIL non sono completamente contrari ai voucher), i sistemi in vigore oggi in Italia per la retribuzione dei lavori occasionali non sono sufficienti a coprire le esigenze delle imprese e di coloro che sono disposti a lavorare in maniera saltuaria. Eliminati i voucher, lo strumento che più gli assomiglia è il lavoro a intermittenza, in cui datore di lavoro e impiegato si accordano per una prestazione lavorativa che sarà svolta in maniera saltuaria in un determinato arco di tempo (settimane o mesi). Al momento questa forma di lavoro può essere utilizzata solo da chi ha meno di 25 anni o più di 55. Il governo vorrebbe abolire questa discriminante e rendere più ampio l’elenco dei settori che possono usare questa forma di contratto (che oggi è in parte ancora regolata da un regio decreto del 1923).

Secondo i giornali, l’idea del governo è creare un sistema simile ai “mini-job” tedeschi, introdotti in Germania nel 2003, come parte del famoso pacchetto di riforme promosse dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder che hanno portato a una massiccia liberalizzazione del mercato del lavoro tedesco. I mini-job possono essere utilizzati da famiglie e imprese di tutti i tipi e servono a pagare prestazioni di lavoro occasionale. C’è un limite massimo a quanto si può guadagnare in un mese, 450 euro, anche se la regola importante da rispettare è non ricevere più di 5.400 euro in un anno (450 euro per 12 mesi), mentre in un singolo mese è possibile superare la soglia dei 450 euro, per via di picchi stagionali o momenti di attività particolarmente intensa. I mini-job garantiscono una migliore copertura assicurativa, contributiva e sanitaria rispetto ai vecchi voucher: il lavoratore ottiene uno stipendio di 450 euro e il datore di lavoro ne paga circa 200 sotto forma di contributi e assicurazione.

Il problema politico di questa soluzione è che finirebbe con il reintrodurre i vecchi voucher, con soltanto alcune differenze. Il lavoro intermittente è basato su un contratto e quindi richiede maggiori adempimenti burocratici da svolgere rispetto ai vecchi voucher che potevano semplicemente essere acquistati in tabaccheria. Se i futuri mini-job italiani venissero concessi a tutti i settori produttivi, come avviene in Germania, ci saranno probabilmente nuove critiche agli abusi e alla concorrenza che questo tipo di lavoratori farebbe a chi ha contratti più solidi. Inoltre, i mini-job sono al momento molto criticati in Germania: il candidato socialdemocratico alle elezioni del prossimo autunno, Martin Schulz, ha promesso proprio una riforma dello strumento per cercare di limitarne gli abusi. Oggi circa 7,5 milioni di tedeschi, quasi un occupato su cinque, lavorano con mini-job o hanno un mini-job come secondo lavoro.