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  • Martedì 14 marzo 2017

Si sta votando nei Paesi Bassi

Secondo i sondaggi se la giocano il centrodestra del primo ministro Mark Rutte e l'estrema destra di Geert Wilders, ma potrebbe non vincere nessuno

Mark Rutte (JERRY LAMPEN/AFP/Getty Images)
Mark Rutte (JERRY LAMPEN/AFP/Getty Images)

Nei Paesi Bassi si sta votando per le elezioni politiche. Secondo gli ultimi sondaggi, sono molto vicini nelle preferenze degli elettori il partito di centrodestra dell’attuale primo ministro, Mark Rutte, e il partito di estrema destra euroscettico, anti-immigrazione e anti-Islam di Geert Wilders. I due partiti dovrebbero ottenere ognuno tra i 20 e i 25 seggi sui 150 di cui è composto il parlamento olandese. Nessuno sembra in grado di arrivare anche solo vicino ai 76 seggi necessari per avere la maggioranza parlamentare, e visto che quasi tutti i partiti hanno già annunciato di non voler fare alleanze con Wilders, lo scenario post-elettorale più probabile sembra una grande coalizione a sostegno di un nuovo governo Rutte oppure una situazione “spagnola“, cioè un Parlamento che non riesce a esprimere una maggioranza con la conseguente convocazione di nuove elezioni.

Lo scenario più probabile
Il sistema politico olandese è tradizionalmente molto frammentato, anche a causa di una legge proporzionale con una bassissima soglia di sbarramento: sono sufficienti poco meno di 63 mila voti per essere eletti. Secondo i sondaggi, dalle elezioni uscirà un Parlamento ancora più frammentato dei precedenti, a causa del crollo dei consensi dei due principali partiti che hanno governato negli ultimi due anni: il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, quello del primo ministro Rutte, che rischia di perdere poco meno della metà degli attuali seggi (da 40 a circa 20-25), e il Partito Laburista, che dovrebbe perderne almeno tre quarti (da 38 a 9). Alle elezioni di mercoledì parteciperanno in tutto 28 partiti.

Per formare una maggioranza sarà necessaria quindi una coalizione di quattro o forse cinque partiti diversi. Quasi tutte le formazioni principali hanno escluso più o meno esplicitamente la possibilità di allearsi con Wilders e il suo Partito per la Libertà. Tolta la destra radicale, l’alleanza più probabile comprenderebbe il centrodestra liberale e la sinistra moderata, cioè il Partito Popolare di Rutte, i Cristiano Democratici, il Partito Laburista e i Democratici 66, un partito della sinistra liberale molto europeista. Non è detto però che questa coalizione ottenga i seggi sufficienti per avere una maggioranza; in questo caso sarà necessario un ulteriore allargamento, con il rischio di una maggiore eterogeneità e minore stabilità. Giornali ed esperti non escludono nemmeno la possibilità di uno scenario in cui non si riesca a formare alcuna maggioranza, con la necessità di tornare rapidamente a votare.

L’ascesa dei populisti
Per molti osservatori il voto olandese è un segnale importante della direzione che prenderà l’Europa nei prossimi mesi. In un lungo articolo pubblicato lunedì, l’Atlantic ha spiegato l’importanza che le elezioni olandesi hanno per tutto il continente. Secondo il primo ministro Rutte, se quello di Wilders dovesse risultare il primo partito del paese «la gente inizierebbe a dire che è caduta un’altra tessera del domino, non importa chi poi governerà davvero. La gente direbbe che dopo Brexit e dopo gli Stati Uniti è arrivato il turno dei Paesi Bassi, e poi forse arriverà quello della Francia, della Germania e dell’Italia». Tra aprile e maggio in Francia si voterà per le elezioni presidenziali e parlamentari, mentre in Germania si voterà a settembre.

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Tra i leader populisti europei, Wilders è quello con il programma più radicale (a parte neonazisti e neofascisti dichiarati). Wilders chiede la chiusura di tutte le moschee dei Paesi Bassi e il divieto di ingresso nel paese per i musulmani, entrambe proposte anti-costituzionali che sarebbe comunque impossibile applicare. In passato Wilders ha sostenuto la necessità di vietare la circolazione del Corano e lo ha paragonato al “Mein Kampf” di Adolf Hitler. Wilders ha ricevuto numerose minacce di morte e oggi vive sotto scorta: non è mai accompagnato da meno di sei agenti di polizia in borghese.

Non tutti i suoi sostenitori sono d’accordo alla lettera con le sue idee: molti chiedono semplicemente un atteggiamento più duro nei confronti dell’immigrazione e, in particolare, dei gruppi di musulmani radicali, piuttosto diffusi nei Paesi Bassi, così come nel vicino Belgio. I Paesi Bassi sono tradizionalmente una delle nazioni più aperte e tolleranti d’Europa, ma Wilders è stato uno dei primi a capire che c’era uno spazio politico da sfruttare proponendo politiche più restrittive.

Il successo di Wilders ha spinto l’intero centrodestra ad adottare un atteggiamento sempre più duro nei confronti dell’immigrazione. Molti, per esempio, ritengono che il recente scontro tra governo olandese e quello turco sia in parte frutto del tentativo di Rutte di non perdere troppo terreno a favore di Wilders. Il leader del Partito per la Libertà si è sempre mostrato molto abile a occupare il centro del dibattito, alzando continuamente l’asticella delle sue posizioni, dando così l’impressione di dettare l’agenda politica del paese (o facendolo effettivamente). È quello che gli osservatori chiamano spesso “effetto Wilders” e si è visto tanto nelle politiche sull’immigrazione quanto sul welfare. Come molti altri leader populisti, Wilders ha promesso di mantenere alti i livelli di assistenza pubblica ai cittadini ed è contrario a ogni ulteriore taglio al welfare. È anche un anti-europeista convinto e le sue critiche radicali all’Unione Europea hanno spinto gran parte dei suoi avversari a non toccare il tema dell’Europa, se non per esprimere il loro scetticismo.

Il crollo della sinistra
Dopo la vittoria del 2012, Rutte aveva formato un’alleanza con il Partito Laburista con il mandato di rimettere in ordine i conti pubblici, messi male a causa della crisi economica. Il suo governo ci è riuscito e con un moderato successo. Oggi il bilancio pubblico è equilibrato e la disoccupazione è al 5,3 per cento, il livello più basso degli ultimi cinque anni: insomma, il consenso per Wilders non si può spiegare – almeno non completamente – con la situazione di un paese in grande difficoltà economica. Questi risultati però hanno avuto un costo in termini di riforme impopolari e si stima che il partito di Rutte perda metà dei 40 seggi su cui può contare oggi. Ai suoi principali alleati, i Laburisti, potrebbe andare anche peggio: dei 38 seggi attuali potrebbero riuscire a conservarne solo 9.

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Negli ultimi mesi il Partito Laburista le ha provate tutte, per cercare di invertire la tendenza e recuperare consensi. Dopo quattro anni passati a sostenere le politiche di austerità del governo di coalizione, è passato a toni e a una retorica più di sinistra. Ha inviato una delegazione in Portogallo per studiare la maggioranza di sinistra moderata e sinistra radicale che sostiene il governo del primo ministro António Costa. Ha organizzato primarie combattute, con dibattiti televisivi molto seguiti. Ma nonostante gli sforzi, non è mai riuscito a invertire il trend dei sondaggi.

Secondo molti osservatori i laburisti olandesi hanno pagato la scelta di presentarsi durante gli ultimi cinque anni come “partito responsabile”, che aveva il dovere di sostenere un governo ideologicamente distante in nome della stabilità dei conti pubblici. Come ha spiegato l’ex presidente dei Giovani laburisti olandesi, Bart Van Bruggen, oggi il Partito Laburista si trova senza un messaggio credibile e i suoi appelli al “ritorno a sinistra” non fanno presa su un elettorato deluso dopo cinque anni di appoggio alla coalizione guidata dal centrodestra.