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  • Lunedì 13 marzo 2017

L’Islanda vuole che le aziende dimostrino di pagare uomini e donne allo stesso modo

La regola c'è già, ma in pochi la rispettano: lo sciopero delle donne dello scorso ottobre ha portato il governo a fare una proposta di legge

(AP Photo/Jessica Hill)
(AP Photo/Jessica Hill)

A circa quattro mesi di distanza da uno sciopero delle donne contro il cosiddetto “gender pay gap”, il governo islandese ha annunciato che proporrà una legge che impone alle società e alle aziende di certificare che pagano a uomini e donne uno stipendio uguale a parità di mansioni lavorative. Lo ha dichiarato a New York il primo ministro conservatore Bjarni Benediktsson durante un incontro per la Giornata Internazionale della donna organizzato dalla campagna “He for She” (“lui per lei”) dell’ente delle Nazioni Unite UN Women. Benediktsson ha specificato che la nuova legge si applicherà dal 2020 a tutte le società con più di 25 dipendenti e che la certificazione dovrà essere presentata obbligatoriamente ogni tre anni. In Islanda è illegale discriminare in base al sesso e in materia di lavoro e contratti viene dato per scontato, come in altri paesi, che le persone vengano retribuite sulla base di parametri che non hanno niente a che vedere con il loro genere. Questo però spesso non accade e l’Islanda potrebbe diventare il primo paese al mondo a costringere le aziende a dimostrare che la parità salariale è realmente in vigore: non è comunque ancora chiaro perché sia stato fissato il limite dei 25 dipendenti o quali saranno le conseguenze per le società che non rispetteranno tale obbligo.

Secondo diversi analisti la nuova proposta – che sarà votata entro questo mese – avrà ampio sostegno in parlamento, che attualmente è quasi equamente diviso tra parlamentari uomini e parlamentari donne: nelle elezioni dello scorso ottobre e senza che fosse previsto un sistema di quote, le donne avevano infatti ottenuto 30 seggi dei 63 previsti. Sulla nuova proposta di legge il ministro islandese per l’Uguaglianza e gli Affari sociali Thorsteinn Viglundsson ha detto che «è arrivato il momento giusto per fare qualcosa di radicale: dobbiamo fare in modo che gli uomini e le donne abbiano pari opportunità sul posto di lavoro ed è nostra responsabilità prendere tutte le misure necessarie per raggiungere questo obiettivo». Viglundsson ha anche detto di comprendere che si potrebbe trattare di un obbligo oneroso per le aziende, «ma bisogna essere audaci nel combattere le ingiustizie».

L’Islanda risulta essere il miglior paese al mondo per la parità di genere nella classifica del World Economic Forum. Nonostante questo le donne islandesi continuano a guadagnare dal 14 al 18 per cento in meno e in media rispetto agli uomini, secondo i dati OCSE: considerando una giornata lavorativa di otto ore, è come se gli uomini venissero pagati fino alle 17, mentre le donne sono pagate fino alle 14.38. Usando come standard lo stipendio degli uomini, il lavoro che svolgono fino alle 17 non è retribuito. Lo sciopero contro il “gender pay gap” dello scorso 26 ottobre, quello che ha portato alla nuova proposta di legge, è cominciato alle 14.38, e la stessa forma di protesta c’è stata anche in altri paesi e anche lo scorso 8 marzo.

Islanda

Anche altri paesi (tra cui Regno Unito e Germania) hanno avviato progetti di legge per ridurre il gap salariale tra uomini e donne. Un recente rapporto del World Economic Forum ha mostrato che la tendenza verso una uguale retribuzione ha rallentato negli ultimi tre anni e che, se non comincerà ad accelerare, la parità salariale tra uomini e donne sarà effettiva solo nel 2186: fra 170 anni.