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  • Domenica 12 marzo 2017

Trump e la Russia, spiegato

Cosa sappiamo del principale scandalo che ha coinvolto la nuova amministrazione americana e che potrebbe sbriciolarla, messo in ordine

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

Fra i diversi scandali e guai capitati all’amministrazione di Donald Trump a due mesi del suo insediamento – tra cui la disastrosa applicazione di un divieto di ingresso ai cittadini di alcuni paesi a maggioranza musulmana, le numerose bugie dette da Trump e dal suo staff e una serie di piccoli ma significativi incidenti diplomatici – uno solo, se confermato, potrebbe realisticamente danneggiare il lavoro e l’eredità politica di Trump per le sue dimensioni e implicazioni storiche: il caso dei suoi legami con la Russia e col presidente russo Vladimir Putin.

Le accuse circolano ormai da un paio di anni, cioè da quando Trump si candidò a sorpresa alle primarie presidenziali del Partito Repubblicano, e riguardano sia Trump che alcuni dei suoi più stretti collaboratori: si è parlato per esempio del famigerato “dossier” sugli interessi di Trump in Russia – quello della “golden shower”, per intenderci – pubblicato a gennaio dai giornali di tutto il mondo, ma anche di cose più sostanziate. Per esempio il consigliere principale di Trump si è dimesso per avere mentito al vicepresidente Mike Pence sui suoi contatti con la Russia; il procuratore generale appena nominato da Trump è finito nei guai per una storia simile; e periodicamente vengono fuori notizie su vecchie e nuove indagini federali relative a Trump, al suo staff, al governo e all’intelligence russi. Dopo grandi annunci di amicizia e stima reciproca in campagna elettorale, nell’ultimo periodo i rapporti tra Trump e Putin – e in generale tra Stati Uniti e Russia – sembrano essersi un po’ raffreddati (per esempio Trump sta per nominare un ambasciatore “normale” in Russia), ma vale la pena mettere in fila tutto quello che è successo finora. La preoccupazione principale di analisti e commentatori americani è infatti che Trump e i suoi collaboratori abbiano interessi e relazioni che impediscano loro di prendere decisioni in maniera autonoma riguardo alla Russia, oppure che siano in qualche modo ricattabili. Partiamo però dall’inizio: dalle presunte interferenze russe nelle elezioni americane.

La Russia e le elezioni americane
Da qualche anno a questa parte la Russia di Putin è tornata a perseguire una politica estera aggressiva e a tratti spregiudicata, come non capitava da anni: fra le altre cose la Russia ha invaso la Crimea, appoggiato la ribellione in Ucraina orientale, inviato truppe in Siria per combattere a fianco del presidente Bashar al Assad e minacciato in diverse occasioni la sicurezza delle repubbliche baltiche. Secondo un rapporto della CIA e dell’FBI, inoltre, per la prima volta nella sua storia il governo russo ha cercato di condizionare l’esito delle elezioni americane.

Il rapporto in questione, che è stato presentato a Obama il 5 gennaio e a Trump il 6 gennaio, dice che le agenzie di intelligence sono molto sicure che il G.R.U., la principale agenzia di servizi segreti militare russa, abbia creato l’hacker Guccifer 2.0 e il sito DCLeaks per violare e diffondere un archivio di email del Partito Democratico e quelle del presidente del comitato elettorale di Hillary Clinton, John Podesta. Secondo il rapporto, le stesse email sarebbero state consegnate a WikiLeaks dopo che la prima pubblicazione su DCLeaks non aveva avuto gli effetti sperati. Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, ha negato che la Russia fosse la fonte delle email pubblicate sul suo sito, ma non ha neppure spiegato in che modo WikiLeaks fosse entrata in possesso del materiale. Il rapporto dice anche che la Russia ha raccolto informazioni sui Repubblicani americani e che l’ingerenza russa ha incluso anche attività di “trolling” su Internet contro le persone viste come ostacoli per gli sforzi russi di influenzare le elezioni. Oltre alle attività online, dice il rapporto, la Russia avrebbe fatto ampio uso dei media di stato, come Russia Today e Sputnik News, utilizzati come piattaforme per diffondere messaggi pro-Trump in Russia e all’estero.

L’inquietante messaggio con cui Google avvisa che degli “hacker legati a un’entità statale” (in questo caso probabilmente russi) hanno cercato di violare un account Gmail: negli ultimi mesi è accaduto a diversi giornalisti americani che si occupano di Russia, come Julia Ioffe dell’Atlantic

Un’altra parte della storia, una di quelle che hanno fatto più rumore finora, riguarda invece i rapporti che la Russia avrebbe stabilito con alcuni dei più stretti collaboratori di Trump: cioè Paul Manafort, Michael T. Flynn, Rex Tillerson e Carter Page.

I collaboratori di Trump e la Russia
Negli Stati Uniti avere interessi e legami con la Russia, soprattutto se sei un funzionario o un politico, genera qualche sospetto: se poi sei Repubblicano – e quindi appartieni a un partito che ha sempre guardato alla Russia come a un nemico o a un partner poco affidabile – la cosa diventa ancora più strana. Eppure negli ultimi mesi Trump è riuscito a radunare intorno a sé tutta una serie di personaggi che hanno avuto contatti o interessi in Russia. Al momento non è stata provata l’esistenza di nessuna “struttura” interna al comitato Trump, e i legami di ciascun collaboratore di Trump con la Russia sembrano slegati l’uno dall’altro: ma è comunque significativo – anche per le autorità americane che se ne stanno occupando – che questa storia riguardi più persone.

Paul Manafort
Cleveland Prepares For Upcoming Republican National Convention (Win McNamee/Getty Images)

Ha 67 anni ed è un noto consigliere Repubblicano: nella sua carriera ha lavorato fra gli altri con Gerald Ford, Ronald Reagan e George W. Bush. Fino all’estate 2016 è stato il capo della campagna elettorale: si è dimesso dopo che il New York Times aveva trovato un documento che sosteneva che fra il 2007 e il 2012 Manafort aveva ricevuto 11,3 milioni di euro in nero dal Partito delle Regioni, il partito dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, considerato molto vicino alla Russia, del quale Manafort è stato consulente per anni. Manafort ha sempre smentito tutte le accuse, ma si è completamente allontanato dal circolo di Trump.

Michael T. Flynn
US-POLITICS-KERRY (CHRIS KLEPONIS/AFP/Getty Images

È un ex generale dell’esercito americano e dal 2012 al 2014 è stato a capo della Defense Intelligence Agency (DIA, la principale agenzia militare d’intelligence per l’estero). Fino a pochi giorni fa era consigliere per la sicurezza nazionale, uno degli incarichi più importanti della Casa Bianca. Da anni era noto sia per la gestione dispotica della DIA sia per le sue opinioni sulla Russia: Flynn ha sempre parlato della prospettiva di collaborare con il governo di Vladimir Putin per combattere il terrorismo ed è stato intervistato più volte da RT, la tv e il sito di notizie in lingua inglese controllati dal governo russo. Nel 2015 tenne anche un discorso a pagamento alla festa per il decimo anniversario di RT, durante la quale era seduto vicino a Putin. Flynn si è dovuto dimettere il 13 febbraio, dopo che si è scoperto che aveva discusso delle sanzioni approvate da Obama contro la Russia prima di prestare giuramento come membro del governo, quando era privato cittadino, una cosa considerata molto poco opportuna (sulla questione mentì anche al vicepresidente americano Mike Pence).

Rex Tillerson
Trump Sanctions(Mikhail Klimentyev/RIA-Novosti, Presidential Press Service via AP, Pool, File)

È il Segretario di Stato di Trump. Fino a pochi mesi fa non era in politica, era il CEO di ExxonMobil, una delle più grandi compagnie petrolifere al mondo. Nel 2012 Exxon fece una partnership con Rosneft, una compagnia petrolifera russa, per condividere lo sfruttamento di un giacimento nel Mare di Kara, una porzione di mare nel sud del mar Glaciale Artico. Più tardi la partnership saltò per via delle nuove sanzioni economiche decise dall’amministrazione Obama: nel frattempo però Tillerson aveva vinto l’Ordine dell’Amicizia, un premio che viene consegnato dal governo russo agli stranieri che in qualche modo hanno sviluppato un legame positivo con la Russia.

Carter Page
Carter Page(AP Photo/Pavel Golovkin, File)

È un ex consigliere che ha lavorato per Trump durante la campagna elettorale. Prima del 2016 non lo conosceva praticamente nessuno, né in Russia né negli Stati Uniti, tanto che un suo lungo profilo su Politico è stato intitolato “il mistero dell’uomo di Trump a Mosca”. È diventato noto a livello nazionale solo qualche giorno fa per una disastrosa intervista con Anderson Cooper di CNN, in cui ha ammesso di aver incontrato l’ambasciatore americano in Russia dopo averlo negato in precedenza, e per essersi trovato in grande imbarazzo ad accusare la Russia di avere condizionato le elezioni americane. In passato Page ha lavorato in Russia come banchiere di investimento, e nel 2016 ha tenuto nel paese alcune conferenze: in una di queste, secondo il New York Times, «ha attirato l’attenzione per aver criticato gli Stati Uniti e l’Occidente per “la loro ipocrita concentrazione su idee come democratizzazione, diseguaglianza, corruzione e cambio di regime”.

Altri collaboratori hanno avuto contatti minori, o molto laterali; Jared Kushner, genero di Trump e suo consigliere, ha alcuni (deboli) legami commerciali con un imprenditore russo, e secondo il New York Times si è incontrato con l’ambasciatore russo negli Stati Uniti fra il giorno delle elezioni e l’insediamento di Trump, quando ancora era un civile. Secondo alcuni giornali Roger Stone, amico e consigliere informale di Trump, è sospettato dall’intelligence americana di avere avuto contatti con alcuni funzionari russi. Stone ha negato le accuse. Questa estate durante un discorso pubblico ha ammesso di essere stato in contatto col fondatore di WikiLeaks Julian Assange, che da tempo viene accusato dai suoi critici di avere una forma di collaborazione con le autorità russe. Richard Burt, ex ambasciatore americano in Germania, ha fatto da consigliere a Trump per un discorso di politica estera tenuto ad aprile in campagna elettorale; nel 2016 Burt ha lavorato come lobbysta per conto di Gazprom, l’enorme azienda energetica russa controllata dallo stato, in merito alla costruzione di un nuovo gasdotto da costruire nel Mar Baltico. E Trump?

washtrump Un grafico del Washington Post che riassume i legami fra i collaboratori di Trump e la Russia

Il famigerato dossier
Uno degli scandali che ha coinvolto Trump e che ha fatto più rumore è stato la diffusione di un documento messo insieme fra il 2015 e il 2016 da un ex agente dell’intelligence britannica. Il documento è autentico ma non è certo che siano vere le informazioni che contiene: è stato diffuso a gennaio da BuzzFeed, ma girava da mesi tra i giornalisti di Washington che però avevano scelto di non pubblicarlo per l’impossibilità di verificare l’autenticità di molte delle informazioni al suo interno. Il rapporto, comunque, era già stato presentato dall’intelligence sia a Obama che a Trump.

Nel documento ci sono informazioni di vario tipo sui rapporti tra Trump e la Russia. Per esempio si dice che il governo russo avrebbe aiutato Trump nella campagna per la sua elezione a presidente, allo scopo di avere alla guida degli Stati Uniti una persona non troppo ostile verso il governo russo. In tal senso, dice il rapporto, negli ultimi mesi di campagna elettorale sarebbero stati frequenti i contatti tra il governo russo e alcuni stretti collaboratori di Trump, tra cui il suo avvocato Michael Coen e il suo consigliere Carter Page. Uno degli episodi più ripresi dalla stampa si riferisce al sesso: il rapporto fa riferimento a presunte attività sessuali di Trump in una stanza d’albergo a Mosca, per il suo desiderio esaudito di “dissacrare” un letto dove avevano dormito Barack e Michelle Obama, insieme a delle prostitute impegnate in una “pioggia dorata”, un gioco sessuale in cui una o più persone si urinano addosso. Con in mano questo materiale, sostiene il rapporto, Trump sarebbe stato ricattabile dalla Russia: sarebbe finito in una specie di “trappola, ha raccontato a Newsweek un funzionario dell’amministrazione Obama, cioè di una tecnica nota in Russia col nome di “kompromat” e che serve a rendere ricattabili personaggi importanti per costringerli a fare i propri interessi. Finora le agenzie di intelligence americane non hanno confermato nessuna delle accuse del dossier, ma si sa che hanno preso contatti con alcune delle fonti citate nel documento.

Trump e la sua amministrazione hanno smentito il documento e negli ultimi due mesi non si è mosso moltissimo. A inizio febbraio CNN ha annunciato che alcuni aspetti del dossier erano stati confermati, ma Vox ha specificato che sono stati verificati “solo” date e luoghi di alcuni incontri fra funzionari russi e altre persone citate nel dossier, e che le novità non coinvolgono direttamente Trump. Qualche giorno fa l’autore del dossier, il britannico Christopher Steele, è tornato a lavorare a Londra per la sua agenzia investigativa dopo che era sparito per quasi due mesi, ma non ha parlato pubblicamente del documento.

Perché Trump vuole farsi vedere così vicino a Putin? Gli conviene?
Ancora prima di candidarsi alla primarie americane – prima di tutta questa storia, insomma – Trump aveva già dimostrato pubblicamente la sua fascinazione per Vladimir Putin. Intervistato da MSNBC nel 2013, Trump aveva raccontato di essere in contatto con Putin, il quale secondo lui aveva fatto «davvero un ottimo lavoro». «Ha davvero mangiato in testa a Obama, non scherziamo».

Putin è uno dei personaggi politici più controversi, temuti e allo stesso tempo disprezzati in tutto il mondo occidentale. Negli ultimi anni le sue scelte spregiudicate – dall’aggressività in politica estera alla repressione del dissenso interno, per citarne due – hanno provocato un raffreddamento nei rapporti tra Russia da una parte e Stati Uniti ed Europa dall’altra. Tutto questo ha reso ancora più sorprendente il fatto che un politico americano candidato con un partito tradizionale come quello Repubblicano, cioè Trump, abbia deciso di non considerare Putin alla stregua di un avversario, anzi. Negli ultimi tre anni Trump ha detto che Putin è “molto intelligente” e che “pensa cose giuste”, e ha spiegato che “è sempre un grande onore ricevere dei complimenti da un uomo così rispettato nel suo paese e altrove” e che “sarebbe grandioso andare d’accordo con lui”. Durante un’intervista con Fox News, a febbraio, il giornalista Bill O’Reilly ha cercato di far dire a Trump che Putin è «un assassino»; Trump non ha abboccato, e ha risposto: «ci sono un sacco di assassini. Noi abbiamo un sacco di assassini: credi che il nostro paese sia così innocente?».

Non si capisce il motivo per cui Trump voglia sembrare così legato a Putin, sebbene abbia detto più volte di averlo frequentato poco di persona e di non avere con lui particolari interessi in comune. Secondo gli analisti più di sinistra, Trump è affascinato dal potere di Putin, che ha un consenso popolare molto elevato (anche perché controlla i media nazionali e non permette l’attività di veri gruppi di opposizione). Altri ipotizzano che la nuova amministrazione voglia individuare i “nemici” in altri paesi, come ad esempio la Cina, citata decine di volte in campagna elettorale da Trump come una minaccia per l’economia americana. Altri ancora credono che sia Putin quello interessato ad avere un buon rapporto con Trump, che gli garantirebbe più spazi per agire in diverse zone del mondo senza grandi opposizioni americane.

In generale Trump potrebbe essere condizionato da due valutazioni diverse, sostiene la stampa americana. La prima è piuttosto immediata e riguarda gli interessi commerciali di Trump in Russia, costruiti durante la sua decennale carriera da imprenditore in giro per il mondo ma da lui negati. A partire dagli anni Ottanta Trump cercò diverse volte di aprire hotel di lusso in Russia, senza mai riuscirci, e attrasse anche dei finanziatori russi per i suoi progetti immobiliari. Nel 2013 riuscì a far ospitare a Mosca un’edizione di Miss Universo, il concorso di cui possiede i diritti: da quell’accordo potrebbe avere guadagnato parecchi soldi, anche se non si sa con certezza, dato che si rifiuta da circa due anni di diffondere la sua dichiarazione dei redditi. La sua predilezione per Putin potrebbe anche derivare da alcune valutazioni di politica estera: oggi la Russia sembra l’unico paese intenzionato e in grado di fare qualcosa in alcuni dei paesi dove si sono verificate le crisi più gravi degli ultimi anni, come in Siria. Il fatto che possa fare qualcosa non significa necessariamente che sia qualcosa di buono, o duraturo, o che non darà spazio all’emergere di nuove crisi. Ma gli Stati Uniti, per moltissime ragioni, sembrano intenzionati a ridurre il loro ruolo di poliziotti del mondo: collaborare con la Russia potrebbe significare condividere eventuali successi, se arriveranno, con il minimo sforzo.

Se tutte queste cose sono valide, o una parte di esse, perché di recente i rapporti tra Trump e Putin si sono raffreddati? Alcuni sostengono che Trump sia andato troppo oltre e che gli ultimi scandali che hanno coinvolto i suoi stretti collaboratori lo abbiano costretto a fare mezzo passo indietro. In un certo senso ha fatto il passo più lungo della gamba, facendo preoccupare molti Repubblicani del suo partito che non sono così disposti a essere associati alla Russia e a Putin. Le cose, che non si escludono necessariamente l’una con l’altra, sono due: o Trump ha dovuto ammorbidire le sue posizioni su pressione di qualche membro della sua amministrazione, o del suo stesso partito; oppure ha voluto riguadagnare un po’ di margine di manovra dopo gli scandali e le rivelazioni della stampa, mitigando i toni e aspettando il momento per rilanciare.

Trump rischia qualcosa per i suoi rapporti con la Russia? Le indagini in corso
Di indagini in corso su tutte queste storie ce ne sono diverse. Si sa per esempio che l’FBI sta indagando sull’ingerenza del governo russo nella campagna elettorale americana, e che questa indagine riguarda in parte anche i contatti fra lo staff di Trump e alcuni funzionari russi. Reuters ha spiegato che secondo alcune sue fonti le indagini in corso sono almeno tre: una condotta dall’ufficio di Pittsburgh, una da quello di San Francisco e un’altra separata di alcuni agenti che lavorano a Washington. L’ufficio di Pittsburgh si sta occupando della violazione dei database del Partito Democratico – e anche se è il più avanti nel lavoro non ha ancora trovato materiale sufficiente per incriminare formalmente i sospettati. Quello di San Francisco si sta occupando della diffusione delle mail di John Podesta, mentre a Washington è in corso un’indagine che include uno studio delle transazioni finanziarie fra cittadini russi e società che si ritengono collegate ad alcuni collaboratori di Trump. Il New York Times ha scritto che Trump non compare fra i sospettati, stando alle informazioni finora disponibili.

Trump, comunque, ha rilanciato. In una confusa serie di tweet pubblicata lo scorso fine settimana, ha accusato Obama di avere intercettato le sue conversazioni telefoniche durante la campagna elettorale. Sono accuse gravissime e per quel che sappiamo infondate, che Trump ha ottenuto da fonti inaffidabili e di terza mano. Paradossalmente, però, Trump ha ottenuto l’effetto opposto da quello voluto, e cioè quasi sicuramente distogliere l’attenzione dal caso-Russia: ventilando la possibilità che le sue conversazioni siano state intercettate, ha di fatto avvalorato l’ipotesi che a un certo punto potesse davvero essere stato al centro di un’operazione di intelligence, anche solo per raccogliere informazioni sui suoi collaboratori. Queste voci si sono rinforzate dopo una gestione piuttosto goffa del caso da parte dell’addetto stampa della Casa Bianca, Sean Spicer. Mercoledì 8 marzo, parlando coi giornalisti, Spicer ha detto che «non c’è nessuna ragione per credere che ci sia un’inchiesta [sul presidente] da parte del Dipartimento della giustizia [cioè quello che sovrintende l’FBI]». Un funzionario del Dipartimento ha poi fatto sapere ai giornali americani, parlando in forma anonima, che la risposta di Spicer non era basata su informazioni provenienti dal Dipartimento. Qualche ora dopo, pressato dai giornalisti, Spicer è stato costretto a correggersi e a specificare che la Casa Bianca «non è a conoscenza» di nessuna indagine.

Da mesi le commissioni che si occupano di intelligence di Camera e Senato stanno conducendo delle indagini separate più o meno sugli stessi temi dell’FBI, cioè ingerenza nella campagna elettorale e possibili legami fra staff di Trump e Russia. Due giorni fa la commissione per l’intelligence della Camera ha fissato la prima delle audizioni pubbliche sulla sua indagine: si terrà il 20 marzo e saranno ascoltati fra gli altri il direttore dell’FBI James Comey e diversi funzionari dell’amministrazione Obama. La commissione equivalente in Senato, secondo una fonte consultata qualche giorno fa da Politico, terrà delle audizioni private a breve. Nei prossimi mesi insomma, in un senso o nell’altro ne sapremo sicuramente di più.