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  • Venerdì 10 marzo 2017

La Corea del Sud non ha più un presidente

La Corte costituzionale ha confermato l'incriminazione per corruzione di Park Geun-hye che è stata obbligata a dimettersi: entro 60 giorni ci saranno nuove elezioni

L'ex presidente della Corea del Sud, Park Geun-hye (Jeon Heon-Kyun-Pool/Getty Images)
L'ex presidente della Corea del Sud, Park Geun-hye (Jeon Heon-Kyun-Pool/Getty Images)

La Corte costituzionale della Corea del Sud ha confermato il voto del Parlamento dello scorso dicembre per incriminare Park Geun-hye, e l’ha di fatto obbligata a dimettersi dal ruolo di presidente della Repubblica. È il primo caso di dimissioni di un presidente regolarmente eletto per il paese, che ora dovrà indire entro 60 giorni nuove elezioni per decidere un successore. Park è da mesi al centro di uno scandalo legato a casi di presunta corruzione e clientelismo, che ha portato a grandi divisioni tra la popolazione e a numerose manifestazioni di piazza.

Alla notizia della conferma dell’incriminazione da parte della Corte costituzionale, gruppi di manifestanti hanno festeggiato nelle principali città della Corea del Sud, a cominciare dalla capitale Seul; ci sono state anche manifestazioni a sostegno di Park.

La mozione per incriminare Park è stata sostenuta all’unanimità dagli otto giudici della Corte ed è stata annunciata in diretta televisiva venerdì mattina (in Italia era ancora notte). In seguito al voto del Parlamento, Park era già stata sospesa dai suoi poteri, passati al presidente reggente Hwang Kyo-ahn. Con la decisione dei giudici costituzionali, Park è stata privata dell’immunità e dovrà rispondere in tribunale delle accuse di estorsione, corruzione, abuso di potere e diffusione di segreti di Stato. Eletta nel dicembre del 2012 ed entrata in carica il gennaio successivo, Park era al suo primo mandato, che sarebbe scaduto l’anno prossimo.

Park Geun-hye ha 65 anni ed è figlia di Park Chung-hee, il dittatore che guidò la Corea del Sud dal 1961 dopo un colpo di Stato e che rimase in carica fino al 1979, anno in cui fu assassinato. La sua incriminazione lo scorso dicembre era arrivata dopo mesi di indagini e rivelazioni su un presunto giro di favori e tangenti, organizzati insieme a Choi Soon-sil, un’amica e confidente di lunga data. Secondo i magistrati, Choi avrebbe gestito svariati milioni di euro ricevuti da grandi società e dirigenti di azienda sudcoreani, facendoli passare per donazioni per alcune sue fondazioni usate come copertura. Per gestire queste attività, Park avrebbe inoltre passato informazioni riservate a Choi di vario tipo, da quelle sulle politiche economiche adottate nel paese alle complicate relazioni con la Corea del Nord.

Choi è stata accusata di avere utilizzato i suoi stretti legami con Park per fare pressioni sulle grandi conglomerate (“chaebol” in coreano) per ottenere il denaro. In pochi anni, sarebbero stati raccolti circa 66 milioni di euro, confluiti nelle fondazioni di Choi, ma usate per il proprio arricchimento personale e per quello di Park, che ha sempre negato le accuse.

Il giro di tangenti avrebbe coinvolto numerose “chaebol” gestite da alcune delle più grandi, ricche e influenti famiglie della Corea del Sud, che a partire dagli anni Sessanta mantengono un legame molto stretto con i governi e la politica sudcoreani. I privilegi e i finanziamenti ricevuti negli anni, che hanno permesso a queste aziende di espandersi e di diventare alcune delle conglomerate più grandi al mondo, hanno portato a una certa insofferenza tra la popolazione, che da tempo chiede di indagare sull’alto tasso di corruzione nel paese.

Tra le conglomerate coinvolte nello scandalo di Park e Choi c’è Samsung, una delle più grandi aziende del mondo e principali produttori di smartphone, televisori ed elettrodomestici. Il suo capo, Lee Jae-yong, è stato accusato di avere pagato tangenti tramite Choi per accrescere la propria influenza all’interno di Samsung, ottenendo dal governo il sostegno a una controversa fusione di due divisioni della conglomerata che ha coinvolto anche il fondo pensionistico nazionale. Lee non è formalmente il presidente di Samsung perché il ruolo è ancora ricoperto da suo padre, che però da alcuni anni non lavora attivamente nella società a causa di alcuni gravi problemi di salute. Lee è stato incarcerato a fine febbraio e ieri è iniziato il processo contro di lui: come Park, ha respinto ogni accusa.

I rapporti tra Park e Choi sono molto stretti da tempo. Il padre di Choi, il leader spirituale Choi Tae-min, aveva aiutato Park e contribuito alla sua istruzione dopo la morte della madre Yuk Young-soo, uccisa da un simpatizzante della Corea del Nord nel 1974. All’epoca Park aveva 22 anni e fu costretta a diventare una sorta di sostituta della first lady per il padre, che governava il paese e che fu ucciso in seguito dal suo capo per la sicurezza.

Dopo quasi dieci anni di governo conservatore, ora in Corea del Sud si potrebbe aprire la strada per un progressista. Moon Jae-in del Partito Democratico Unito è dato per favorito: si era già candidato alle presidenziali nel 2012, anno in cui aveva vinto Park. Moon ha posizioni meno rigide nei confronti della Corea del Nord e sostiene la necessità di riaprire il dialogo con il suo dittatore, per cercare di fermare diplomaticamente il proseguimento del piano per il nucleare nordcoreano. A differenza dei conservatori, Moon ha anche invitato a rivedere il piano concordato con gli Stati Uniti per installare nuovi sistemi di difesa missilistica nel paese. Una data per le elezioni non è stata ancora fissata, ma è probabile che in Corea del Sud si torni a votare il prossimo 9 maggio.