Un diamante non è per sempre

Il legame tra diamanti e amore eterno, che ne ha sostenuto il mercato per decenni, è sempre meno sentito e questo potrebbe avere effetti catastrofici su tutto il settore

(AP Photo/Felipe Dana)
(AP Photo/Felipe Dana)

Il 2016 è stato un ottimo anno per l’industria dei diamanti: le vendite sono complessivamente aumentate di circa il 30 per cento. Ma un buon 2016 è arrivato dopo un pessimo 2015, quando il valore dei diamanti acquistati in tutto il mondo era calato del 35 per cento. Questa volatilità è uno dei numerosi segnali di un’industria che vive un momento di grande incertezza sul suo futuro. Il settore sarà ancora sostenuto per qualche anno dall’emergente classe media cinese, ma la concorrenza dei diamanti sintetici, il rischio di scoprire nuove miniere e soprattutto il «legame sempre più debole tra diamanti e promesse d’amore» – come l’Economist ha definito il principale asset dell’industria diamantifera – rischiano di mettere l’industria in una situazione molto difficile.

L’industria dei diamanti intesa nel senso moderno ha una storia piuttosto recente. È nata nel corso del Ventesimo secolo e per parecchio tempo è stata sinonimo di De Beers, la società che per decenni è stata un quasi-monopolista dell’estrazione e della distribuzione dei diamanti in tutto il mondo. Nel 1902, alla morte del fondatore, il grande pioniere della colonizzazione britannica dell’Africa Cecil Rhodes, De Beers controllava il 90 per cento del mercato mondiale dei diamanti. Era un mercato remunerativo, ma abbastanza ridotto. La fortuna mondiale di De Beers arrivò negli anni Trenta, quando i nuovi proprietari della società, la famiglia Oppenheimer, iniziò una massiccia campagna pubblicitaria per trasformare i diamanti in uno status symbol a cui solo in pochi avrebbero potuto rinunciare.

Fu in quegli anni che, soprattutto nella cultura americana, si consolidò il legame tra diamanti e amore romantico, tra promesse di matrimonio e anelli decorati con una grossa pietra preziosa. Lo slogan “un diamante è per sempre” fu coniato in quegli anni e nelle stesse pubblicità De Beers prometteva agli uomini che sarebbero bastati due mesi del loro stipendio per acquistare un anello con diamante da regalare alla propria fidanzata. Fu una campagna di enorme successo: nel 1939 il 10 per cento delle coppie possedeva un anello con diamanti, mentre a fine secolo la percentuale era salita all’80 per cento.

“Diamonds are a girl’s best friend”, dal film “Gli uomini preferiscono le bionde” (1953)

Questa strana storia, scrive l’Economist, produsse «un’industria unica nel suo genere, controllata da una società che allo stesso tempo estraeva i diamanti e li vendeva sul mercato, un business basato sull’utilizzo intensivo del capitale, ma costruito su un effimero legame del proprio prodotto con l’ideale romantico dell’amore, il tutto basato su un sistema monopolistico che manteneva artificialmente alti i prezzi». Il mercato dei diamanti rimase in questo condizioni più o meno per mezzo secolo: poi, negli anni Novanta, De Beers iniziò a perdere il controllo del settore.

Il crollo dell’Unione Sovietica permise ai produttori di diamanti siberiani di iniziare ad esportare i loro prodotti, mentre alcune miniere in giro per il mondo decidevano di abbandonare il cartello De Beers che imponeva loro condizioni economiche spesso difficili da accettare. Anche le autorità anti-trust iniziarono ad attaccare la società, obbligandola ad abbandonare il suo comportamento monopolistico. Oggi, la società controlla appena un terzo del mercato, in calo rispetto al 45 per cento che ancora manteneva nelle sue mani appena dieci anni fa. Anche i paesi in via di sviluppo, dove un tempo le società del settore facevano il bello e il cattivo tempo, hanno aumentato il loro controllo su chi estrae i diamanti nel loro territorio. Il governo del Botswana, ad esempio, è proprietario del 15 per cento di De Beers.

Gli effetti di questa situazione si sono visti nel 2015, quando un rallentamento del mercato cinese ha causato una perdita di fatturato di quasi il 30 per cento. In quella circostanza, De Beers si è trovata priva degli strumenti che tradizionalmente in passato utilizzava per fronteggiare queste crisi: diminuire il numero di diamanti in circolazione per aumentarne il prezzo. Oggi non solo non controlla più il mercato come un tempo, ma deve anche affrontare la concorrenza dei produttori di diamanti sintetici, che oggi offrono pietre di grande qualità prodotte in maniera “etica”.

L’altro problema dell’industria, infatti, è che l’immagine dei diamanti è peggiorata molto nel corso degli anni. Da prodotto alla moda e irrinunciabile anche per la classe media, sono passati ad essere associati sempre più con il finanziamento di sanguinosi conflitti nell’Africa centrale, dove si trova la maggior parte dei paesi in cui si estraggono diamanti (uno dei film più popolari di questo genere si chiama proprio Diamanti di sangue, ha come protagonista Leonardo DiCaprio ed è uscito nel 2006). De Beers ha fatto molto per cercare di migliorare la sua immagine, adottando disciplinari di produzione che garantiscono la provenienza dei suoi diamanti; ma questi sforzi hanno avuto risultati modesti, se comparati all’impatto di film come Diamanti di sangue.

Alla fine però, il futuro dell’industria non è tanto legato ai diamanti sintetici né alla reputazione di chi li produce. Come ha scritto l’Economist in un altro articolo uscito pochi giorni fa, il punto è: per quanto tempo ancora i diamanti resteranno un simbolo di promessa di amore eterno? A tenere in piedi il mercato è soprattutto la volontà di coppie giovani – e meno giovani – di attestare il loro impegno con una spesa che, spesso, è anche un sacrificio economico. Ma le nuove generazioni non sembrano così inclini a spendere denaro in oggetti luccicanti, e di conseguenza il futuro dei diamanti non sembra così luminoso.