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  • Venerdì 3 marzo 2017

C’è una fossa comune enorme vicino a Mosul

Era usata dall'ISIS per uccidere e nascondere i suoi nemici: non si sa quanto sia profonda, potrebbe contenere migliaia di corpi

Il buco vicino a Mosul (ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images)
Il buco vicino a Mosul (ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images)

A poco meno di dieci chilometri a sud-ovest dell’aeroporto di Mosul, in mezzo a una zona desertica, c’è un buco nel terreno molto profondo che gli abitanti della città chiamano “khasfa” e che da anni è al centro di racconti terribili. La zona del buco, che tecnicamente è una dolina, è stata liberata dall’esercito iracheno lo scorso mese nell’ambito dell’operazione militare per cacciare lo Stato Islamico da Mosul che finora ha portato alla riconquista della parte orientale della città. Negli ultimi due anni e mezzo la khasfa è diventata una delle fosse comuni più grandi, forse la più grande, usate dallo Stato Islamico per uccidere e gettare i corpi dei suoi nemici. Potrebbero esserci migliaia di corpi, ma le operazioni di recupero sono molto complicate, per diverse ragioni: nessuno sa quale sia la profondità del buco sotto il livello dell’acqua, e comunque i miliziani dello Stato Islamico hanno riempito la dolina con degli esplosivi, rendendo gli scavi particolarmente difficili.

Quello che si sa sulla khasfa arriva per lo più dalle testimonianze degli abitanti di Mosul, che hanno raccontato di come il buco sia diventato un posto di esecuzioni sommarie. Lo Stato Islamico portava qui le persone che considerava traditori o oppositori, le allineava al margine del buco e poi sparava loro contro, facendole cadere giù. Muthanna Ahmed, un uomo che per cinque mesi lavorò nella zona dei massacri e che fu testimone di alcune esecuzioni, ha raccontato al Washington Post che alcuni dei corpi in decomposizione rimasti in qualche maniera impigliati sui bordi del buco sono rimasti visibili da sopra per diverso tempo. Secondo Hussam al Abar, un membro del consiglio provinciale della zona, nel buco ci sono tra i 3mila e i 5mila corpi, sulla base di una stima fatta considerando le persone scomparse e probabilmente uccise durante gli anni di presenza nella zona dello Stato Islamico. Jassim Omar, un uomo di 33 anni che assistette a una decina di esecuzioni, ha detto: «Se vuoi spaventare qualcuno di Mosul, basta che citi la khasfa».

La khasfa non è l’unica fossa comune dello Stato Islamico scoperta finora. Il Washington Post ha scritto che i membri della commissione irachena per la difesa dei diritti umani, incaricati di individuare e documentare le fosse comuni dello Stato Islamico, credano che ne esistano moltissime, anche se non hanno riferito di numeri precisi; la scorsa estate Associated Press documentò però l’esistenza di 72 posti diversi che erano stati usati in questo modo. Lo Stato Islamico fece per esempio decine di fosse comuni attorno alla città di Sinjar, nella provincia di Nineveh, per uccidere migliaia di yazidi, un gruppo di curdi che pratica un’antica religione. Altre fosse comuni di cui si è parlato molto negli ultimi anni sono quelle attorno alla città irachena di Tikrit, che contengono i corpi dei soldati iracheni massacrati dallo Stato Islamico a Camp Speicher, nel giugno 2014.

La khasfa era un posto conosciuto già prima che arrivasse lo Stato Islamico. Prima del 2003 era una piccola attrazione turistica per quei viaggiatori che percorrevano l’autostrada tra Mosul e Baghdad, che passa poco lontano; poi con l’invasione americana dell’Iraq divenne una fossa comune usata da al Qaida per uccidere e gettare i corpi dei suoi nemici. Solo a partire dal luglio 2014, cioè dalla conquista di Mosul da parte dello Stato Islamico, il buco cominciò a essere usato su “scala industriale”. Dalle ricostruzioni dei testimoni, sembra che a metà del 2015 lo Stato Islamico abbia deciso di riempire il buco con decine di furgoni e auto vecchie, a causa del fetore causato dai corpi in decomposizione. Human Rights Watch, che dal settembre 2014 si occupa di monitorare la zona via satellite, ha confermato che il buco fu riempito nel luglio 2015, anche se qualche movimento fu registrato anche nei mesi successivi. Secondo Human Rights Watch, serviranno anni per decontaminare e sminare la zona dove si trova il buco, la stessa dove la scorsa settimana è stata uccisa da una bomba la 30enne giornalista Shifa Gardi che lavorava per il canale televisivo curdo Rudaw.