• Mondo
  • Domenica 26 febbraio 2017

La secessione della California

Non ci sarà, ma il progetto di un referendum guadagna sostenitori, nello stato che si sente più distante dagli Stati Uniti di Trump

di Katie Zezima – The Washington Post

Una sostenitrice di Yes California durante un incontro del movimento a San Diego (Sandy Huffaker/The Washington Post)
Una sostenitrice di Yes California durante un incontro del movimento a San Diego (Sandy Huffaker/The Washington Post)

«Giuro fedeltà alla bandiera di una California indipendente», dice Geoff Lewis in una sala conferenze con le pareti in vetro, adornate con la famosa bandiera che raffigura un orso grizzly su uno sfondo bianco e rosso, e un cartello con la scritta «la California è una nazione, non uno stato». Dalla palestra sull’altro lato del corridoio, gli spettatori sudati sbirciano curiosi nella sala di questo palazzo di lusso di San Francisco. Incoraggiato dall’elezione di Donald Trump, il movimento per l’indipendenza della California – che si chiama Yes California – sta cercando di raccogliere le 585.407 firme necessarie per inserire nella scheda elettorale del 2018 un quesito sulla secessione. L’obiettivo è trasformare la California in una nazione vera e propria, separata dagli Stati Uniti.

Il movimento si sta facendo pubblicità durante proteste pubbliche e organizza incontri in tutta la California. I suoi capi sostengono che l’organizzazione sia cresciuta al punto da avere 53 succursali, ognuna delle quali svolge riunioni simili a quella descritta sopra per mettere a punto una strategia e reclutare dei volontari. «In pratica, stiamo assistendo alla nascita di una nazione», ha detto il 57enne Tim Vollmer, «possiamo guidare quello che resta del mondo libero». A grandi linee, il discorso per reclutare nuovi sostenitori dice più o meno questo: la California – il più popoloso stato americano, con quasi 40 milioni di cittadini – sovvenziona altri stati americani in perdita, deve sottostare a un sistema commerciale nazionale che lo danneggia, non ha un peso equo nelle elezioni presidenziali, è diverso e in disaccordo con la maggior parte degli altri stati sull’immigrazione, molto più avanzato per quanto riguarda le politiche ambientali e, per la maggior parte, in completo disaccordo con le posizioni di Trump. Per questo, secondo la tesi del movimento, ci sono le condizioni perfette per una secessione del Golden State, il soprannome della California, dal resto degli Stati Uniti.

Yes California si promuove soprattutto sulla sua pagina Facebook, che ha circa 39mila “mi piace”, altrettanti iscritti e una grafica con un cuore spezzato che dice «divorzio dovuto a divergenze inconciliabili» e ritrae da un lato la California e il resto degli Stati Uniti dall’altro.

«La California è diversa dall’America», ha detto Marcus Ruiz Evans, uno dei cofondatori del movimento, seduto all’esterno di uno Starbucks di Fresno, «la California è odiata, non piace. La considerano strana». Nel 2012 Evans ha pubblicato un libro da 540 pagine sui motivi per i quali la California dovrebbe separarsi dagli Stati Uniti, di cui oggi continua a parlare per diffondere il messaggio il più possibile, soprattutto attraverso Facebook e apparendo sui mezzi d’informazione; porta avanti la sua battaglia per la secessione della California da anni, ha protestato contro l’amministrazione Obama e dice di considerarsi «come Galileo, o Copernico», un uomo con teorie rivoluzionarie che sono state scartate in attesa che ne venga dimostrata la veridicità. Evans è il principale contatto delle succursali del movimento; all’incontro di San Francisco ha distribuito magliette viola di Yes California ai partecipanti, intervenendo occasionalmente per fare lunghi discorsi sull’importanza dell’indipendenza della California o per informare il gruppo del fatto che il movimento collabora con una tipografia ecosostenibile di Culver City.

All’incontro Clare Hedin, una musicista e terapista del suono, ha illustrato una serie di slide su come aiutare la gente a creare la propria succursale del movimento. Le magliette devono essere disponibili in abbondanza e andrebbero distribuite a tutti i partecipanti (che sono incoraggiati a indossarle durante gli incontri). Bisogna promuovere un senso di comunità e chiedere ai partecipanti i motivi per i quali hanno deciso di venire all’incontro e come possono contribuire alla causa in modo da sentirsi personalmente coinvolti. Il capo di ogni succursale dovrebbe svolgere un compito diverso: per esempio, gli affiliati di San Francisco tendono a essere più espansivi di quelli di San Diego. Tra gli argomenti affrontati all’incontro di San Francisco c’era la gestione delle forze armate. I partecipanti hanno riflettuto sulla possibilità che la nuova nazione diventi neutrale, come la Svizzera. Da dove prenderebbe l’acqua, poi, la nuova nazione? Per la maggior parte – hanno osservato i partecipanti – oggi l’acqua arriva dalla Sierra Nevada e dal fiume Colorado, che si trovano in California. Evans ha detto che lo stato è la sesta economia al mondo ed è già ricca: non ci saranno problemi, quindi. I secessionisti hanno paragonato la loro causa a quella per la legalizzazione della marijuana e dei matrimoni tra persone dello stesso sesso: obiettivi che sembravano improbabili fino a dieci anni fa, ma che oggi in California sono previsti dalla legge.

Yes California non ha stabilito nessuna linea politica. I suoi membri non sanno come verrebbe formato il governo della nuova nazione. L’obiettivo del gruppo è per prima cosa ottenere la secessione per poi pensare a come gestire il paese. «Le persone ci chiedono quale sarebbe la posizione del nuovo paese sui vaccini e io rispondo: “Vi siete drogati?”», ha detto Karen Sherman, che organizza incontri del gruppo nel locale gay che gestisce a San Diego, «vogliamo esaminare le possibilità di un’indipendenza, non fondare un nuovo paese incentrato sui vaccini».

yes-california-2
Un uomo parla durante un incontro di Yes California a San Diego a gennaio (Sandy Huffaker/The Washington Post)

Gli sforzi maggiori del gruppo si concentrano sulla raccolta di firme necessarie per chiedere agli elettori se vogliono abrogare una sezione della costituzione della California che definisce lo stato come una «parte inseparabile degli Stati Uniti d’America» e tenere un referendum sull’indipendenza il 5 marzo 2019. Yes California ha iniziato la raccolta delle firme a fine gennaio e ha sei mesi per completarla.

Per i sostenitori di Yes California l’elezione di Trump, la volontà di alcuni californiani di guidare l’opposizione alla sua presidenza e la crescente base di volontari hanno dato al gruppo la parvenza di credibilità che desiderava da tempo. Yes California punta a reclutare i miliardari della Silicon Valley, come Peter Thiel – il cofondatore di PayPal che sostiene Trump e ha recentemente detto di appoggiare la secessione – e Shervin Pishevar, che dopo le elezioni ha scritto su Twitter di voler finanziare una campagna per trasformare la California in una nazione. Il parlamento della California ha assunto Eric H. Holder Jr., ex attorney general (l’equivalente del ministro della Giustizia) di Obama, per opporsi all’amministrazione Trump su questioni come l’immigrazione. Jerry Brown, il governatore Democratico dalla California, ha promesso che lo stato continuerà a promuovere misure per combattere il cambiamento climatico e garantire la copertura sanitaria dei californiani, indipendentemente dalle decisioni prese a livello nazionale. La città di San Francisco ha fatto causa all’amministrazione Trump per le cosiddette “città santuario”, i comuni americani che ospitano volontariamente immigrati e profughi irregolari.

Questi e altri funzionari eletti, però, non appoggiano la secessione e alcuni di loro, come il sindaco di Los Angeles Eric Garcetti, hanno dichiarato di essere contrari. «Ottenere l’approvazione di iniziative elettorali è già molto difficile quando sono comprensibili e si ha un’idea di quali siano le conseguenze», ha detto Bill Carrick, consulente politico di Garcetti, «una cosa del genere è un fulmine a ciel sereno: non c’è assolutamente possibilità che venga approvata».

Sue Hirsch, che ha 46 anni, ha detto che dopo le elezioni presidenziali «si vergogna di essere americana». «Volevo partecipare all’incontro perché non voglio più essere americana, ma solo californiana», ha detto Hirsch, che ha votato per Hillary Clinton e ha raccontato di fare almeno sette lavori, tra cui la sensitiva, autista di Uber e massaggiatrice ipno-trasformativa. «Odio quello che è diventato il resto dell’America», ha aggiunto.

Difficilmente Evans e il co-fondatore di Yes California, Louis Marinelli, possono essere visti come i salvatori della sinistra americana. Entrambi sono registrati nelle liste elettorali americane come Repubblicani. Evans è un ex conduttore radiofonico di destra e in passato Marinelli è stato fortemente contrario ai matrimoni gay, cambiando poi idea nel 2011, quando ha iniziato un tour degli Stati Uniti per convincere i conservatori ad appoggiare la causa. Oggi Marinelli – che è nato a Buffalo e ha raccontato di preferire a tal punto la California da non andare a trovare volentieri sua madre a New York – vive a Yekaterinburg, in Russia. Ha detto di aver votato per Trump perché era convinto che la sua elezione avrebbe aiutato la causa secessionista. In un’intervista Marinelli ha raccontato di voler tornare a San Diego, ma che al momento sta lavorando in Russia mentre sua moglie, che è russa, sta risolvendo dei problemi legati al visto per gli Stati Uniti. I problemi della moglie di Marinelli – che ha raccontato di essere stato ispirato dal movimento secessionista scozzese – con il sistema dell’immigrazione americano e la sua frustrazione per l’immobilismo di Washington lo hanno portato ad appoggiare la secessione.
Yes California ha dovuto respingere molte domande sull’influenza russa sul movimento. A settembre Marinelli ha rappresentato il movimento in occasione di una conferenza a Mosca, organizzata dal Movimento anti-globalizzazione russo. Il 30 per cento dei finanziamenti alla conferenza sono arrivati dal governo russo. Gli organizzatori della conferenza, però, hanno detto che Yes California non ha ricevuto soldi. A dicembre il movimento ha aperto un “centro culturale” nella sua sede di Mosca. Marinelli ha paragonato l’indipendenza della California all’annessione della Crimea, e Russia Today – il canale televisivo russo di news in inglese finanziato dal governo – ha parlato ampiamente del movimento.

Marinelli ha detto che Yes California non è affiliato in nessun modo al governo russo. «Non comunichiamo, non abbiamo contatti né abbiamo ricevuto sostegno di nessun tipo dal governo russo o da funzionari del governo russo», ha detto Marinelli, sottolineando che le persone hanno il diritto di essere preoccupate per i presunti legami con la Russia ma aggiungendo che intorno a Yes California circolano teorie del complotto false, come quella secondo cui il movimento vorrebbe che la California si unisse al Messico oppure che sarebbe finanziato dal miliardario progressista George Soros. D’altra parte – ha raccontato Marinelli – «se le persone credono che il nostro movimento sia finanziato dal governo russo, forse penseranno che ha più probabilità di raggiungere il suo scopo».

Evans non è un sostenitore di Trump, che reputa razzista, antisemita e sessista. Ha raccontato che Yes California promuove la diversità, l’inclusione e una secessione pacifica e legale. Evans passa la maggior parte delle sue giornate al telefono, chiamando, scrivendo mail e mandando messaggi per parlare del movimento, che ha il proprio indirizzo in un negozio di Postal Annex – una società di servizi di spedizione – in un centro commerciale di Fresno. Yes California è registrata presso l’ufficio del Segretario di Stato californiano, ma non ha ancora dichiarato di aver ricevuto finanziamenti. L’intenzione di Marinelli è quella di assumere un professionista che si occupi della raccolta fondi e del personale retribuito.

All’incontro di San Francisco alcuni dei partecipanti sono più ottimisti degli altri sulla possibilità che un referendum sulla secessione della California possa essere approvato. La maggior parte dei presenti riconosce che le possibilità che succeda sono limitate, ma sono disposti a fare tutti i tentativi necessari. «Il nostro obiettivo non è far passare il referendum», ha raccontato Evans, «ma entrare nella testa di 40 milioni di persone».

© 2017 – The Washington Post