Aboliamo la parola “buonismo”

Non c'entra nulla con la solidarietà per le donne rom chiuse in gabbia a Follonica, ed è diventata uno "scudo contro qualsiasi pensiero ragionevole", scrive Roberto Saviano

Su Repubblica di oggi, Roberto Saviano ha commentato le molte reazioni generate da un video girato a Follonica, nel parcheggio di un supermercato LIDL, che mostra tre uomini rinchiudere in un gabbiotto due donne rom scoperte a rovistare fra i rifiuti. I tre uomini, che nel video deridono e ignorano le richieste di aiuto delle donne, sono attualmente indagati dalla procura di Grosseto per sequestro di persona.

Saviano ce l’ha soprattutto con chi ha preso le difese dei tre uomini, fra cui il leader della Lega Nord Matteo Salvini, e con chi accusa di “buonismo” le persone che sostengono posizioni più prudenti. Saviano sostiene che la parola “buonismo” sia diventata «una specie di scudo contro qualsiasi pensiero ragionevole, contro qualsiasi riflessione in grado di andare oltre il raglio della rabbia e la superficialità del commento», e propone di abolirla. Accusare di “buonismo” – o di parlare in modo “politicamente corretto” – è da anni una frequente battaglia di molti che cercano un alibi per il proprio “cattivismo”. «Quando si trattò di attaccare i buoni, i cattivi inventarono almeno la categoria del “buonismo”, perché prendersela ufficialmente con la bontà sembrava sinceramente impraticabile», ha scritto ad esempio qualche tempo fa il direttore del Post Luca Sofri.

Che pesantezza, penseranno alcuni lettori. Adesso volete attaccare anche coloro che hanno beccato delle ladre zingare?! Infatti arriva Matteo Salvini. Condivide il video in un post su Facebook in cui non stigmatizza, ma anzi sostiene l’azione dei tre uomini e continua a motteggiare la signora nomade che strilla in preda al terrore. E ci aggiunge l’immancabile hashtag #ruspe, che è letteralmente un invito a delinquere. La Lidl dimostra invece un comportamento assai più responsabile e condanna prontamente l’episodio in un comunicato: sa benissimo che, dentro le regole democratiche, un gesto del genere è un moltiplicatore di violenza, è l’indicazione di un bersaglio.

“Un gioco era ma quale sequestro di persona!” (per cui sono indagati i dipendenti), “ma voglio vedere se succede a casa tua che becchi una zingara cosa succede…”, “ma quanto buonismo!”: sono questi i commenti che si leggono sui social sotto i post di chi critica il comportamento dei dipendenti della Lidl. Questa parola, buonismo, è diventata una specie di scudo contro qualsiasi pensiero ragionevole, contro qualsiasi riflessione in grado di andare oltre il raglio della rabbia e la superficialità del commento. Qualsiasi cosa non sia circoscritta nel perimetro dell’insulto o che abbia il marchio del sarcasmo diventa buonismo. Una parola sacra, quella di “bontà”, costretta in un contesto del tutto estraneo. Qui nessuno sta facendo appello alla bontà, si vuole analizzare un comportamento e valutarne le conseguenze. Eppure parlare di diritti umani è buonismo. Parlare di integrazione è buonismo. Criticare gli insulti degli hater è buonismo. Valutare criminali le affermazioni di Salvini è buonismo. Quindi cosa è non-buonismo? L’insulto, il cachinno, il darsi di gomito, il pettegolezzo?

Smettiamola. Aboliamo questa parola. Qui non c’entra la bontà e non c’entra neanche il politicamente corretto, espressione abusata dagli stessi che usano la parola “buonista” come sinonimo di una politica ipocrita che proclama i buoni sentimenti ma poi nel quotidiano fa pagare agli altri il prezzo della propria correttezza e si mantiene nel privilegio. Nulla è più rigoroso e dignitoso della correttezza invece.

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