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  • Mercoledì 22 febbraio 2017

Il primo concorso per assumere medici non obiettori

Al San Camillo di Roma saranno assunti due ginecologi che dovranno garantire l'applicazione della legge 194 sull'interruzione di gravidanza

(TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)
(TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)

Nel novembre del 2015 l’ospedale San Camillo di Roma ha indetto, per la prima volta, un concorso per dirigenti medici riservato ai non obiettori di coscienza per contrastare la non applicazione della legge 194 sul diritto all’aborto, e nei prossimi giorni – finite le prove di esame – dovrebbero esserci le prime assunzioni. La 194, approvata nel 1978, dovrebbe garantire alle donne la possibilità di interrompere volontariamente una gravidanza, ma nella realtà rimane spesso inapplicata per l’elevato numero di medici che si avvalgono della cosiddetta “obiezione di coscienza”, la possibilità prevista dalla legge di non praticare aborti per motivi etici. Il San Camillo è il centro per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) più importante del Lazio e i ginecologi obiettori sono oltre l’80 per cento.

In questi giorni sono in corso le prove orali previste dal bando, ma nel giro di pochi si procederà con le due nuove assunzioni. Il concorso fu indetto dal direttore generale del San Camillo nel 2015 e aveva come oggetto la copertura «a tempo indeterminato di un dirigente medico disciplina Ostetricia e Ginecologia da destinare al settore Day Hospital e day Surgey per l’applicazione della Legge 194/1978». Nel giugno del 2016 il Commissario ad acta della regione Lazio (in questo caso, il presidente Nicola Zingaretti) emanò però un decreto con cui autorizzò l’ospedale ad aumentare a due il numero di ginecologi da assumere tramite quello stesso concorso. (Nicola Zingaretti è stato nominato Commissario ad acta nel 2013: questa figura è una specie di funzione straordinaria dell’amministrazione ed è prevista dal codice del processo amministrativo).

Nell’oggetto del bando è specificata la funzione che dovranno assolvere i nuovi due dirigenti medici: e cioè praticare interruzioni di gravidanza. Questo criterio è stato deciso per contrastare l’enorme ricorso all’obiezione di coscienza e per permettere all’ospedale di provvedere a un servizio che è stabilito per legge. Chi risulterà vincitore di questo bando, per i primi sei mesi non potrà optare comunque per l’obiezione e potrebbe rischiare il licenziamento perché risulterebbe inadempiente rispetto al compito specifico per cui è stato assunto. Passato questo periodo il rifiuto di fare interruzioni volontarie di gravidanza potrebbe invece portare alla mobilità o alla messa in esubero.

È da tempo che la regione Lazio e Nicola Zingaretti stanno lavorando per garantire la libertà di scelta e la salute della donna applicando in modo corretto la legge 194 e limitando l’abuso dell’obiezione di coscienza: nei fatti il diritto all’aborto non viene garantito in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. L’associazione LAIGA (Libera Associazione Italiana dei Ginecologi per l’Applicazione della legge 194) ha svolto una propria ricerca concludendo che nella regione Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 non sia nemmeno più possibile accedere alle interruzioni di gravidanza. Nell’aprile del 2016 il Consiglio d’Europa, l’organizzazione internazionale europea con sede a Strasburgo che si occupa di promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti umani nei 47 stati membri si era pronunciato su un ricorso del sindacato CGIL sulla situazione degli aborti in Italia: aveva ribadito che in Italia è troppo difficile per le donne interrompere le gravidanze e che i medici non obiettori sono discriminati.

Nel 2014 Zingaretti aveva firmato un decreto sulla riorganizzazione dei servizi medici per la salute delle donne: si diceva che se per legge un medico poteva essere un obiettore e dunque rifiutarsi di praticare un’interruzione volontaria di gravidanza, all’interno dei consultori familiari i medici non potevano sottrarsi ai loro compiti di assistenza e di cura. Il decreto si basava su quanto scritto nella Legge 194, che al comma 3 dell’articolo 9 dice che l’obiezione di coscienza non esonera il personale dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento (cosa che avviene nei consultori dove non si pratica materialmente l’interruzione volontaria di gravidanza). Il Movimento per la vita (organizzazione molto impegnata nell’attivismo cosiddetto “pro-life”) e altre associazioni di medici cattolici avevano comunque presentato ricorso contro il decreto. Nell’agosto del 2016 il Tar del Lazio aveva dato ragione alla regione Lazio e aveva respinto il ricorso giudicandolo «infondato».