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  • Giovedì 16 febbraio 2017

L’operazione militare contro i Rohingya è terminata

Lo ha fatto sapere l'esercito birmano dicendo che nell'intervento cominciato quattro mesi fa sono morte circa 100 persone: le Nazioni Unite parlano invece di mille morti e di 69 mila rifugiati

Rohingya rifugiati in un campo del Bangladesh, 8 febbraio 2017 (Allison Joyce/Getty Images)
Rohingya rifugiati in un campo del Bangladesh, 8 febbraio 2017 (Allison Joyce/Getty Images)

L’esercito del Myanmar (Birmania) dice di aver concluso l’operazione di repressione avviata nello Stato di Rakhine circa quattro mesi fa contro la minoranza etnica dei Rohingya. Le Nazioni Unite hanno stimato che nelle ultime settimane almeno 69 mila persone abbiano lasciato il paese, trovando rifugio oltre il confine con il Bangladesh nel timore di subire vessazioni e violenze da parte dei soldati. Molti di loro hanno raggiunto i campi di accoglienza organizzati nella parte meridionale del Bangladesh, dove si vive in condizioni precarie e tra numerose difficoltà dovute proprio al sovraffollamento. La scorsa settimana due funzionari dell’ONU che si occupano di rifugiati hanno dichiarato all’agenzia di stampa Reuters che nelle operazioni militari potrebbero essere state uccise più di mille persone.

Mercoledì 15 febbraio, il responsabile per la sicurezza del Myanmar ha dichiarato che «La situazione nel nord di Rakhine ora si è stabilizzata» e ha aggiunto che quelle zone rimarranno comunque presidiate dai militari per ragioni di «pace e sicurezza». L’operazione dell’esercito birmano era in corso dallo scorso ottobre: venne decisa in seguito ad alcuni attentati organizzati da gruppi indipendentisti che chiedono maggiori autonomie per lo stato, che si trova nell’ovest del paese. Lo scorso 9 ottobre in tre attacchi armati contro stazioni di polizia sul confine tra il Bangladesh e la Birmania, nei distretti di Maungdaw e Rathedaung, vennero uccisi nove poliziotti birmani. C’erano stati altri attacchi contro i militari birmani il 12 e il 13 novembre.

La situazione dei Rohingya sta suscitando molte preoccupazioni nella comunità internazionale e ha causato pesanti critiche nei confronti della ministra degli Esteri Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, accusata di non essere intervenuta per fermare la repressione. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere che quanto accaduto potrebbe essere considerato un crimine contro l’umanità o una pulizia etnica: i profughi in Bangladesh hanno fornito testimonianze sulle violenze subite da parte dell’esercito birmano che li ha spinti a lasciare il Myanmar. Alcuni hanno parlato di stupri di massa da parte dei militari, altri di numerosi episodi di uccisioni ingiustificate di civili, furti nelle loro abitazioni e dell’incendio di interi villaggi.

Il governo ha invece negato tutte le accuse più gravi di violazione dei diritti umani nello stato di Rakhine, ha detto che l’operazione è stata un intervento legittimo di controinsurrezione e un portavoce del presidente ha fatto sapere che le ultime relazioni dell’esercito affermano che sono state uccise meno di 100 persone. I militari e la polizia hanno comunque deciso di creare separatamente una commissione per indagare sulle denunce dell’ONU.

(Il video dei poliziotti del Myanmar che picchiano i rohingya)

I Rohingya sono una popolazione poverissima proveniente dal Bangladesh, ma che vive in Birmania da molte generazioni. Considerati una delle minoranze più perseguitate al mondo, sono musulmani che vivono in un paese a maggioranza buddista, e sono poco meno di un milione in un paese da 50 milioni di abitanti. La maggior parte di loro vive nello Stato di Rakhine, che in passato era chiamato Arakan. Nel 1982, la giunta militare allora al potere li privò della cittadinanza birmana, accusandoli di essere immigrati dal Bangladesh dopo il 1823, anno in cui la Birmania perse l’indipendenza e divenne una colonia britannica. I Rohingya sostengono invece di essere discendenti dei mercanti musulmani arrivati in Birmania via mare durante il medioevo. Senza la cittadinanza birmana, i Rohingya subiscono limitazioni nell’accesso all’istruzione – motivo per cui molti di loro hanno soltanto un’istruzione religiosa, a volte di tipo fondamentalista – alla sanità e al possesso di terreni. Non hanno nemmeno il diritto di voto, perciò non hanno potuto partecipare alle elezioni del 2015 in cui ha vinto la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), il partito di Aung San Suu Kyi. La situazione dei Rohingya è peggiorata ulteriormente dal 2012, in seguito agli scontri violenti avvenuti nello stato di Rakhine con la maggioranza buddista.