La Banca d’Italia è privata?

Lo ha detto Alessandro Di Battista a La7, rilanciando una delle bufale più dure a morire di sempre: ma la spiegazione è complicata

(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Martedì sera, durante la puntata del talk show politico diMartedì in onda su La7, il parlamentare e dirigente del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista ha ripetuto una frase che era molto comune sentire fino a qualche anno fa, soprattutto tra chi crede al cosiddetto “complotto del signoraggio”, una delle teorie della cospirazione più diffuse al mondo. Parlando dei problemi del sistema bancario italiano con il conduttore Giovanni Floris, Di Battista ha detto:

«Il problema, non so se lo sanno gli italiani, è che oggi Banca d’Italia, che dovrebbe controllare le banche private ed evitare che possano fallire, non è più una banca pubblica, perché è una banca controllata da quelle stesse banche private che dovrebbe controllare»

Sarebbe davvero strano se in un paese moderno un organo importante come la banca centrale fosse in mano ai privati, e infatti non è vero.

Dal minuto 30.32

Al comma 1, articolo 1, lo statuto della Banca d’Italia stabilisce che: «La Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico».  L’errore di Di Battista era molto comune in particolare qualche anno fa, ed è in parte giustificato: quasi il 100 per cento delle quote della banca sono effettivamente possedute dagli istituti di credito privati, cioè da banche e assicurazioni. Questa disposizione è poco più che un retaggio di un’epoca passata, quando tutte le banche erano istituti di diritto pubblico. Oggi la composizione delle quote della Banca d’Italia non ha più grandi effetti pratici: comprendere il perché non è difficile ma è un po’ elaborato da spiegare, e per questo l’equivoco continua a riaffiorare negli anni nonostante le numerose smentite. Qui ne trovate una di Mario Seminerio e qui una del Post, in cui raccontiamo anche come funziona la distribuzione dei dividendi della Banca.

Quasi tutte le quote di Banca d’Italia sono in mano a banche e assicurazioni private (qui trovate l’elenco aggiornato al 31 dicembre 2016). INAIL e INPS, due istituti di previdenza pubblica, ne possiedono circa il 5 per cento, mentre le due principali banche italiane, Intesa e Unicredit, da sole controllano un terzo di tutte le quote (in ogni caso nessuno può votare o incassare dividendi per una quota superiore al 3 per cento). Ai detentori di queste quote, però, spettano pochi poteri formali. L’assemblea dei partecipanti, formata da tutti i detentori, si limita a nominare i componenti del Consiglio superiore, un organo che ha compiti di amministrazione e vigilanza interna alla banca e che, stabilisce lo Statuto al comma 2, articolo 19, «non ha alcuna ingerenza nelle materie relative all’esercizio delle funzioni pubbliche attribuite dal Trattato, dallo Statuto del SEBC e della BCE, dalla normativa dell’Unione europea e dalla legge alla Banca d’Italia o al Governatore per il perseguimento delle finalità istituzionali». Gli istituti privati, insomma, non esercitano nessun controllo sulla Banca d’Italia.

Le funzioni più importanti della Banca d’Italia (che ormai non sono molte, come vedremo tra poco) sono esercitate dal governatore, nominato dal presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, e dal direttorio, nominato dal Consiglio superiore su proposta del governatore. L’organo più importante all’interno della Banca d’Italia, quindi, è il governatore, che viene scelto dal governo, cioè dallo Stato. Una volta nominato, il governatore è indipendente dal governo e dall’assemblea, e svolge il suo mandato per sei anni senza che possa essere rimosso o formalmente influenzato nelle sue decisioni. La formale indipendenza della Banca dal governo è stata sancita nel 1981, quando si stabilì che Banca d’Italia non era più tenuta ad acquistare tutti i titoli di stato rimasti invenduti, cosa che portava alla cosiddetta “monetizzazione del debito pubblico”.

La Banca d’Italia non è formalmente privata e, nella sostanza, i privati non hanno potere all’interno dell’istituto. Di Battista è impreciso anche quando definisce il ruolo di Banca d’Italia: «Controllare le banche private ed evitare che possano fallire». La vigilanza è stata per decenni una delle attività più importanti di Banca d’Italia, ma oggi questo compito è svolto in maniera congiunta con le autorità europee, in quello che si chiama “Meccanismo di vigilanza unico”, o “Single Supervisory Mechanism” (SSM). Significa che le più grandi banche italiane sono sorvegliate direttamente dalla Banca Centrale Europea; le altre sono vigilate dalla Banca d’Italia, che però deve seguire “gli indirizzi formulati dalla BCE”. In ogni momento la BCE può avocare a sé la sorveglianza di qualsiasi istituto, se lo ritiene necessario.

Per quanto Di Battista abbia fatto una serie di affermazioni errate o imprecise, però, la sostanza del suo ragionamento non è sbagliata. In passato sono avvenuti diversi episodi che hanno messo in dubbio la correttezza e la neutralità della vigilanza di Bankitalia. Per esempio nel 2005 il governatore Antonio Fazio fu costretto a dimettersi per il ruolo avuto in quello che i giornali definirono lo scandalo dei “furbetti del quartierino”. Per lo stesso caso Fazio è stato condannato per aggiotaggio, mentre l’accusa di insider trading è caduta in prescrizione. Nel 2007 la Banca d’Italia guidata da Mario Draghi approvò l’acquisto di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi di Siena, un’operazione da molti ritenuta sbagliata e troppo costosa e che ha contribuito molto a peggiorare la situazione di MPS.

La storia di questi e altri casi di fallimento della vigilanza in ogni caso non ha a che fare con il controllo della Banca d’Italia da parte di banche private, ma con la molto più prosaica commistione tra banche e politica, un antico problema italiano che ha origine nel possesso di centinaia di miliardi di titoli di stato da parte del sistema bancario, nella presenza di fondazioni bancarie governate da politici locali e nei rapporti spesso poco trasparenti tra classe politica e dirigenti bancari. Non solo sono temi difficili da spiegare in televisione, ma, come ha fatto notare Floris nell’intervista a Di Battista, la loro soluzione sembra in netto contrasto con il programma del Movimento 5 Stelle, secondo cui il sistema bancario andrebbe ulteriormente nazionalizzato: quindi posto sotto un controllo politico ancora più capillare di quello odierno.