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  • Martedì 24 gennaio 2017

Servirà il voto del Parlamento per Brexit

Lo ha stabilito la Corte Suprema del Regno Unito: il governo non potrà ricorrere all'articolo 50 del Trattato di Lisbona per l'uscita dall'UE senza l'approvazione dei deputati

Theresa May (DANIEL LEAL-OLIVAS/AFP/Getty Images)
Theresa May (DANIEL LEAL-OLIVAS/AFP/Getty Images)

La Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che il governo non potrà appellarsi all’articolo 50 del Trattato di Lisbona per uscire dall’Unione Europea senza prima passare da un voto del parlamento che confermi o meno il risultato del referendum, che tecnicamente aveva solo valore consultivo. L’appello al Trattato di Lisbona dà inizio all’uscita dall’UE e ne regola le procedure.

La Corte ha dunque confermato la sentenza dello scorso 3 novembre dell’Alta Corte di Giustizia del Regno Unito, contro cui il governo di Theresa May aveva presentato ricorso. La Corte Suprema era composta da 11 giudici e era presieduta da Lord Neuberger, che ha letto una sintesi della sentenza: i giudici che hanno votato a favore di un intervento del parlamento sono stati 8, in 3 hanno invece votato contro. La Corte ha anche stabilito che non servirà l’approvazione dei “devolved parliaments”, cioè dei deputati di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, per l’attivazione dell’articolo 50: Neuberger ha spiegato che il loro coinvolgimento nelle consultazioni del governo centrale è stabilito per “convenzione” e non per legge: non è dunque giuridicamente vincolante.

Diversi funzionari europei e analisti sono convinti che l’effetto più immediato della sentenza sarà quello di ritardare i programmi del governo britannico sui negoziati e quindi, in pratica, quello di far saltare l’invocazione dell’articolo 50 entro marzo 2017. Non c’è praticamente alcuna possibilità di fermare Brexit, ma c’è una possibilità molto concreta che durante il processo legislativo vengano imposti alcuni vincoli ai negoziati.

Jeremy Wright, il procuratore generale, ha parlato brevemente dopo la sentenza dicendo che il governo «è deluso», ma che rispetterà la sentenza. In una nota, un portavoce della prima ministra Theresa May ha fatto sapere che «il popolo britannico ha votato per lasciare l’Unione Europea» e che il governo rispetterà questa scelta facendo ricorso all’articolo 50 «come previsto, entro la fine di marzo». Si dice anche che la sentenza di oggi non cambierà la situazione e che «il parlamento ha sostenuto il referendum con un margine di sei a uno»: «Rispettiamo la decisione della Corte Suprema e stabiliremo i nostri prossimi passi in parlamento a breve». Alex Salmond, portavoce degli Affari esteri dello Scottish National Party, ha affrontato indirettamente in una dichiarazione la decisione della Corte sul non obbligo di consultare i parlamentari dei governi decentrati per fare appello all’articolo 50 e ha detto che May «dovrà trattare le amministrazioni decentrate come partner alla pari, come del resto ha promesso di fare». Tim Farron, leader dei Lib Dem, ha detto che il suo partito voterà contro l’articolo 50 a meno che il governo non si impegni a organizzare un referendum sull’accordo finale raggiunto su Brexit. Jeremy Corbyn, segretario del partito Laburista (che aveva fatto campagna a favore della permanenza nell’Unione Europea) ha fatto sapere che non si opporrà al ricorso all’articolo 50, ma che proporrà delle modifiche per rendere “significativo” l’intervento dei parlamentari:

Dopo la sentenza del 3 novembre, la prima ministra britannica Theresa May aveva sostenuto che, dato che i cittadini del Regno Unito si erano già espressi su Brexit con il referendum, non c’era bisogno dell’approvazione del parlamento. La questione sulla competenza per l’invocazione dell’articolo 50 era stata portata davanti all’Alta Corte da un gruppo di cittadini: una di questi, l’imprenditrice Gina Miller, aveva detto che il governo avrebbe dovuto accettare la decisione senza fare appello. Miller era presente oggi in aula per la lettura della nuova sentenza. Il governo britannico aveva invece sostenuto di poter invocare autonomamente l’articolo 50 per via della cosiddetta “Royal prerogative”, i poteri un tempo esercitati dal monarca del Regno Unito e che ora competono all’esecutivo. In effetti, normalmente i trattati internazionali rientrano nelle competenze della “Royal prerogative”, ma l’Alta Corte aveva stabilito che l’uscita dall’UE avrebbe cambiato anche le leggi interne al Regno Unito, e per questo non avrebbe potuto essere una decisione di competenza esclusiva del governo.

Secondo quanto previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona del 2009, il Regno Unito deve comunicare formalmente al Consiglio europeo la sua intenzione di lasciare la UE, facendo appello alla procedura di recesso. A seguito della notifica presentata dal Regno Unito e alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, inizierà una serie di negoziazioni tra le due parti per definire le modalità del recesso. L’articolo 50 prevede che le trattative si concludano entro due anni: se questo non succede, l’appartenenza dello Stato membro alla UE decade automaticamente, a meno che il Consiglio europeo e gli altri Stati membri non decidano insieme di estendere il periodo delle negoziazioni.

Approvare l’attivazione dell’articolo 50 in parlamento potrebbe essere ora più complicato. È vero che al governo ci sono i Conservatori, che si sono impegnati a rispettare il risultato del referendum: ma il partito continua ad essere diviso fra i deputati sostanzialmente ostili a Brexit – che quindi cercheranno in ogni modo di ritardare il processo oppure di cambiarne i termini – e quelli favorevoli.

Prima della sentenza, il governo britannico poteva avviare i negoziati con un grosso vantaggio strategico: non dover rendere conto a nessuno di come condurre le trattative, e su quali punti concentrare gli sforzi. Se Theresa May sarà costretta a rivelare in Parlamento le sue intenzioni – per esempio: puntare su una “hard” o “soft” Brexit, cioè rispettivamente un’uscita netta dall’Unione o una solamente parziale – perderà quel vantaggio. Al contempo, i parlamentari favorevoli a una “soft” Brexit potrebbero persino mettere insieme una maggioranza e costringere il governo a scendere a compromessi e accettare alcuni punti fermi, fra cui la permanenza nel mercato unico economico (che fa sì che all’interno dell’Unione Europea, più Svizzera e Norvegia, si possa commerciare senza barriere tariffarie o doganali). È una soluzione che non piace molto ai sostenitori del “Leave”. Per accedere al mercato unico, Norvegia e Svizzera hanno dovuto accettare gran parte delle regole europee che riguardano la libera circolazione delle persone, proprio quelle che i sostenitori del “Leave” non vogliono.

Nei prossimi giorni, il margine di intervento sui negoziati per Brexit del parlamento dipenderà molto dal disegno di legge che verrà approvato e che ne stabilirà le modalità: il Labour spera ad esempio che i parlamentari avranno la possibilità di influenzare e fare modifiche attraverso un «voto significativo» mentre cercheranno di opporsi a un voto che semplicemente si limiterà ad approvare o a respingere il piano proposto da Theresa May.

Un sondaggio fatto prima della sentenza mostrava che la maggioranza dei cittadini e delle cittadine del Regno Unito preferiva che la decisione sull’articolo 50 spettasse solo alla prima ministra senza un passaggio dal parlamento: