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  • Domenica 22 gennaio 2017

Cos’è successo dentro all’hotel Rigopiano

Una delle persone sopravvissute ha raccontato a Marco Imarisio come ha passato le 58 ore tra la valanga e il salvataggio

Un volontario del Soccorso Alpino in una delle entrate ricavate all'Hotel Rigopiano di Farindola, il 22 gennaio 2017 (ANSA/ SOCCORSO ALPINO)
Un volontario del Soccorso Alpino in una delle entrate ricavate all'Hotel Rigopiano di Farindola, il 22 gennaio 2017 (ANSA/ SOCCORSO ALPINO)

Tra le persone che sono rimaste intrappolate nell’Hotel Rigopiano di Farindola sul Gran Sasso, dopo che il 18 gennaio è stato coperto da una valanga, c’era la studentessa Giorgia Galassi insieme al suo fidanzato Vincenzo Forti. Sul Corriere della Sera Marco Imarisio ha raccontato cos’è successo a Galassi, insieme a Forti una delle nove persone che sono state tratte in salvo dai vigili del fuoco, nelle quasi 58 ore in cui è rimasta bloccata nell’albergo sepolto nella neve. Ancora 23 persone sono disperse tra quelle che si trovavano nell’hotel. Cinque persone sono morte.

«Mi chiamo Giorgia, e sono viva». Alle undici di venerdì mattina la vita in scatola finisce con questa frase. «Ci chiedevano chi c’era. Cercavano di capire chi c’era sotto, e noi rispondevamo con i nostri nomi». Adesso la ripete, ma sottovoce, con pudore. Nel letto accanto a lei dormono donne e bambini che non sanno ancora se potranno rivedere i genitori o i fidanzati che erano con loro. «Ho perso la cognizione del tempo, e non l’ho ancora ritrovata. Credo che sia durata due giorni, forse qualcosa di più». Sono quasi 58 ore. Giorgia Galassi, studentessa universitaria, le ha trascorse in un ambiente angusto e ovattato, insieme al fidanzato Vincenzo Forti, titolare di una pizzeria sul lungomare di Giulianova, entrambi convinti di essere in qualche modo sopravvissuti a quello che loro chiamano «il terremoto devastante».

Avevano deciso di partire perché non ne potevamo più di quelle scosse. «Io soprattutto, mi ero convinta che sarebbe arrivata la botta definitiva. Avevo paura, insomma». Alle 17.40 di venerdì sono nella hall del Rigopiano, seduti su un divano di vimini davanti al camino, bevendo una tazza di tè, in attesa che qualcuno gli dica come e quando partire. «Poi ci è crollato tutto addosso e non ci ho capito più niente». Quando si riprendono sono per terra, con qualche livido. La sala dell’albergo è diventata una cupola che contiene quattro gabbie, che comunicano tra loro dall’alto, ma sono isolate dall’esterno. «Eravamo completamente tagliati fuori e non sentivamo alcun suono. Le nostre voci rimbombavano, e Vincenzo mi spiegava che era l’effetto della neve, una specie di cassa di risonanza. Avevo proprio questa sensazione di essere chiusa in una scatola, con la neve sopra che copriva ogni rumore. Non ho sentito niente per tutto quel tempo. Solo le voci che venivano da dentro». L’urto della valanga li ha spostati di almeno una decina di metri rispetto al posto dove si trovavano. Il grande camino è l’unico punto di riferimento di un panorama interno completamente stravolto. Il freddo non è così intenso.

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