La causa miliardaria contro Oculus

Una casa produttrice di videogiochi ha fatto causa alla società dei visori per la realtà virtuale di Facebook per violazione delle sue proprietà intellettuali, Zuckerberg ha testimoniato ieri in tribunale

(AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
(AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)

Martedì 17 gennaio a Dallas il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, ha testimoniato nel processo da poco iniziato su Oculus, società di proprietà del social network e accusata dal produttore di videogiochi ZeniMax di avere violato alcuni suoi copyright e brevetti nella realizzazione dei caschi per la realtà virtuale (VR). La deposizione di Zuckerberg era molto attesa, non solo perché sono rare le sue apparizioni in tribunale, ma anche per ottenere qualche informazione in più sui piani di Facebook per la realtà virtuale, tecnologia su cui sta investendo milioni di dollari, e per avere qualche dettaglio su come fu organizzata l’acquisizione di Oculus nel 2014 per 2 miliardi di dollari.

ZeniMax ha diverse aziende controllate, come Bethesda, nota soprattutto per la produzione della serie di videogiochi The Elder Scrolls e id, conosciuta per titoli come Wolfenstein, Doom e Quake. Nel 2012 Palmer Luckey, uno dei fondatori di Oculus, strinse amicizia con uno degli sviluppatori di id, John Carmack, che in seguito sarebbe diventato responsabile della tecnologia proprio di Oculus. All’epoca la startup era già molto promettente, ma piccola e finanziata tramite crowdfunding su Kickstarter. Carmack si mise al lavoro con altri sviluppatori di id per mettere insieme una demo del videogioco Doom 3 per Rift, il casco per la realtà virtuale realizzato da Oculus. Per sviluppare questa versione di Doom 3 furono sfruttate da un lato le risorse hardware disponibili grazie a Rift, e dell’altra alcune soluzioni software di proprietà di id.

Luckey sottoscrisse un accordo di riservatezza per lavorare alla demo, che in seguito fu presentata privatamente all’E3, la più grande fiera di videogiochi al mondo, che viene organizzata ogni anno a Los Angeles, California. Nonostante l’accordo e la mancanza di espliciti patti commerciali con id, Oculus promise ad alcuni dei suoi finanziatori su Kickstarter di consegnargli una copia della demo. L’annuncio era accompagnato da un video, nel quale erano visibili alcune immagini di Doom 3 e il logo del videogioco, anche se a Luckey era stato detto di non mostrare niente che fosse coperto da copyright di proprietà di id e di conseguenza di ZeniMax, che ne detiene il controllo.

Secondo l’accusa, la vicenda dimostra che in alcune fasi di sviluppo delle tecnologie di Oculus furono utilizzati materiali coperti da copyright, e strumenti software, appartenenti a ZeniMax. La causa dice anche che nei mesi dopo l’E3, ZeniMax cercò un accordo più formale con Oculus per creare una sorta di partnership tra le due aziende. Ci furono contatti tra i rispettivi dirigenti e, sempre secondo gli avvocati dell’accusa, Oculus propose a ZeniMax una quota del 5 per cento della propria società in cambio dei permessi necessari per usare i software di id, per avere una mano lato marketing e raccogliere un investimento da 1,2 milioni di dollari. Dopo ulteriori incontri, non fu possibile trovare un accordo che andasse bene a entrambe le parti e i contatti furono interrotti. Nei due anni seguenti, quindi prima dell’acquisizione da parte di Facebook, Oculus proseguì per la propria strada, sviluppando altre demo e nell’agosto del 2013 Carmack lasciò id per diventare chief technical officer (CTO) di Oculus.

Inizialmente non sembrava che ZeniMax avesse molte speranze di arrivare a processo, considerato che parte delle accuse sono basate su accordi informali stretti tra Oculus e id anni prima e per i quali ci si può basare soprattutto su alcune testimonianze. I legali di ZeniMax sono invece riusciti a convincere un giudice, con la sorpresa di molti osservatori, e si è arrivati al processo da poco iniziato presso la corte del Northern Texas District, dove ieri Zuckerberg ha testimoniato rispondendo alle domande degli avvocati delle parti in causa. In giacca e cravatta, quindi senza la sua classica “divisa” con maglietta grigia e jeans, Zuckerberg ha sollevato qualche perplessità sulla tempistica della causa, facendo notare che è arrivata solo dopo l’acquisizione di Oculus da parte di Facebook per 2 miliardi di dollari, aggiungendo di avere l’impressione che ZeniMax abbia visto l’opportunità di ricavare qualche soldo facendo causa.

In effetti i tempi con cui è stata gestita la vicenda sembrano dare ragione a Zuckerberg. ZeniMax ha fatto causa dopo l’annuncio dell’acquisizione di Oculus da parte di Facebook. In seguito alla formalizzazione dell’accordo, ZeniMax si era messa in contatto con Facebook per avvisare dell’utilizzo di alcune sue proprietà intellettuali da parte di Oculus nelle fasi di sviluppo del suo Rift. Nella sua deposizione di ieri, Zuckerberg ha detto che all’epoca nessuno lo aveva avvisato sui rapporti e gli accordi che erano intercorsi tra ZeniMax e Oculus, e di non essere stato nemmeno avvisato dell’accordo di riservatezza di Luckey, che tra le altre cose comprendeva il divieto di utilizzare risorse e strumenti di ZeniMax (tramite id) per farle concorrenza.

Il caso giudiziario è piuttosto complicato e secondo molti osservatori ZeniMax faticherà a dimostrare, al di là di ogni ombra di dubbio, le proprie ragioni e le accuse che ha mosso a Oculus. Il processo è comunque solo all’inizio e devono essere ancora ascoltati diversi protagonisti della vicenda, compreso Luckey. I legali di ZeniMax hanno inoltre ottenuto dalla Corte la possibilità di visionare i dati su telefonate e messaggi inviati tra aprile del 2012 e febbraio del 2014, da buona parte delle persone coinvolte nello sviluppo di Rift e che avevano mantenuto rapporti con gli sviluppatori di id. Non è però chiaro se dall’analisi di questi dati e documenti siano emersi ulteriori elementi a sostegno delle accuse mosse da ZeniMax, altra cosa che si potrà scoprire solo nelle prossime udienze del processo.

Zuckerberg ha detto di essere: “altamente fiducioso sul fatto che i prodotti Oculus siano stati costruiti sulla base di tecnologie di Oculus: l’idea che i loro prodotti siano basati sulla tecnologia di qualcun altro è semplicemente sbagliata”. Ha anche spiegato che per Facebook è essenziale muoversi rapidamente sul mercato, cercando di concludere il più in fretta possibile le acquisizioni delle aziende cui il social network è più interessato. Questa logica è stata applicata per Oculus, come per Instagram e per WhatsApp. Zuckerberg ha spiegato che inizialmente Oculus aveva chiesto 4 miliardi di dollari per farsi acquisire, ma che la cifra era poi scesa a 2 miliardi quando Facebook concordò di spendere 700 milioni di euro per trattenere buona parte del personale, con un impegno a investire almeno altri 300 milioni di dollari per proseguire lo sviluppo dei caschi per la realtà virtuale.

Da dopo l’acquisizione, Facebook ha investito moltissimo nelle tecnologie per la realtà virtuale e in Oculus. Durante la sua deposizione, Zuckerberg ha detto che la sua società investirà probabilmente più di 3 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per migliorare i visori Oculus, pubblicizzarli e farli conoscere a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, che usano quotidianamente Facebook. Se dovesse perdere la causa legale contro ZeniMax, Facebook potrebbe essere costretta a pagare fino a 2 miliardi di dollari di danni, con evidenti conseguenze per le possibilità di sviluppo dei caschi per la realtà virtuale. Molti osservatori sono comunque scettici sulla possibilità che ZeniMax possa ottenere un giudizio a suo favore da parte della giuria al processo, ma molto dipenderà dai prossimi sviluppi del dibattimento.