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  • Mercoledì 18 gennaio 2017

In Gambia è stato dichiarato lo stato di emergenza

È l'ultimo tentativo del presidente Yahya Jammeh, sconfitto alle ultime elezioni, per non lasciare il potere: migliaia di civili stanno scappando temendo nuove violenze

(AP Photo/Jerome Delay)
(AP Photo/Jerome Delay)

Martedì in Gambia, un piccolo paese dell’Africa occidentale, il presidente uscente Yahya Jammeh ha dichiarato lo stato di emergenza a soli due giorni dall’insediamento del suo successore, l’imprenditore Adama Barrow, previsto per il 19 gennaio.

La decisione è l’ultima di una serie di tentativi di Jammeh per scoraggiare una pacifica transizione dei poteri. Jammeh governa in maniera autoritaria il Gambia dal colpo di stato del 1994: da allora ha vinto tutte le elezioni presidenziali tranne quelle che si sono tenute l’1 dicembre 2016, nelle quali è stato battuto da Barrow per circa quattro punti. Inizialmente aveva accettato la sconfitta – decisione che era stata descritta dagli esperti come potenzialmente storica per l’Africa centrale – ma poi ha cambiato idea, citando irregolarità nelle votazioni. Nonostante Barrow abbia detto che la sua cerimonia di insediamento si terrà regolarmente, in molti temono che per deporre Jammeh sarà necessario un intervento militare: secondo BBC il Senegal – il paese che “contiene” l’intero territorio del Gambia, e che attualmente ospita Barrow – sta preparando le sue truppe di terra, mentre migliaia di persone stanno scappando dal paese temendo nuove violenze.

Jammeh ha 51 anni (come Barrow), è nato a Kinali, al confine col Senegal, e riunisce in sé molti degli stereotipi sui leader autoritari africani: imprigiona e fa uccidere i propri oppositori, espelle i giornalisti stranierisostiene di avere poteri taumaturgici che guariscono dall’AIDS e dall’infertilità ed è convinto di poter governare per un miliardo di anni (ha anche abolito il limite di mandati per la carica di presidente). Di recente ha proclamato il Gambia una “nazione islamica” e spiegato che le manifestazioni di piazza sono «una scorciatoia che viene usata per destabilizzare i governi africani».

Negli anni il governo autoritario di Jammeh ha garantito una certa stabilità al paese – le richieste di asilo dei migranti gambiani che arrivano in Europa vengono spesso respinte, dato le condizioni relativamente tranquille del paese – ma non è riuscito fare molto altro: in Gambia il tasso di disoccupazione è intorno al 38 per cento, uno dei più alti della regione, e quasi un abitante su due vive sotto la soglia di povertà. Jammeh quindi col tempo è diventato parecchio impopolare: l’esito delle elezioni è stato celebrato festosamente in molte parti del Gambia. La sconfitta di Jammeh e la sua iniziale decisione di lasciare il potere ad Adama Barrow – un imprenditore locale sostenuto dai principali partiti di opposizione – era stata definita “un terremoto” politico, che avrebbe potuto dare una speranza di cambiamento ai diversi paesi africani governati da simili governi autoritari.

Da allora però le cose si sono complicate. Jammeh ha detto che il voto dell’1 dicembre va annullato per via di alcune irregolarità: ha presentato un’apposita mozione alla Corte Suprema del paese, che però a causa di una carenza di giudici ha detto che potrà iniziare a esaminare il caso solo nel maggio 2017. Jammeh ha fatto sapere che prima di cedere il potere a Barrow aspetterà il verdetto della Corte (cosa che per alcuni è semplicemente un pretesto per mantenere la presidenza). Nel frattempo è tornato ai soliti metodi: ha occupato militarmente la sede della commissione elettorale – il cui presidente è scappato dal paese nei primi giorni di gennaio – ha chiuso tre radio private e infine ha dichiarato lo stato di emergenza, citando anche «una straordinaria interferenza straniera nelle elezioni presidenziali e negli affari interni del Gambia», senza però spiegare queste accuse.

Lo stato di emergenza durerà 90 giorni e secondo la legge gambiana proibisce “atti di disobbedienza” e “azioni di disturbo dell’ordine pubblico”. Nicolas Haque, un giornalista di al Jazeera che sta seguendo le vicende del Gambia, ha spiegato che formalmente la decisione di istituire lo stato di emergenza è stata decisa dal parlamento nazionale, dove però praticamente tutti i membri fanno parte del partito di Jammeh (su 53 membri, solo uno fa parte di un partito di opposizione). La dichiarazione dello stato di emergenza potrebbe legittimare Jammeh a resistere con la forza a un passaggio di poteri, e soprattutto dà la possibilità a Jammeh di compiere arresti indiscriminati e di imporre un coprifuoco e la chiusura delle frontiere. «Al momento il Gambia è virtualmente in lockdown», ha scritto Haque.

Non è chiaro cosa possa succedere nei prossimi giorni. I tentativi diplomatici di diversi paesi vicini per convincere Jammeh a ritirarsi sono falliti, nonostante praticamente tutti i leader della regione riuniti nella ECOWAS – un’organizzazione internazionale che comprende 15 stati dell’Africa occidentale – si siano schierati contro Jammeh. Quattro ministri del governo di Jammeh hanno dato le dimissioni e sono scappati in Senegal, dove per motivi di sicurezza si trova ancora oggi Barrow (che non è potuto rientrare in Gambia nemmeno per il funerale di uno dei suoi figli, morto domenica 15 gennaio dopo essere stato morso da un cane). Una fonte militare nigeriana ha detto a Reuters che la Nigeria e altri paesi dell’Africa occidentale stanno pianificando un intervento armato nel caso in cui Jammeh decida di non lasciare il potere. Non si da che parte starà l’esercito in caso di conflitto: qualche giorno fa il generale Ousman Badjie, capo dell’esercito nazionale, ha detto di stare dalla parte di Jammeh in una lettera aperta a uno dei giornali controllati dal governo: ma non è chiaro se la sua posizione sia condivisa anche dai principali comandanti e dalla maggior parte dei soldati.