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  • Venerdì 13 gennaio 2017

A Gaza si protesta contro Hamas

Per la mancanza di elettricità, che in questi giorni viene garantita per poche ore al giorno: è una notizia, dato che nella Striscia non sono molto tollerate le manifestazioni di dissenso

( MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images)
( MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images)

Ieri nella Striscia di Gaza si sono tenute diverse proteste contro il governo locale, controllato dal gruppo politico-terroristico di Hamas, per via dei continui blackout di questi giorni. La scarsità di energia elettrica all’interno della Striscia è un problema ricorrente, ma di recente sembra essersi ulteriormente aggravato. Secondo Associated Press, alcune zone ricevono elettricità solamente per 3 o 4 ore al giorno: un problema ancora più rilevante a causa delle basse temperature invernali (anche inferiori ai dieci gradi centigradi, a cui i palestinesi non sono così abituati). La protesta è stata inoltre una delle più partecipate da quando Hamas ha preso il potere nella Striscia, quasi dieci anni fa: sia perché Hamas è tuttora piuttosto popolare nella Striscia, sia perché le sue forze di sicurezza sono note per essere particolarmente repressive.

Palestinians Gaza Electricity Lament (AP Photo/ Khalil Hamra)

La protesta è iniziata nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia, e sia è ingrossata e allargata ad altre zone. Secondo il New York Times al culmine della manifestazione circa 10mila persone hanno marciato verso gli uffici della compagnia elettrica locale, gridando slogan sia contro Ismail Haniya – il leader della fazione politica di Hamas – sia contro il presidente palestinese Mahmoud Abbas (il cui partito politico, Fatah, controlla la Cisgiordania e al contrario di Hamas ha abbandonato da tempo la lotta armata). Le forze di sicurezza di Hamas hanno disperso la folla sparando alcuni colpi di arma da fuoco in aria dopo che alcuni manifestanti avevano tirato loro delle pietre.

Non si hanno notizie di civili feriti, mentre due giornalisti di agenzie occidentali sono stati maltrattati: alcuni funzionari di sicurezza in borghese hanno minacciato con una pistola un giornalista di Associated Press obbligandolo a consegnare loro i suoi telefoni, mentre un fotografo di Agence France-Presse è stato picchiato e ferito alla testa da alcuni poliziotti dopo che ha rifiutato di consegnare la sua macchina fotografica. La manifestazione si è conclusa con una protesta pacifica di un gruppo di manifestanti tornato nei pressi degli uffici dopo essere stato disperso dalla polizia.

https://twitter.com/gaza_report/status/819591770896003072

Diversi analisti sostengono che le proteste contro Hamas e il suo governo siano così rare anche perché il dissenso non è molto tollerato: mercoledì 11 il comico e cantante palestinese Adel al Mashoukhi è stato arrestato dalle forze di sicurezza di Hamas dopo che in un breve video aveva incolpato il gruppo per la mancanza di elettricità. Una fonte del ministero degli Interni della Striscia ha detto che oltre ad essere un comico al Mashoukhi è anche un membro delle forze di sicurezza, e che è stato arrestato per quelle che il New York Times ha definito “violazioni disciplinari”.

Il problema della mancanza di energia elettrica non ha un’unica spiegazione. Secondo alcuni funzionari contattati dal New York Times la Striscia richiede nei momenti di picco una potenza elettrica di 470 megawatt, ma per vari motivi ne garantisce meno di un terzo: c’entrano i problemi tecnici dell’energia che arriva da Israele ed Egitto – in tutto 150 megawatt – il cattivo stato della centrale elettrica di Gaza, bombardata da Israele durante la guerra del 2006, il fatto che molti abitanti della Striscia non paghino le bollette e che Fatah abbia aumentato il prezzo del carburante che serve per far funzionare la centrale di Gaza, rendendo più costosa la produzione locale di energia.

Problemi di energia elettrica a parte, la Striscia di Gaza è da decenni un posto complicatissimo: basti pensare che è una enclave palestinese circondata quasi solo da Israele, e che per molto tempo è stata il luogo più densamente popolato al mondo – ancora oggi ci vivono circa 1,6 milioni di persone – anche a causa del fatto che molti profughi palestinesi vennero ad abitarci in seguito alle guerre combattute con Israele.

Le cose migliorarono dopo gli accordi di pace di Oslo del 1993, ma peggiorarono di nuovo a metà degli anni Duemila: nel 2005, su iniziativa dell’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon, Israele ritirò il proprio personale militare dalla Striscia ed evacuò i 21 insediamenti israeliani costruiti nei decenni precedenti, per agevolare un nuovo processo di pace (e distogliere l’attenzione sull’occupazione in Cisgiordania, su cui la destra israeliana rivendica da tempo la sovranità). Un anno dopo nei territori palestinesi – quindi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza – si tennero nuove elezioni politiche (ancora oggi le ultime tenute in Palestina): Hamas vinse col 44,45 per cento, cosa che provocò tensioni con Israele e con la presidenza palestinese guidata da Abbas. Nel 2007 il governo guidato da Hamas collassò per via dello scontro con Fatah, e Hamas decise di “ritirarsi” nella Striscia di Gaza, cacciando i funzionari di Fatah e assumendo di fatto il governo del territorio.

Da allora la Striscia di Gaza è sotto embargo di Israele, che regola severamente l’ingresso e l’uscita di beni e persone. L’economia non si è mai davvero ripresa: secondo la Banca Mondiale, un’istituzione dell’ONU, nel 2016 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 42 per cento – nell’Unione Europea è intorno al dieci per cento – mentre l’80 per cento degli abitanti ottiene una forma di aiuto umanitario. Non è facile capire se Hamas sia riuscito a indirizzare la responsabilità di questa situazione verso Israele e Fatah, o se abbia perso qualche consenso. I pochi dati a disposizione sono contraddittori: nell’estate del 2015 il Palestinian Center for Policy and Survey Research, uno storico centro studi situato a Ramallah, aveva notato un aumento della popolarità di Hamas nella Striscia. Pochi mesi dopo, nel febbraio 2016, secondo il sondaggio di un altro centro studi palestinese – lo Arab World for Research and Development – in caso di eventuali elezioni politiche Fatah otterrebbe più del doppio dei voti di Hamas (45,8 per cento, contro il 18 per cento).