Chi sono gli indebitati con MPS

Il Corriere racconta alcune storie di grandi aziende e imprenditori famosi che non hanno restituito i soldi che gli aveva prestato la banca salvata dallo Stato

(ANSA/MATTEO BAZZI)
(ANSA/MATTEO BAZZI)

Sul Corriere della Sera di oggi Mario Gerevini ha raccontato alcune storie di grandi società e famosi imprenditori che si sono indebitati con il Monte dei Paschi di Siena, la banca che lo scorso dicembre è stata salvata da un intervento pubblico per la terza volta in pochi anni, e ora hanno difficoltà a restituire i prestiti ricevuti. È un elenco incompleto di alcuni dei principali detentori di “crediti deteriorati”, cioè prestiti che la banca ha concesso ma che ora ha difficoltà a recuperare. In tutto MPS ha circa 27 miliardi di questi crediti, che sono la principale vulnerabilità finanziaria della banca. Secondo esperti ed economisti, una delle ragioni principali per cui ci sono così tanti crediti deteriorati dentro MPS (ma anche in molte altre banche italiane) è che spesso i prestiti sono stati concessi sulla base di logiche politiche o per fare favori ad amici e alleati, piuttosto che per fare profitto.

I costruttori romani Mezzaroma hanno un problema: alla loro holding sono state protestate 111 cambiali per milioni di euro da maggio fino a ieri. Ma chi rischia un bagno di sangue per averli copiosamente affidati? Banca Monte dei Paschi. Al Comune di Colle Val d’Elsa (Siena), stabile roccaforte del centrosinistra, si è aperto un buco (nei bilanci) per il fallimento di una costosa iniziativa immobiliare. A pagarne il prezzo maggiore, però, è chi l’ha finanziato: Mps. Antonio Muto voleva costruire alberghi e parcheggi a Mantova, con i soldi di Siena. Sono arrivati 27 milioni, 13 utilizzati. Degli altri 14 non si sa più nulla. Ma esiste anche una società dove Mps, peggior cliente di sé stesso, riesce ad autoinchiodarsi. Si chiama Valorizzazioni Immobiliari.

Gli immobiliaristi Statuto e Zunino
Storie di soldi che evaporano e di vicende paradigmatiche che hanno contribuito ad affondare la banca. Certo, occorre distinguere tra sofferenze vere, incagli, crediti ristrutturati eccetera. E poi tra debitore e debitore. Ma, in sostanza, cambia solo la quantità di soldi persi. Mps in pool con altre banche ha finanziato, come noto, aziende poi entrate in crisi: la Risanamento di Luigi Zunino o Sorgenia del gruppo De Benedetti (600 milioni di esposizione complessiva Mps a fine 2014 trasformati, dopo la ristrutturazione di parte del debito, in 88 milioni di strumenti finanziari partecipativi e 44 milioni di obbligazioni convertende). Anche Giuseppe Statuto, proprietario di lussuosi hotel come il Four Season e il Mandarin a Milano o il San Domenico di Taormina sta dando grattacapi al Monte (in pool con Popolare Emilia e Aareal Bank) che dopo diverse rate del mutuo da 160 milioni non pagate gli ha pignorato l’Hotel Danieli di Venezia. Ora per Siena rischia seriamente di aprirsi il fronte Mezzaroma. La Impreme, holding di famiglia, è insolvente e starebbe cercando la protezione di un concordato. Mps (soprattutto) e Unicredit sono esposte per centinaia di milioni. Già nel 2013 era stato firmato un accordo di ristrutturazione ma i successivi piani industriali sono stati clamorosamente «bucati» (100 milioni di perdite tra il 2014 e il 2015). In più l’azienda ha ricevuto decreti ingiuntivi, istanze di fallimento e ipoteche giudiziali su una parte significativa del patrimonio immobiliare.

Costruttore Calabrese

Tanti soldi del Monte (tra un po’, quando entrerà lo Stato, anche «nostri») sono a rischio. Già qualche anno fa se n’erano andati una cinquantina di milioni per la scalata a debito di Massimo Mezzaroma al Siena calcio, fallito un anno fa. A Mantova il costruttore calabrese Antonio Muto, accusato di legami con la ‘ndrangheta ma assolto nel filone principale dell’indagine perché il fatto non sussiste, aveva ottenuto 27 milioni da Mps nel 2011 per costruire su un’area di 21mila metri quadrati in piena città. Secondo le informative dei carabinieri aveva relazioni ad altissimo livello a Siena dove andò più volte. Nel 2015 l’allora presidente del consiglio comunale di Mantova, Giuliano Longfils, presentò un esposto in procura: la società di Muto — denunciava — è fallita nel maggio 2015, sono stati sostenuti costi di circa 13 milioni per i lavori (cifra confermata da una perizia del tribunale); dunque che fine hanno fatto gli altri 14 milioni? Nessuna notizia, per ora.

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