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  • Martedì 27 dicembre 2016

Si deve dire Birmania o Myanmar?

Fino a qualche anno fa scegliere uno o l'altro nome aveva un significato, ma oggi i tempi sono cambiati, spiega l'Economist

Una foto scattata a Yangon, capitale del Myanmar, di fronte a una chiesa cristiana
(ROMEO GACAD/AFP/Getty Images)
Una foto scattata a Yangon, capitale del Myanmar, di fronte a una chiesa cristiana (ROMEO GACAD/AFP/Getty Images)

A volte capita di voler parlare di un paese e non sapere bene come chiamarlo, perché per qualche ragione politica quel paese ha deciso di cambiare il suo nome. Uno dei casi più noti è quello di Myanmar, che fino al 1989 si chiamava Birmania. I giornali si trovano spesso di fronte a questo problema e devono decidere come comportarsi: bisogna preferire il nuovo nome, anche se a darlo è stata una giunta militare, o il vecchio, quello con cui il paese era conosciuto fino a quel momento? Non esiste una regola valida per tutti. Nella sua rubrica “The Economist explains”, l’Economist spiega le ragioni di questo uso disomogeneo dei nomi, ricostruendo il quadro della questione dal punto di vista storico.

Per capire la questione del nome Birmania/Myanmar bisogna tornare indietro almeno alla fine degli anni Ottanta, quando la Birmania entrò in una grave crisi economica alla quale seguì il caos totale e un colpo di stato (non il primo, comunque): durante gli scontri morirono migliaia di persone. Nel 1989 la giunta militare al potere fece numerose modifiche alla Costituzione che era stata approvata nel 1974 e annunciò le elezioni per l’anno successivo, vinte poi dai partiti di opposizione tra cui la Lega Nazionale per la Democrazia, guidata da Aung San Suu Kyi e U Tin U. Il risultato del voto non fu però rispettato: la giunta militare non permise a Suu Kyi e al suo partito di governare, e lei rimase agli arresti domiciliari. Il 1989 fu anche l’anno durante il quale la giunta militare cambiò nome al paese, che diventò Unione di Myanmar, accorciato in Myanmar. La giunta corresse anche i nomi di molti altri posti per renderli più vicini alla corrente pronuncia birmana, distanziandosi così dal periodo coloniale britannico (durato più di un secolo a partire dal 1824).

In realtà tra i due nomi non c’è una grande differenza. Sebbene Myanmar e Birmania (Burma in inglese) appaiano molto diversi scritti in alfabeto latino, hanno tutti e due la stessa radice e pronunciati in lingua birmana risultano praticamente identici. L’antropologo Gustaaf Housman, specializzato nello studio di Myanmar, ha spiegato che gli autoctoni usano abitualmente entrambi i nomi: Myanmar in contesti formali, Burma nel linguaggio di tutti i giorni. Inoltre, per gli stranieri, Burma risulta più facile da pronunciare e l’unica forma aggettivata, burmese, deriva solo da quel nome (myanmarese non esiste). Per anni l’utilizzo di un nome piuttosto che l’altro ha indicato l’orientamento politico della persona che stava parlando o scrivendo. In passato, Suu Kyi e i suoi sostenitori si sono sempre rifiutati di utilizzare il nome Myanmar, perché farlo avrebbe significato legittimare la scelta della giunta militare e, di conseguenza, la legittimità della giunta stessa. Per questo motivo i paesi solidali alla causa di Suu Kyi hanno sempre usato a loro volta il nome Birmania. Tuttavia, queste posizioni rigide sembrano essersi attenuate da quando Suu Kyi ricopre i ruoli di consigliere di Stato della Birmania, ministro degli Affari Esteri e ministro dell’Ufficio del Presidente. Nel suo primo discorso alle Nazioni Unite come rappresentante del suo paese, Suu Kyi ha usato il termine Myanmar.

Anche il corrispondente dell’Economist usa indifferentemente un nome o l’altro durante le conversazioni, mentre per la forma scritta usa sempre Myanmar, ubbidendo alla regola scritta nel “The Economist Style Book”, un libro nel quale sono contenute tutte le regole formali seguite dal giornale. Tra le voci della guida è presente la regola “seguire le abitudini locali quando un paese cambia il proprio nome dichiaratamente”; ed essendo finiti i tempi in cui scegliere un nome o l’altro significava schierarsi politicamente, nessuno ha mai corretto l’Economist (a parte qualche anziano, o qualche turista europeo molto puntiglioso).

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