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  • Venerdì 16 dicembre 2016

L’attimo fuggente

La conferenza stampa di fine anno di Barack Obama è stata un saluto, preoccupato, severo e molto personale: e che non le ha mandate a dire alla Russia

Obama ascolta una domanda durante la conferenza stampa del 16 dicembre 2016 (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)
Obama ascolta una domanda durante la conferenza stampa del 16 dicembre 2016 (AP Photo/Pablo Martinez Monsivais)

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha tenuto una conferenza stampa nel pomeriggio di venerdì, alla Casa Bianca, che si è trasformata – prevedibilmente – in un lungo confronto molto aperto con gli americani e con i giornalisti sui temi più importanti dell’attualità e sul suo ruolo, in cui le cose più forti e aggressive Obama le ha destinate alla Russia e al suo presidente Putin. Lunedì prossimo si terranno formalmente le elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti, quelle in cui i “grandi elettori” nominati dal voto popolare destineranno i loro voti al candidato presidente: quello di oggi era quindi anche una sorta di primo congedo di Obama dalla presidenza, considerate anche le sue prossime due settimane di vacanza natalizia alle Hawaii. L’insediamento del nuovo presidente sarà il 20 gennaio.

Le domande dei giornalisti a Obama sono state dedicate soprattutto all’elezione di Donald Trump, e alle ultime notizie rispetto al coinvolgimento di responsabilità russe nella campagna elettorale a danno di Hillary Clinton: nelle scorse ore la stessa Clinton aveva accusato i russi di risentimento nei suoi confronti, e l’FBI aveva confermato il giudizio della CIA che aveva fatto risalire alla Russia l’origine degli atti di pirateria informatica contro Clinton.
Obama ha raccontato di avere ricevuto prove delle responsabilità russe ma di non averne voluto parlare pubblicamente per non dare l’impressione agli americani di un’ingerenza nella campagna elettorale che potesse favorire l’uno o l’altra candidata, soprattutto “dato il clima di partigianeria esagerata”: ha detto però di avere avvisato direttamente Putin di “farla finita”.
Obama ha parlato della Russia per tutta la conferenza stampa con toni molto severi, trattandola di fatto come uno stato nemico (ha usato il termine “avversari”). Ha annunciato che gli Stati Uniti ora interverranno con maggiore forza per impedire che succeda di nuovo quello che è successo, e di non credere che le accuse pubbliche siano sempre lo strumento più efficace, spiegando che le scelte contro la Russia saranno anche iniziative “non pubbliche”. Parlando della Russia e volendo mostrare di non temere più di tanto le conseguenze dei suoi attacchi, Obama ha detto che è un paese “più debole di noi, che produce cose che non ci interessano, e che non innova”: ha però concesso le fragilità di un paese come gli Stati Uniti, proprio perché più benestante, più aperto, più libero, con meno controllo sui cittadini.

Sulle responsabilità nell’attacco contro Hillary Clinton basato sul trafugamento dei documenti della sua campagna, Obama ha voluto anche segnalare quelle dei media, sottolineando la partecipazione senza scrupoli alla diffusione di quei documenti da parte dei media stessi, e la creazione negli ultimi anni di una consuetudine a considerare benefica ogni pubblicazione di documenti trafugati.

Alle domande sulla futura presidenza di Donald Trump, Obama ha risposto con diplomazia e prudenza, ricordando che una campagna elettorale e una fase di governo sono due cose diverse e che se anche la transizione può essere accidentata, Trump gli è sembrato ascoltare i suggerimenti ricevuti nel loro colloquio: “poi cosa farà non lo posso sapere”. In generale Obama è sembrato voler lasciare un’impressione di sé e di alcuni suoi timori agli americani, come per ridurne il rischio e farsi ricordare se qualcosa dovesse andare storto. E ha di nuovo insistito sull’indulgenza di Trump e del Partito Repubblicano nei confronti di Putin, “un ex capo del KGB. Ronald Reagan si rivolterebbe nella tomba”.

A una domanda sulla Siria e sulle proprie responsabilità, Obama ha risposto di sentirle ogni giorno per ogni cosa, ma ha rivendicato che un intervento militare per deporre Assad – a cui si è riferito esplicitamente: “volevamo farlo e sembrava la cosa giusta da fare” – avrebbe dovuto fare i conti con un’opposizione forte da parte di molti elettori e del Congresso, con i bellicosi interessi russi in difesa di Assad, e con l’inesistenza di un’opposizione siriana omogenea con cui costruire un’alternativa. Obama ha anche ricordato le difficoltà e fatiche dei precedenti interventi in Iraq e Afghanistan. “Per prima cosa devo pensare a cosa è giusto per l’America”, ha concluso, facendo capire di non avere ritenuto di essere forte abbastanza perché un attacco militare non avesse conseguenze rischiose per gli Stati Uniti e la sua presidenza.