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  • Domenica 11 dicembre 2016

Le proprietà di Trump nel mondo potrebbero essere un problema per tutti

Gli hotel e le altre strutture che portano il marchio del nuovo presidente americano rischiano di diventare obiettivi del terrorismo internazionale, e non si sa bene chi dovrebbe occuparsene

di Philip Bump – The Washington Post

Due agenti di polizia davanti alla Trump Tower di New York, l'11 novembre 2016 (AP Photo/Richard Drew, File)
Due agenti di polizia davanti alla Trump Tower di New York, l'11 novembre 2016 (AP Photo/Richard Drew, File)

A un certo punto durante la prima mattinata del 9 novembre è diventato chiaro che le autorità americane avrebbero dovuto costruire una fortezza nel centro di Manhattan. In realtà una fortezza c’era già – la Trump Tower, all’incrocio tra la 57esima e Fifth Avenue – e aveva soltanto bisogno di essere ben rinforzata, aggiungendo ogni tanto camion pieni di sabbia (per prevenire gli attacchi fatti usando dei veicoli) e un cordone di polizia permanente. CNN calcola che la sorveglianza della residenza del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, costerà 1 milione di dollari al giorno alla città di New York. Una fortezza costosa.

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Alcuni camion pieni di sabbia davanti alla Trump Tower di New York, il 10 novembre 2016 (TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images)

Oltre alla necessità di proteggere la residenza dorata di Trump a Midtown Manhattan, c’è un’altra considerazione legata alla sicurezza che potrebbe essere venuta in mente alle autorità: cosa fare con tutti gli immobili di proprietà di Trump o con il marchio Trump in giro per il mondo? Grazie a qualche centinaia di migliaia di elettori nel Midwest – la regione degli stati centro-occidentali degli Stati Uniti decisiva alle elezioni – qualsiasi struttura in cui campeggi la parola “Trump” è diventata un enorme obiettivo potenziale per i terroristi internazionali. Come ci si regola con quelle proprietà? Proteggere la Trump Tower è relativamente semplice; proteggere un resort con il marchio di Trump in Indonesia è una cosa completamente diversa, che solleva tutta una serie di domande. Come si fa? Chi lo deve fare?

«Dal punto di vista della sicurezza, compiere qualsiasi tipo di attacco contro il presidente eletto Trump, la Casa Bianca o qualsiasi obiettivo molto importante sarà praticamente impossibile», ha detto Fred Burton della società di sicurezza Stratfor, «ma poi in giro per il mondo ci sono moltissime proprietà con il marchio di Trump che potrebbero sicuramente finire nel campo degli obiettivi minori». Burton sa di cosa parla, visto che è stato il vicecapo dell’antiterrorismo del Servizio di sicurezza diplomatica del dipartimento di Stato americano. Anche Chris Hagon, socio della società Incident Management Group, è della stessa opinione. In passato Hagon si è occupato della protezione della famiglia reale britannica, della polizia di Londra e anche nel settore privato negli Stati Uniti. Secondo lui parte del problema di Trump è che la sua storica attività di marketing è in contrasto con la necessità di tenere al sicuro le proprietà con il suo marchio. «Se aumenti la tua visibilità», ha detto Hagon, «puoi attirare non solo persone che vogliono vedere certe cose, ma anche persone che non le vogliono vedere. E alcune di loro potrebbe essere inclini a fare qualcosa».

Secondo Burton gli hotel e i resort che portano il marchio di Trump sono particolarmente difficili da proteggere. «Per molti versi gli hotel sono le ambasciate del futuro: sono il bersaglio facile perfetto», ha detto Burton, «chiunque abbia i soldi può affittare una stanza, che può diventare una base operativa. Dal punto di vista di una minaccia interna presentano una difficoltà unica, perché il cliente ha l’opportunità di esaminare il suo obiettivo su internet, entrarci, affittare una camera, girare per la struttura e condurre un’approfondita attività di sorveglianza prima dell’operazione limitandosi a prendere una camera per un paio di notti». Gli hotel, inoltre, hanno moltissime altre vulnerabilità: «hai a che fare con guardie assunte esternamente, con un gran numero di consegne ogni giorno, camion, ospiti stranieri internazionali», ha detto Burton. «Se mi chiedessero di scrivere una valutazione del rischio, gli hotel sarebbero assolutamente in cima alla lista».

Per le proprietà che si trovano nel centro delle città, come la Trump Tower in costruzione nelle Filippine, il processo è leggermente diverso. Secondo Hagon probabilmente la maggior parte di queste strutture è già stata sottoposta a valutazioni del rischio che considerano quanto possano essere vulnerabili ad alcuni tipi di attacchi (un processo che spesso inizia ancora prima della costruzione). La protezione di un palazzo di uffici potrebbe comprendere misure come un maggior controllo della posta o il potenziamento della tecnologia di sorveglianza, che però, sottolinea Burton, potrebbero far aumentare notevolmente i costi. Il tipo di protezione esterna come quella impiegata alla Trump Tower, tuttavia, potrebbe non essere fattibile dovunque. È possibile, per esempio, creare perimetri intorno agli edifici che richiedono controlli alle auto di passaggio, ma questa misura per controbilanciare un possibile rischio aggiunge un disagio enorme per i residenti locali.

Burton, però, sottolinea come i governi stranieri abbiano un incentivo ad aumentare le misure di protezione. «L’ultima cosa che vuole la polizia filippina è che succeda qualcosa a un edificio a Manila», ha detto, «potrebbero quindi sobbarcarsi il compito di potenziare i pattugliamenti, i presidi permanenti e cose del genere» per difendere le proprietà di Trump nella loro giurisdizione. Gli Stati Uniti, poi, hanno addestrato attivamente le forze dell’ordine straniere per prevenire il terrorismo dopo gli attentati dell’11 settembre. «Ora è il momento di riscuotere il favore», ha aggiunto Burton.

È improbabile che gli Stati Uniti impieghino risorse specificatamente per la protezione delle proprietà internazionali che hanno il marchio Trump (a meno che Trump stia visitando quella proprietà o quel paese). Dietro le quinte, però, il dipartimento di Stato è dotato di un processo per diffondere le informazioni raccolte dalle agenzie di intelligence americane per l’interesse di aziende internazionali. «Si chiama “intelligence protettiva”», ha detto Burton, «per rimanere aggiornati su tutte le minacce contro il proprio presidente, si cercano intensamente tutte le minacce globali. Quindi, una volta raccolte queste informazioni, il processo di diffusione e reazione nel mondo post 11 settembre è piuttosto efficace». «La comunità dell’intelligence» comprende la minaccia aumentata, ha aggiunto. Le informazioni riguardo alle possibili minacce sarebbero «trasmesse molto rapidamente attraverso i canali di collegamento e la divisione di intelligence del Secret Service fino all’impero di sicurezza aziendale di Trump». In questo modo, però, si affronta una domanda diversa: qual è il confine tra l’utilizzo di risorse governative per la protezione di Trump e quello per la protezione del marchio Trump? «Alcune di queste cose sono al limite di un conflitto», ha detto Hagon, «che penso non sia stato risolto. Non so come si possa risolvere». «È una cosa insolita», ha detto Hagon, «forse senza precedenti», e questa è l’unica certezza.

© 2016 – The Washington Post