Cosa succede al prezzo del petrolio

A breve ne sarà ridotta la produzione, per cercare di far crescere il prezzo al barile, ma potrebbe essere inutile

di Yvonne Man e Betty Liu – Bloomberg

Delle piattaforme petrolifere a Taft, in California, nel 2008 (David McNew/Getty Images)
Delle piattaforme petrolifere a Taft, in California, nel 2008 (David McNew/Getty Images)

Secondo il capo dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), l’aumento del prezzo del petrolio innescato da un accordo raggiunto dall’OPEC – l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio – per ridurre la produzione potrebbe essere vanificato dalla crescita dell’offerta petrolifera globale.

Se all’incontro dell’OPEC della settimana prossima i paesi membri dell’organizzazione concorderanno di limitare la produzione, il prezzo del petrolio potrebbe salire fino a 60 dollari al barile (circa 56 euro) e generare un aumento della produzione globale – soprattutto da parte dei produttori di shale oil, il petrolio di scisto, degli Stati Uniti, che non fanno parte dell’OPEC – ha detto durante un’intervista a Bloomberg Television Fatih Birol, direttore esecutivo dell’AIE, che ha sede a Parigi. Birol ha aggiunto anche che la grande crescita della produzione potrebbe spingere i prezzi a calare nuovamente nel giro di 9/12 mesi.

Dopo aver raggiunto a novembre il minimo degli ultimi tre mesi, il prezzo del Brent – il petrolio estratto nel Mare del Nord che serve da petrolio grezzo di riferimento a livello mondiale per i prezzi – ha avuto un rimbalzo di circa il 10 per cento arrivando vicino ai 50 dollari al barile (circa 47 euro) nel periodo che porterà all’incontro dell’OPEC a Vienna del 30 novembre, in cui i ministri degli stati membri dell’organizzazione cercheranno di applicare le limitazioni alla produzione petrolifera che erano state abbozzate a fine settembre.

«Dall’incontro di Vienna molte persone si aspettano un taglio o un congelamento della produzione», ha detto Birol a Tokyo, «ma dovremmo anche pensare alle mosse successive al possibile taglio o congelamento». Quest’anno il prezzo del Brent è stato in media di 44 dollari al barile (poco meno di 41,5 euro), circa la metà rispetto alla media degli ultimi cinque anni, in un periodo di eccedenza globale che ha portato i produttori a tagliare i costi. I mercati dell’energia sono entrati in un periodo di maggiore volatilità, mentre gli investimenti in nuove produzioni sono in calo per il terzo anno di fila, ha detto Birol. «Nella storia del petrolio questa è la prima volta che gli investimenti diminuiscono per tre anni consecutivi», ha detto, «nel giro di qualche anno, perciò, potrebbero esserci maggiori difficoltà».

La produzione americana di greggio ha raggiunto un picco nel giugno dell’anno scorso, quando gli Stati Uniti hanno estratto in media 9,61 milioni barili di petrolio al giorno, ma da allora è calata di circa il 10 per cento, arrivando a 8,69 milioni di barili.

Il 28 settembre l’OPEC aveva raggiunto un accordo preliminare ad Algeri per ridurre la produzione collettiva di petrolio dei suoi membri a 33 milioni di barili al giorno, rispetto ai 33,6 milioni stimati dall’organizzazione per ottobre. Mercoledì il primo ministro dell’Iraq Haider Al Abadi ha detto che il paese si sobbarcherà parte dei tagli alla produzione, accantonando la precedente insistenza per ottenere una deroga. Questo mese l’AIE ha detto che è possibile che il prezzo del petrolio cali nel caso in cui l’OPEC non riuscisse ad attuare dei tagli «significativi», considerando che l’anno prossimo i paesi produttori che non fanno parte dell’organizzazione aumenteranno l’offerta petrolifera. Le stime sulla domanda e l’offerta del petrolio fatte dall’OPEC mostrano che l’anno prossimo difficilmente l’accordo di Algeri riuscirà a impedire un record di eccedenze petrolifere senza la cooperazione dei paesi che non fanno parte dell’organizzazione, come per esempio la Russia, il più grande esportatore energetico al mondo.

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