Internet si sta spezzettando

I governi stanno cercando di recuperare terreno sul controllo dei dati online con interventi spesso scoordinati e che nel lungo periodo potrebbero danneggiare gravemente la rete

(JOHANNES EISELE/AFP/Getty Images)
(JOHANNES EISELE/AFP/Getty Images)

Nell’idea dei suoi primi studiosi, internet sarebbe dovuta essere l’invenzione che avrebbe permesso di superare le divisioni tra stati, collegando tutte le persone del mondo. Per molto tempo, almeno fino a una decina di anni fa, quando internet non era ancora così presente nella vita quotidiana della maggior parte delle persone, le cose sono andate così e i governi non si sono preoccupati troppo di intervenire sul suo funzionamento. Qualcosa, negli ultimi anni, è cambiato: internet è diventata sempre più rilevante economicamente e i vari stati del mondo hanno cominciato a intervenire sul suo funzionamento a più livelli e in un modo che potrebbe in poche decine di anni cambiarla per sempre da quella che conosciamo.

Insieme ai benefici economici portati da internet – secondo il Boston Consulting Group, una multinazionale di consulenza di management, la internet economy alla fine dell’anno rappresenterà il 5,3 per cento del prodotto interno lordo delle nazioni del G20 – sono arrivati anche i problemi, come le violazioni di copyright e della privacy, i crimini informatici, lo spionaggio: in teoria, come ha spiegato l’Economist, sarebbe compito delle organizzazioni internazionali occuparsi di contrastare questi fenomeni, perché agiscono su un livello superiore e più trasversale di quello di competenza degli stati. Come ha spiegato Urs Gasser, direttore del Berkman Klein Centre for Internet & Society della scuola di Legge di Harvard, l’attuale sistema di cooperazione internazionale è però troppo lento e macchinoso per intervenire: ci sono molti problemi legati alle differenze tra le leggi dei vari paesi: le agenzie di polizia dei vari stati hanno spesso difficoltà ad accedere ai dati informatici conservati in paesi stranieri.

Gli stati stanno cercando di riguadagnare il terreno perso negli anni Novanta e negli anni Duemila nel controllo di internet. E possono farlo, perché il trasferimento dei dati online succede attraverso server che si trovano fisicamente in un posto che risponde sempre alle leggi di qualche stato. E anche le grandi società di servizi online, da Amazon a Facebook a Google, hanno sempre una sede legale e una fiscale in uno stato: nonostante spesso questi stati siano scelti proprio sulla base della tolleranza e della collaborazione garantita dai governi, in molti casi gli stati possono esercitare pressioni perché le società rispondano alle proprie leggi.

Internet & Jurisdiction è un think-tank che si occupa esattamente di questi problemi, e ha organizzato lo scorso 14 novembre una conferenza a Parigi per discutere di come i governi possano collaborare per coordinare i propri interventi sulle cose di internet. Dal 2012 a oggi, Internet & Jurisdiction ha registrato oltre 1000 casi di problemi di giurisdizione su faccende di internet arrivate nei tribunali dei vari paesi. Uno degli ultimi e più rappresentativi casi risale a quando il Brasile arrestò un dirigente di Facebook perché la sua società si era rifiutata di fornire delle conversazioni private avvenute via Whatsapp – di proprietà di Facebook – per un’indagine criminale. L’Economist spiega che l’altro esempio principale dei tentativi degli stati di controllare internet sono i tentativi di non fare uscire, o di non fare entrare, i dati. Ci ha provato la Cina, impedendo l’accesso a molti siti stranieri tipo Facebook, che infatti sta cercando il modo di adattarsi a queste regole per entrare nel mercato cinese. La Russia invece ha approvato una legge per fare sì che tutte le informazioni personali sui cittadini russi siano conservate in server sul territorio nazionale. Nel caso della Russia, serve soprattutto a poterli controllare. In Germania esistono sistemi simili pensati più per proteggere i dati dagli attacchi stranieri.

Spesso sono le stesse società che offrono servizi online a bloccare l’accesso ai contenuti in certi paesi: Netflix ad esempio non permette legalmente di accedere dall’Italia al catalogo americano. I network americani che condividono video delle proprie trasmissioni su Twitter spesso impediscono a chi è connesso dall’estero di vederli. Vint Cerf, uno degli inventori di internet, che oggi lavora a Google, ha spiegato che gli stati hanno il diritto di proteggere i propri cittadini, ma crede che se questo tipo di barriere continueranno a essere costruite, diventeranno un problema. Una delle complicazioni principali è legata al funzionamento stesso di internet, che se eccessivamente frammentato potrebbe bloccarsi in caso di danni temporanei a livello locale. Ma soprattutto sarebbe un problema per molte società: l’European Centre for International Political Economy ha stimato che il prodotto interno lordo calerebbe dell’uno per cento in certi paesi. E poi, ovviamente, un internet diviso regolamentato autonomamente dagli stati limiterebbe le libertà online, visto che renderebbe più facile la raccolta di dati da parte di governi autoritari.

La missione di Internet & Jurisdiction, però, non è facile, secondo l’Economist. Quando gli stati hanno dovuto accordarsi sulle leggi per il mare o per lo spazio, discutevano di posti che non appartenevano a nessuno di loro in particolare. Con internet non è così: è fisicamente divisa nei vari stati per sua natura. C’è poi da distinguere tra due tipi di competenze “su” internet. Una è quella che riguarda il suo funzionamento tecnico, e sulla quale probabilmente per gli stati sarebbe più facile accordarsi, visto che spesso una soluzione è chiaramente migliore delle altre. Sulle politiche legali, invece, è più complicato. Anche perché anche nel caso di leggi internazionali, come quella sul diritto all’oblio, decisa dalla Corte di Giustizia europea, può capitare che i singoli stati decidano autonomamente, ordinando l’eliminazione di contenuti anche dagli archivi online dei giornali, che erano stati esclusi dalla casistica originale.

Recentemente sono nate istituzioni internazionali che hanno provato a stilare delle leggi condivise per la tutela dei diritti umani online, come la Global Commission on Internet Governance, la Freedom Online Coalition, l’Internet Governance Forum (sponsorizzata dall’ONU). L’Economist dice che forse questa forma di partecipazione che coinvolge i vari stati, con le loro diverse esigenze e attitudini democratiche, potrebbe essere «come una democrazia: la peggiore forma di governo, se si escludono tutte le altre. Se non si fa niente, l’internet aperto potrebbe diventare una cosa del passato, in un decennio o due».