• Mondo
  • Martedì 22 novembre 2016

Nuove prove sul fatto che stiamo processando la persona sbagliata

Secondo il Guardian ora anche il vero trafficante eritreo di esseri umani ha detto di essere libero, con un messaggio su Facebook

Il Guardian avrebbe trovato nuove prove a sostegno della tesi che l’uomo eritreo attualmente sotto processo a Palermo e considerato uno dei più grandi trafficanti di esseri umani sulla cosiddetta “rotta libico-subsahariana” sia la persona sbagliata. L’uomo arrestato lo scorso 24 maggio in Sudan, estradato in Italia il 7 giugno e rinviato a giudizio lo scorso settembre, sarebbe Medhanie Tesfamariam Berhe, eritreo di 29 anni, e non Medhanie Yehdego Mered, uomo di 35 anni originario dell’Eritrea accusato di essere uno dei capi di una grande organizzazione con base in Libia che gestisce il traffico di migranti verso l’Europa, e coinvolto nei viaggi di almeno 13 mila persone. Il Guardian scrive di aver visto dei messaggi privati ​​inviati dall’account Facebook attribuito a Mered in cui lui stesso dice di essere libero e che l’uomo sotto processo a Palermo è vittima di uno scambio di persona.

Come è andata
Mercoledì 8 giugno il ministero dell’Interno italiano e la National Crime Agency del Regno Unito avevano annunciato con una certa enfasi l’arresto in Sudan e l’estradizione in Italia di Medhanie Yehdego Mered. I magistrati avevano intercettato per mesi il cellulare di Medhanie Yehdego Mered raccogliendo informazioni sul suo conto e sulle sue attività.

Dopo l’arresto, i media britannici avevano cominciato ad avere dei dubbi, scrivendo che la persona arrestata e ora sotto processo fosse in realtà Medhanie Tesfamariam Berhe: un eritreo di 29 anni che non era mai stato in Libia, che non ha niente a che fare con la presunta rete per il traffico di migranti e che si è dichiarato innocente. Con il trafficante, condivideva semplicemente un nome molto comune.

Le nuove “prove”
Il Guardian non dà molti dettagli sui messaggi privati di Facebook attribuiti a Medhanie Yehdego Mered: non spiega a chi siano stati inviati né come loro ci siano arrivati. Scrive che sono stati scritti in tigrino, lingua parlata dall’omonima etnia presente soprattutto in Eritrea e che uno di questi messaggi dice: «Hanno fatto un errore con il suo nome, ma tutti sanno che non è un trafficante, spero che sarà rilasciato perché non ha fatto niente».

Due fonti hanno confermato che l’account appartiene a Mered: ci sono fotografie del figlio neonato di Mered, interazioni frequenti con la moglie Lidya Tesfu, e l’account è a nome di “Meda Yehdego”, come il trafficante è noto tra le persone che lo conoscono. Il numero di telefono indicato nella pagina corrisponde poi, dice il Guardian, a quello associato a Mered sui documenti del tribunale italiano.

I messaggi di Mered fanno poi pensare che lui non sia un trafficante così importante come lo hanno descritto il ministero dell’Interno italiano e la National Crime Agency del Regno Unito. Mered stesso scrive che il suo ruolo era stata travisato, quando la polizia ha affermato che lui era «l’organizzatore di tutto». Nei messaggi dice: «A volte si dice che organizzo tutto, a volte dicono che ho inviato la barca di Ermias (un altro trafficante, ndr). Sono calunnie sul mio nome, ma ci sono molte persone che lavorano con i trafficanti in mare. Hanno esagerato».

Il Guardian dice che queste ultime prove indeboliscono ulteriormente le affermazioni della National Crime Agency del Regno Unito (NCA), dei pubblici ministeri, del ministro dell’Interno italiano, del Foreign and Commonwealth Office britannico (FCO) e della polizia sudanese: di tutti coloro, cioè, che hanno avuto un ruolo nell’arresto e nell’estradizione. Alla richiesta di commentare i messaggi, la NCA ha detto che rimane fiduciosa sul lavoro dei suoi servizi segreti, dall’Italia non è arrivata alcuna risposta, il FCO ha fatto sapere di non poter rilasciare dichiarazioni sui procedimenti in corso ma anche di non avere alcuna responsabilità sulla verifica dell’identità di un uomo arrestato dalla polizia sudanese, e il ministero degli Esteri del Sudan ha detto di non aver «ricevuto alcuna nuova informazione riguardo il sospetto trafficante».

Le prove raccolte finora
Oltre ai messaggi Facebook ci sono diversi altri indizi a sostegno della tesi dello scambio di persona:

– due persone che avevano avuto a che fare con il vero trafficante non hanno riconosciuto l’uomo arrestato. Una di loro aveva chiesto ai media britannici di rimanere anonima per paura che il vero trafficante ancora in libertà si vendicasse con la sua famiglia. Altri testimoni hanno contattato il Guardian negli ultimi giorni e hanno detto la stessa cosa. Alcuni amici e conoscenti dell’uomo arrestato hanno poi escluso il suo coinvolgimento in organizzazioni criminali.

– i documenti di Berhe forniti dalla sua famiglia fanno pensare che lui e Mered siano persone diverse: sui documenti ci sono la foto di Berhe e l’indicazione della sua data di nascita.

– ci sono delle fotografie che sembrano mostrare Medhane Yehdego Mered alla celebrazione del matrimonio di suo nipote nell’ottobre 2015. Lo si vede tra gli amici, mangiare la torta, in posa con gli invitati. Due ospiti della festa hanno dichiarato che l’uomo fotografato era il trafficante che gli italiani affermano di aver messo sotto processo. L’uomo nelle fotografie appare effettivamente diverso dall’uomo estradato in Italia, ma ricorda da vicino la persona descritta come Mered nelle foto segnaletiche rilasciate dai pubblici ministeri italiani negli anni precedenti. Ieri, lunedì 21 novembre, il Guardian ha pubblicato anche una nuova fotografia: mostra Mered con la moglie.

640

– i procuratori italiani, nel giorno del rinvio a giudizio, non hanno presentato alcun testimone contro l’uomo attualmente a processo.

– la perizia fonica condotta da esperti scelti dall’accusa non ha prodotto risultati rilevanti, non è stato cioè possibile dire se la voce di Berhe corrispondesse a quella di un uomo che diceva di essere Mered ascoltata nelle intercettazioni telefoniche del 2014. La tesi dell’accusa si basa poi in gran parte sulle telefonate intercettate tra Berhe e alcuni trafficanti: l’avvocato dell’uomo arrestato non ha contestato che queste intercettazioni abbiano a che fare con il suo cliente, ma sostiene che le chiamate non contengano alcuna prova incriminante. Molti eritrei che intendono partire o aiutare qualcuno a partire sono poi regolarmente in contatto con i trafficanti in Libia. La famiglia di Berhe ha confermato questa dichiarazione, che cioè il figlio abbia avuto contatti per conto di altre persone.

– le immagini cruente presenti sul telefono di Berhe, che i pubblici ministeri avevano sostenuto essere fotografie dei suoi clienti morti, erano in realtà state scaricate da un sito asiatico.

– la moglie di Mered ha avuto un breve scambio con Berhe su Facebook nell’ottobre 2015: dallo scambio sembra che i due non si fossero mai incontrati, e che dunque non fossero certo due persone che si erano sposate tra loro.