Le cose sono complicate

Un pomeriggio con Gianrico Carofiglio e le sue dubbiose certezze, in una libreria romana

di Ludovica Lugli – @Ludviclug

Da sinistra, Francesco Colombo, Gianrico Carofiglio e Paolo Repetti
Da sinistra, Francesco Colombo, Gianrico Carofiglio e Paolo Repetti

Una decina di persone, quasi tutte donne, aspettano sulle sedie allestite per la presentazione di L’estate fredda, il dodicesimo romanzo di Gianrico Carofiglio, già un’ora prima dell’inizio. Non hanno fatto male ad arrivare in anticipo: tolta la prima fila, riservata a blogger e giornalisti, c’è posto a sedere per sole trenta persone nella Feltrinelli del quartiere Appio, a Roma. Un pubblico di appassionati, non semplici lettori, come capita con gli scrittori di bestseller. Carofiglio lo è e i suoi romanzi sono anche molto tradotti all’estero, in più di 28 lingue – una è lo swahili, e lo scrittore racconta spesso che il suo Testimone inconsapevole è l’unico libro italiano tradotto in questa lingua insieme a Pinocchio. È noto soprattutto per i quattro cosiddetti “gialli giudiziari” con protagonista l’avvocato Guido Guerrieri, per essere stato per tanti anni pubblico ministero antimafia e poi senatore del Partito Democratico dal 2008 al 2013. Ha scritto però anche raccolte di racconti – se ne può leggere uno qui, dal recente Passeggeri notturni – e tre saggi divulgativi sull’uso delle parole: L’arte del dubbio sugli interrogatori processuali, e La manomissione delle parole e Con parole precise, più generali e molto legati al linguaggio della politica.

«È alto, è alto» spiega una ragazza venuta con la madre agli altri primi arrivati. «Io li ho letti tutti» dice invece una donna che si è seduta temporaneamente in un posto riservato, pronta ad alzarsi «quando arrivano quelli belli». Poi aggiunge: «Non ho letto quello che ha fatto col fratello, Francesco Carofiglio». E spiega alla signora che le sta di fianco: «Io li prendo al supermercato, c’è l’offerta del 15 per cento». Quando arriva l’ora della presentazione tutte le sedie sono occupate e ci sono moltissime persone in piedi, tra gli scaffali di dischi e di libri che circondano la radura in cui sono state disposte le sedie.

Gianrico Carofiglio in effetti è molto alto e quando arriva – un po’ in ritardo per le interviste perché ha sbagliato fermata della metro – lo si nota subito per l’ampia falcata. Ha una camicia bianca, un paio di jeans, le New Balance marroni. È gentile, sorride, ascolta le domande in modo attento. Ha quel tipo di occhi chiari, verdi, da cui è difficile distogliere lo sguardo: che spesso è rivolto altrove, peraltro. È insieme a Paolo Repetti e Francesco Colombo, che sono direttore ed editor di Stile libero, la collana di Einaudi in cui è uscito L’estate fredda, il terzo romanzo che Carofiglio pubblica con Einaudi e il secondo con protagonista il maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio. L’estate fredda del titolo è quella del 1992, in cui ci furono la strage di Capaci in cui morì il magistrato Giovanni Falcone e quella di via D’Amelio in cui morì il suo collega Paolo Borsellino.

La prima domanda gliela fa Repetti, ed è sul premio Nobel a Bob Dylan: Carofiglio risponde con un semplice «perché no?». Non è uomo da aizzare polemiche. All’inizio tiene le lunghe gambe accavallate, ma con l’avanzare della conversazione appare più sciolto e le incrocia alle caviglie. Si parla soprattutto della parte centrale di L’estate fredda, l’«atto secondo», in gran parte fatta del verbale della testimonianza di un collaboratore di giustizia, di come sia coinvolgente e piena di azione anche se è scritta in questo formato apparentemente più freddo. Repetti chiede a Carofiglio di leggere alcuni passaggi del romanzo. A un pezzo in particolare lo scrittore tiene molto e, mentre Colombo fa alcune considerazioni sul personaggio di Fenoglio, si concentra a sfogliare una copia del libro per trovarlo: è la parte in cui il “pentito” racconta del suo primo omicidio, che rappresentò per lui un’occasione per salire nella gerarchia mafiosa.

gianrico_carofiglioDa sinistra, Francesco Colombo, Gianrico Carofiglio e Paolo Repetti

Un’altra domanda è sulle serie tv e i libri che rischiano di immedesimare spettatori e lettori nei personaggi mafiosi. Il riferimento è prima di tutto alla serie Gomorra, di cui in passato Carofiglio disse che la popolarità dei protagonisti lo metteva «non poco a disagio». Gli dà fastidio il «compiacimento nel raccontare il male» e più tardi, davanti ai blogger, spiega che fin da bambino si sentiva «sbirro» e aggiunge: «Al terzo Diabolik capii che Ginko non vinceva mai e smisi di leggerlo». Un po’ di polemica la aizza: Carofiglio sta coi buoni. In L’estate fredda questa posizione emerge chiaramente quando la pubblico ministero Gemma D’Angelo dice:

«Eravamo ragazzi che volevano cambiare il mondo. Qualcuno pensava di poterlo fare con la politica. A me sembrava che il modo migliore fosse diventare magistrato. Senza compromessi. Da una parte c’erano i cattivi – evasori fiscali, corrotti, inquinatori, mafiosi, collusi di ogni genere. Io sarei stata dall’altra parte, a battermi. Un’idea un po’ ingenua, diciamo. Ci ho messo un bel po’ di tempo a rendermi conto che le cose sono più complicate».

Poi Repetti gli fa una domanda da pubblico ministero: gli chiede di spiegargli l’obbligatorietà dell’azione penale. Lui risponde in modo diligente, didattico, il tono di voce che si abbassa un po’ rispetto alle risposte precedenti. Poi interviene prima che Repetti o Colombo gli chiedano ancora qualcosa per dire: «Vogliamo sentire se ci sono domande dal pubblico?». Anche delle tre domande fatte dai lettori due riguardano il sistema giudiziario: una è di nuovo sull’obbligatorietà dell’azione penale (Carofiglio lancia un’occhiata eloquente a Repetti, che risponde con una pacca sulla spalla), l’altra su come si potrebbe riformare la prescrizione. L’autore risponde brevemente, e propone a chi gli ha fatto queste domande di parlarne meglio in privato alla fine della presentazione, ma sa essere chiaro e dire la sua: sono domande che conosce. Al momento degli autografi, per cui si crea una lunga fila, sorride e scambia due parole con tutti.

Nessuno ha chiesto nulla sul referendum costituzionale del 4 dicembre, anche se, a chi leggesse Con parole precise in questi giorni di campagna elettorale, verrebbe inevitabilmente da pensare che Carofiglio abbia un’idea precisa degli slogan e dei messaggi che entrambe le parti stanno usando. «Insopportabili, da un lato e dall’altro, veramente una demagogia» risponde alla domanda che quindi arriva a presentazione conclusa. «Non ho nessun problema a dire che voterò Sì, con molto sforzo. Naturalmente con una visione assai critica e, come dovrebbe essere giusto, con la percezione delle molte buone ragioni del No. Mentre prima pensavo di partecipare ai dibattiti pubblici a cui mi invitano, ho concluso di no, perché il livello del dibattito è di una violenza e una volgarità tali da impedire sostanzialmente i buoni argomenti, che ci sono da una parte e dall’altra».

Dopo la presentazione Carofiglio partecipa a un incontro con alcuni blogger che si occupano di libri. L’ufficio stampa di Einaudi lo ha organizzato in un bar poco lontano dalla Feltrinelli di via Appia Nuova, “Remigio champagne e vino”: è un locale stretto, c’è appena lo spazio del tavolo quadrato prenotato per l’occasione. All’inizio i blogger – quasi tutte donne – sono intimiditi e non fanno domande né si versano il prosecco che c’è sul tavolo: è lo stesso Carofiglio che comincia a interrogarli, chiedendo a ognuno dove scrive. Poi si comincia a parlare, del suo metodo di scrittore, dell’editing, di come nascono i suoi personaggi e perché abbia scelto un personaggio femminile – Gemma D’Angelo – per rappresentare il suo punto di vista in L’estate fredda. Lui spiega che le indagini ambientate negli anni Novanta sono più interessanti, perché non c’erano le intercettazioni dei cellulari e molti altri strumenti usati oggi. Racconta che una delle indagini di quando era pubblico ministero che lo ha influenzato di più è stata quella su una bambina rom rapita e poi trovata morta: anche se era sicuro di chi fosse il colpevole, non riuscì a incriminarlo.

Oltre ai blogger ci sono anche due giornalisti che invece, dopo qualche bicchiere di vino, chiedono a Carofiglio di altri scrittori e del premio Strega. Forse per vedere se abbia qualche rancore per quella storia di Vincenzo Ostuni, editor della casa editrice Ponte alle Grazie, e del premio Strega 2012 quando Alessandro Piperno vinse e Il silenzio dell’onda di Carofiglio arrivò terzo: Ostuni definì Carofiglio «scribacchino» e «mestierante» e Carofiglio gli fece causa. All’inizio Carofiglio non vuole fare il nome di nessun altro scrittore italiano che apprezza, ma davanti a un’insistenza, nomina Sandro Veronesi e Niccolò Ammaniti. Di La scuola cattolica di Edoardo Albinati dice che ne ha letto una parte e non è sicuro che sia un romanzo. Critica due libri, senza voler dire di quali si tratta – già su un altro era stato critico durante la presentazione, all’interno del discorso su Gomorra, senza specificare quale: a momenti sembra che sia soprattutto un’alta considerazione di sé a fargli mantenere il controllo di quello che vuole e non vuole dire, in tempi in cui è una cosa rara trattenere un’opinione.

Poi, ad altre domande dei blogger, si dice fiero che il suo Non esiste saggezza sia la raccolta di racconti italiana che ha venduto di più in Italia negli ultimi anni e di essere stato uno dei primi di un nuovo gruppo di autori pugliesi: a cui in tempi più recenti si sono aggiunti Nicola Lagioia e Mario Desiati, che quando Carofiglio esordì «andava all’asilo». Una dei gestori del bar, che è una grande fan di Carofiglio, interrompe per chiedere un autografo e sembra commossa; ripete più volte che per lei i suoi libri sono stati importantissimi.

In una categoria in cui il fastidio o l’indifferenza per i giudizi della critica alta hanno spesso a che fare con delusioni e vanità frustrate, non è facile capire se a Carofiglio manchi davvero una maggiore considerazione da parte della cosiddetta società letteraria, rispetto alla soddisfazione di essere un autore di bestseller: se gli manca, evita di tradirlo. Sicuramente ha un proprio intenso rapporto con la letteratura e l’arte: tra la presentazione e l’incontro con i blogger finisce per avere citato Oscar Wilde, Georges Simenon, Michelangelo, Jackson Pollock, Stephen King e John Maynard Keynes. In una scena di L’estate fredda si parla di Italo Calvino e della sua opinione sulla lingua dei verbali, in un’altra Fenoglio è alla Pinacoteca di Bari e guarda un quadro di Silvestro Lega e uno di Felice Casorati, più volte si citano brani di musica classica – Carofiglio è stato anche presidente della Fondazione Petruzzelli dell’omonimo teatro di Bari tra il 2015 e il 2016. I protagonisti dei suoi libri sono persone che anche se impegnate in professioni investigative hanno spesso una grande cultura. Quando però non ricorda il nome di un autore di thriller che lo ha influenzato non si fa problemi ad ammetterlo, e lo cerca su Google: solo che da “Remigio champagne e vino” non c’è rete.