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  • Martedì 8 novembre 2016

Una nuova sconfitta per Orbán sulle quote dei migranti

Dopo il referendum di ottobre, ora anche il parlamento ungherese ha respinto un emendamento costituzionale voluto dal primo ministro per renderle impraticabili

Viktor Orban e il vice primo ministro Zsolt Semjen in attesa del voto al parlamento ungherese sull'emendamento costituzionale contro i migranti, Budapest, 8 novembre 2016 (ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images)
Viktor Orban e il vice primo ministro Zsolt Semjen in attesa del voto al parlamento ungherese sull'emendamento costituzionale contro i migranti, Budapest, 8 novembre 2016 (ATTILA KISBENEDEK/AFP/Getty Images)

Il parlamento ungherese ha respinto un emendamento costituzionale voluto dal primo ministro Viktor Orbán, del partito di destra Fidesz, che avrebbe vietato l’insediamento di migranti nel paese. L’emendamento non ha ottenuto i due terzi dei voti necessari per essere approvato: hanno votato a favore 131 deputati su 199, ma i voti a favore dovevano essere almeno 133. Hanno votato contro le opposizioni, e anche il partito di estrema destra Jobbik, che pure è contrario al sistema di quote e voleva una norma ancora più severa di quella proposta da Orbàn.

Da tempo il governo ungherese sta portando avanti una politica molto aggressiva e ostile contro i migranti. Lo scorso ottobre, tuttavia, il referendum che chiedeva ai cittadini se accettare o meno la quota di richiedenti asilo assegnata all’Ungheria secondo il piano di distribuzione previsto dall’Unione Europea non aveva ottenuto il quorum. Aveva votato circa il 40 per cento degli aventi diritto e il “no” aveva vinto con il 98 per cento dei voti, ma affinché il risultato fosse politicamente vincolante per il Parlamento sarebbe stato necessario raggiungere il quorum del 50 per cento dell’elettorato. Orbán non era riuscito a convincere abbastanza persone ad andare a votare ma era stato sostenuto dalla quasi totalità di quelle che lo avevano fatto.

Orbán aveva dunque deciso, spiegando di aver ricevuto un forte mandato elettorale dai 3 milioni di ungheresi che avevano votato al referendum, di tentare un’altra strada e aveva presentato un emendamento costituzionale che, se approvato, avrebbe potuto rappresentare un ulteriore ostacolo alle decisioni dell’Unione Europea sulle quote obbligatorie di ripartizione. Il partito di Orbàn non ha però ottenuto il sostegno né delle opposizioni né del partito conservatore, populista e antieuropeista Jobbik. Il suo leader, Gabor Vona, è contrario alle quote, ma aveva posto una serie di condizioni all’emendamento chiedendo lo stralcio della parte in cui era previsto comunque un metodo per gli stranieri più ricchi di acquistare un certo numero di titoli di stato e di ottenere contestualmente il diritto a stabilirsi nel paese. Il primo ministro ha parlato di un ricatto da parte di Jobbik.

Durante la crisi migratoria dello scorso anno, l’Ungheria è stato uno dei paesi più coinvolti nel problema. A giugno del 2015 era stata annunciata da Orbán la costruzione di un primo muro lungo 175 chilometri lungo il confine con la Serbia al quale ne è stato aggiunto un secondo, pochi mesi dopo, al confine con la Croazia e la Romania. Nel settembre del 2015 la UE decise di ridistribuire nei paesi dell’Unione i 160mila richiedenti asilo arrivati nei due anni precedenti in Italia, Grecia e Ungheria. La quota assegnata a ciascuno stato fu decisa basandosi sul numero degli abitanti e sul prodotto interno lordo dei paesi, con fattori correttivi che dipendono dalla quantità media di domande d’asilo e dal tasso di disoccupazione. Secondo questo calcolo, l’Ungheria dovrebbe ospitare un totale di 1.294 migranti. Subito dopo, la decisione era stata impugnata da Ungheria e Slovacchia di fronte alla Corte di Giustizia Europea. Nessun migrante è stato accolto in Ungheria. Orbán aveva poi deciso lo scorso febbraio di indire il referendum.