Cosa è successo al mondo

Marco Simoni analizza le sorprese della politica internazionale - Brexit, Trump, Grillo - e spiega da dove vengono e cosa farne

Donald Trump e Nigel Farage a Jackson, Mississippi, agosto 2016 (Jonathan Bachman/Getty Images)
Donald Trump e Nigel Farage a Jackson, Mississippi, agosto 2016 (Jonathan Bachman/Getty Images)

Marco Simoni, consigliere della presidenza del Consiglio per la politica economica, ha scritto un articolo sul Foglio che ricostruisce i meccanismi sociali ed economici che hanno portato a successi politici dai tratti simili come quelli di Donald Trump, di Beppe Grillo, o dei sostenitori britannici di “Brexit”. Simoni invita a considerare in quest’ottica l’azione del governo Renzi e sostiene che la politica economica che Renzi sta portando avanti possa rappresentare un modo di affrontare la questione non immaginando riproposizioni di schemi e progetti falliti ma combinando in modo nuovo ruolo dello Stato e mercato, crescita economica e inclusione sociale.

E se evitassimo per una volta la discussione ragionieristica su ogni singola misura della legge di Bilancio e provassimo a leggere l’azione del governo nel suo complesso, tenendo in considerazione gli ultimi tre anni? Da questa prospettiva, e a parte i grillini su cui tornerò dopo, il governo riceve due principali tipi di critica. Da sinistra si tende a ripetere un copione ultraventennale che accusa il governo Renzi – come faceva con Clinton, Blair, Schröder e D’Alema – di essere succube del neoliberismo e perseguire una politica economica di destra. Dalla destra liberale, viceversa, si accusa il governo di non fare abbastanza austerità – su questo il più chiaro è stato Monti – e di non tagliare abbastanza la spesa pubblica. Non ho richiamato queste due critiche per uno stucchevole “se protestano da destra e da sinistra allora il governo è nel giusto”, un sillogismo che mi è sempre sembrato insensato. Queste critiche simmetriche, per quanto minoritarie, qualcosa tuttavia vorranno dire. Vorrei allora suggerire un’analisi dal respiro più lungo per provare a mettere questi ultimi tre anni nel loro contesto. Mi rendo conto che è una cosa desueta, dedico questo sforzo alla gentilezza del direttore che mi ospita e a quei pochi che vorranno leggere e magari discutere.

La mia tesi è che, al netto di critiche sempre possibili sulla qualità e appropriatezza di questa o quella misura, la politica economica del governo Renzi rappresenta una genuina novità. La sua concezione di fondo si sforza di combinare la fiducia nella capacità del mercato di promuovere crescita e innovazione, con la riscoperta della responsabilità dello stato, e quindi della politica democratica, di intervenire non solo per “investire in risorse umane e infrastrutture” (come suggeriva Giddens nel 1998, pagina 99 della “Terza Via”), ma per sostenere attivamente il contratto sociale che tiene assieme parti diverse della nostra società. Una nuova combinazione tra stato e mercato – lungi da me la presunzione di poterla esprimere compiutamente qui – che riconosca fino in fondo entrambe le prerogative, è l’unica ragionevole alternativa finora emersa alla politica della chiusura propugnata dai demagoghi di ogni latitudine. Altri governi, in particolare quello di Obama, hanno seguito una politica simile nei princìpi ispiratori, al punto che le opzioni concrete che si pongono ai nostri paesi iniziano ormai a essere abbastanza definite. Per provare ad argomentare (ve lo dicevo che era uno sforzo desueto) faccio qualche passo indietro.

(Continua a leggere sul sito del Foglio)

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