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  • Martedì 1 novembre 2016

7 giorni alle elezioni americane

Il punto sul nuovo guaio di Clinton con le email e le nuove accuse a Trump sui suoi legami con la Russia e la sua carriera da imprenditore (e i sondaggi?)

(NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images)
(NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images)

Manca solo una settimana al giorno delle elezioni presidenziali statunitensi, che si terranno martedì 8 novembre (anche se milioni di persone avranno già votato, entro quel giorno). Le ultime settimane di campagna elettorale sono state molto agitate, e così anche gli ultimi giorni: la notizia più discussa è sempre il nuovo guaio della candidata Democratica Hillary Clinton con le email – assieme alla scelta del direttore dell’FBI di diffondere a dieci giorni dalle elezioni la notizia del ritrovamento di email “potenzialmente pertinenti” a quell’indagine, senza avere idea di cosa ci sia dentro – ma anche il candidato Repubblicano Donald Trump ha i suoi problemi.

Negli ultimi due giorni si sta parlando con più insistenza del solito dei suoi presunti legami con la Russia – anche per via di una certa insistenza dei Democratici, che stanno cercando di distogliere le attenzioni dei giornali dal caso Clinton – mentre il New York Times ha pubblicato una lunga inchiesta sui metodi discutibili grazie ai quali ha evitato per anni di pagare le tasse federali. La notizia più grossa rimane comunque quella di Clinton, come ha spiegato Francesco Costa nella sua ultima newsletter: sia perché «rinforza gli oppositori di Clinton e chi pensa sia disonesta e inaffidabile», sia perché «gli elettori di sinistra che avrebbero votato Clinton senza entusiasmo potrebbero essere ulteriormente scoraggiati», rifiutandosi di votarla. Per il momento non sappiamo esattamente quanto abbia pesato questa nuova storia sulla campagna elettorale: la notizia è arrivata durante una piccola rimonta di Trump, evidente anche dagli ultimi sondaggi, e non è ancora chiaro in quale misura possa averla aiutata.

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Le due nuove storie su Trump, intanto

La Russia
Una delle circostanze più strane di questa campagna elettorale è stata ascoltare il candidato presidente Repubblicano lodare pubblicamente il presidente russo Vladimir Putin, malvisto dalla stragrande maggioranza dell’establishment Occidentale e dalla base del partito. Nelle ultime settimane – più o meno da quando è stato accertato che furono alcuni hacker russi a rubare migliaia di dati e documenti al Partito Democratico americano, in estate – Trump ha cercato di distanziarsi da Putin, viste anche le voci su suoi rapporti commerciali e imprenditoriali con persone vicine al suo giro. L’accusa di essere troppo morbido con la Russia, se non addirittura di avere una qualche forma di contatto e collaborazione col governo russo, è tornata attuale a causa di un lungo articolo di Slate, che accusa Trump di avere usato un server privato riconducibile alle sue società per comunicare con Alfa Bank, una delle più note banche russe al mondo e considerata vicina a Putin.

Slate racconta di essere entrato in possesso di alcuni dati sul traffico DNS di un server riconducibile alla Trump Organization – la società con cui Trump controlla la maggior parte delle sue aziende – e di averli fatti analizzare ad alcuni esperti. In passato il server veniva usato soprattutto per attività promozionali e di marketing per i prodotti del “marchio” Trump: l’analisi del traffico degli ultimi mesi, invece, ha mostrato un traffico compatibile con uno scambio di mail con il server di Alfa Bank. Slate scrive inoltre che il server di Trump era da tempo oggetto di un’inchiesta del New York Times, e che a fine settembre è stato disattivato subito dopo che un giornalista del quotidiano aveva chiesto alcune spiegazioni ad Alfa Bank. Sia Trump sia Alfa Bank hanno smentito questa ricostruzione.

Nelle stesse ore il New York Times – a quel punto “costretto” dall’articolo di Slate – ha pubblicato un articolo in cui ricostruisce che per buona parte dell’estate l’FBI ha indagato sull’ingerenza della Russia nella campagna elettorale americana. Il New York Times sostiene che l’FBI abbia esaminato sia i rapporti di Trump con alcuni imprenditori russi sia le comunicazioni fra i suoi server e quello di Alfa Bank, senza però trovare «nessun legame diretto fra Trump e il governo russo». Molti dettagli di questa storia rimangono ancora poco chiari: i Democratici stanno cercando di sfruttarla per dimostrare di essere stati discriminati dall’FBI, che ha annunciato pubblicamente di aver trovato nuove email “pertinenti” all’indagine su Clinton ma non ha mai fatto alcuna dichiarazione pubblica riguardo l’indagine sui legami fra Trump e la Russia.

Le tasse
Nelle scorse settimane Trump ha già ammesso di non aver pagato le tasse federali per molti anni, a causa di agevolazioni e sgravi di cui hanno beneficiato molti milionari. Ora il New York Times ha scoperto un’altra manovra molto spericolata compiuta vent’anni fa per evitare di pagare alcune tasse sui debiti che aveva contratto nella gestione dei suoi casinò. Semplificando molto, Trump riconvertì buona parte dei debiti che le banche non erano disposte a condonargli in azioni della sua stessa azienda (che però non valevano praticamente nulla, dato che era in perdita): in questo modo, grazie a una “falla” nel sistema della raccolta delle tasse poi sistemata qualche anno più tardi, quel debito veniva considerato come ripagato, cosa che gli consentiva di pagare molte meno tasse.

Secondo il New York Times questa manovra potrebbe spiegare come mai l’enorme debito dichiarato da Trump in quegli anni – pari a 916 milioni di dollari – non l’abbia distrutto dal punto di vista finanziario. In base alle leggi americane, se Trump si fosse semplicemente fatto condonare il debito avrebbe dovuto pagare le tasse sull’intera somma dovuta: trasformando il debito non condonato in azioni della sua società, la perdita non cessò di esistere – e infatti rimase evidente dalla dichiarazione dei redditi – ma fu dichiarata in una forma che permise a Trump di non pagarci per intero le tasse.

Trump non ha commentato l’articolo del New York Times, e una sua portavoce ha definito “pura speculazione” le ipotesi avanzate dagli esperti di tasse contattati dal giornale. In un’elezione normale, una storia del genere sarebbe su tutte le prime pagine dei quotidiani, dato che demolisce forse definitivamente l’immagine da imprenditore di successo che Trump ha cercato di ritagliarsi in tutta la campagna elettorale. Al momento però le prime pagine dei giornali sono occupate da ben altre notizie.

Che fa Clinton?
È in difficoltà e sta cercando di contrattaccare. I suoi portavoce e sostenitori più importanti da giorni stanno criticando l’FBI e il suo direttore Comey per aver diffuso una notizia così delicata in modo così generico, a poco più di una settimana dalle elezioni, senza dare modo agli elettori di capire se c’è effettivamente qualcosa di rilevante dentro queste nuove email, e cosa: tanto più che diverse fonti contattate in questi giorni dai giornali raccontano che l’FBI non abbia davvero idea di cosa ci sia dentro le 650mila mail prelevate dai computer di Huma Abedin, la storica assistente personale di Clinton, e di suo marito Anthony Weiner, da cui si è recentemente separata in seguito all’ennesimo scandalo sessuale che lo ha coinvolto.

Il Wall Street Journal ha contattato alcuni esperti secondo cui le mail più rilevanti dell’ultimo giro potrebbero essere individuate nel giro di qualche giorno, “semplicemente” usando alcune particolari chiavi di ricerca che escludano le mail che non sono passate per il server di Clinton, o che mostrino solo quelle contenenti materiale top secret. Per un’analisi più approfondita, però, ci vorranno settimane e forse mesi.

Politico, intanto, scrive che l’annuncio di Comey ha «stracciato i piani» di Clinton riguardo gli ultimi giorni di campagna elettorale, che sulla carta dovevano concentrarsi su un messaggio positivo e trasversale (pochi giorni fa Clinton aveva persino detto che non avrebbe più commentato le dichiarazioni di Trump sul suo conto). Ora le cose sono decisamente cambiate: nelle ultime ore la campagna di Clinton ha attaccato duramente sia Comey – accusandolo di applicare «due pesi e due misure» – sia Trump, diffondendo uno spot televisivo che mostra la bambina protagonista di un celebre spot elettorale della campagna elettorale dei Democratici del 1964, in cui sostanzialmente si accusava il candidato Repubblicano Barry Goldwater di voler usare la bomba atomica. Nel nuovo spot la stessa donna parla con preoccupazione della possibilità che Trump diventi presidente, proprio a causa della sua inesperienza e delle sue esplicite minacce di reprimere i conflitti con la violenza.

Cosa dicono i sondaggi
Clinton è ancora in vantaggio, sia negli stati chiave sia nel voto nazionale, ma meno di prima. Clinton e Trump sono praticamente pari in Florida – uno stato che se vinto da Clinton le darebbe praticamente la certezza di diventare presidente – e Clinton è tuttora avanti in posti come il Colorado e il Michigan, anche se con un margine inferiore a quello con cui Obama vinse in questi stati nel 2012. A oggi il modello statistico di FiveThirtyEight assegna a Clinton il 75,2 per cento di possibilità di vincere le elezioni, mentre quello del New York Times l’89 per cento.

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