• Moda
  • Lunedì 31 ottobre 2016

Cos’è Uniqlo, che arriva in Italia nel 2017

Come ha avuto successo l'azienda di abbigliamento giapponese che propone capi economici ed essenziali, raccontata su Studio da Silvia Schirinzi

Un negozio Uniqlo a Tokyo, nel 2009
(YOSHIKAZU TSUNO/AFP/Getty Images)
Un negozio Uniqlo a Tokyo, nel 2009 (YOSHIKAZU TSUNO/AFP/Getty Images)

Aggiornamento: l’apertura è stata rinviata all’autunno del 2019.

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Nel 2017 aprirà a Milano il primo negozio in Italia di Uniqlo, l’azienda di fast fashion giapponese che – contrariamente a Zara o H&M – non punta a inseguire le mode del momento ma propone capi casual, funzionali e essenziali. Silvia Schirinzi racconta su Studio come ha fatto Uniqlo ad avere successo – a partire dalla giacca di lana introdotta negli anni Novanta che è ancora tra i capi più venduti, al maglioncino di cashmere blu indossato da stilisti famosi come J.W. Anderson – e quali sono gli obiettivi dei prossimi anni.

«Quando Jonathan Anderson a fine sfilata fa la sua timida comparsa a salutare il pubblico dal fondo della passerella, di solito indossa un paio di jeans, un maglioncino blu e un paio di sneakers bianche, la stessa divisa cui ci aveva già lungamente abituato Phoebe Philo da Céline. Capi basic, che appartengono a un guardaroba classico e senza fronzoli, magari un po’ noioso, ma sicuramente funzionale. Se sulle sneakers i veri accorti dello streetwear dimostrano ahinoi cenni di stanchezza, a causa della diffusione oramai epidemica di determinati modelli e la miriade di versioni presenti in commercio, sul jeans e il maglioncino blu possiamo star sicuri: rappresentano ancora una dichiarazione d’intenti in fatto di stile, in particolare se il pullover è di Uniqlo, il marchio giapponese di casualwear che del cashmere a buon prezzo ha fatto la sua fortuna e che arriverà (finalmente) in Italia nel 2017.

Uniqlo
Il negozio di Uniqlo sulla Fifth Avenue a New York (AP Photo/Mark Lennihan)

Perché mai un designer che disegna una moda complessa e astratta come quella di J.W. Anderson sceglie di indossare un capo low cost? Non dovrebbe essere contrario ai suoi principi e alla sua stessa professione? Perché Uniqlo sì e Zara, per carità, no? Non si tratta, in questo caso, della maglietta aderente nera (o blu, firmata Giorgio Armani) che indossa Giorgio Armani dalla notte dei tempi, no, quello del maglioncino blu è un vero e proprio statement proprio perché targata Uniqlo. Che è come dire Zara, per certi versi, ma anche come dire Benetton, che di Zara, H&M e simili è stato il precursore intelligente e di qualità.

Uniqlo in Berlin

Quella di Fast Retailing è una storia affatto recente: la compagnia nasce nel 1949 nella città industriale di Ube, prefettura di Yamaguchi (isola di Honshu) per volere di Hitoshi Yanai, che la chiama Ogōri Shōji. È una piccola ma solida azienda tessile a conduzione familiare, che nel 1972, con la morte di Hitoshi, passa nelle mani del turbolento figlio Tadashi, oggi l’uomo più ricco del Giappone, all’epoca giovane hippie il cui unico pensiero era quello di non lavorare un singolo giorno in vita sua. La sua entrata in scena nell’azienda del padre coincide con l’abbandono di sei su sette dei membri del consiglio direzionale: «All’epoca ero un tipo piuttosto arrogante e sei di loro decisero di andarsene, spaventati dall’idea che un giorno potessi diventare Ceo», ha raccontato lo stesso Yanai a Business of Fashion».

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